sabato 31 dicembre 2011

Pagheremo caro, pagheremo tutto

Tutto: aumenterà tutto.

Siam pronti per precipitare a testa bassa verso la malora?
Pronti a scrutarci di sottecchi, con l' amara crudeltà che lo spettro della miseria sa instillare e fecondare, per tirare un respiro di sollievo, in una sequenzialità sempre più ravvicinata e singhiozzante, ogni volta che coloro che scivolano nel baratro dell' indigenza non siamo, -oh, non ancora, non per questa volta, almeno... - per adesso, noi?
Ogni utenza sarà più cara, gli stipendiucci dei soliti noti più che mai miserabili. Smorziamo le luci, razioniamo il riscaldamento delle nostre (e delle loro -dato che io e qualche altro non possiediamo alcun immobile, per quanto sembri fatto stravagante-) case; siamo in recessione, badate: la sola ricchezza in aumento si misurerà in risentimento.

Ma quale "Pagherete caro, pagherete tutto", eco di un passato di emozioni di piazza ormai irrimediabilmente sbiadite...: è evidente che abbiamo clamorosamente perso.

Pagheremo caro, noi che abbiamo assecondato la nostra stessa  inconsapevole malafede, pagheremo tutto, compresa questa  nostra stessa  innocenza obnubilata di qualunquismo.

Dall' abbaino della rocca, sede del mio amore malinconico per voi e per me, buon anno.

mercoledì 28 dicembre 2011

Questo nostro leggerci

" Nella lettura c' è un mistero, un mistero la cui contemplazione può probabilmente aiutare non a spiegare, ma a cogliere altri misteri nella vita degli uomini"  (*)

Il mondo ha milioni di significati, e poi ancora di più, tanti quanti sono i segni suscettibili di emozioni personali: si tratta di un valore enorme, forse pure, in potenza, infinito.
Senza il nesso che ciascuno di noi attribuisce ad un qualunque segno attraverso la sua propria sensibilità, esso resterebbe neutro in termini di significato.

*
Tra le  mie esperienze di viandante, accadde che una notte d' inverno mi inerpicassi su di una ripida mulattiera di montagna che conduce ad un' antica chiesetta isolata tra boschi d'abeti e faggi ( I fàgher).
Ai lati della stradina cumuli di neve, le forme scure e gigantesche degli alberi, a tratti antropomorfe, un' aria deliziosamente pungente, un' indefinibile precognizione di luce (algida luce cristallina intuita), pur nel nero della cappa sovrastante.
D' improvviso, un bagliore, come lama lattiginosa, ma tagliente: il sorgere della luna. Fu una meraviglia di molti minuti protratta, un piacere di sensi che non evapora immantinente in fuggevole ricordo e rimpianto.
Poi, sempre più inesorabile, travolgente, fatale, l' aurora di luna esplose e mi tolse il fiato, come in un parto.
Un parto di ordinaria bellezza universale.
E mi sentii consacrata bellissima, in una sensazione di connessione perfetta tra il mio dentro, il mio fuori, ed il mio altrove. Avrei potuto fare, in quell' istante, qualsiasi cosa, come un' apostola del Tutto, perché ero Tutto: amare un altro corpo, parlare una lingua non mia, rimanere immobile o correre come un levriero di savana, oppure, senza il minimo turbamento, morire.
*



La luna era, semplicemente sorta, come sa fare da quando esiste: non viene dalla sua massa e dai suoi crateri tanta misteriosa potenza.
Ma l' anima ha sempre improrogabile desiderio d' espansione -e poi di comunione al di fuori del suo corpo- e lo strumento ideale dell' evasione è l' interpretazione dei segni attraverso la propria originale, irripetibile ed unica  sensibilità.
Solo, ciascuna delle sensazioni di cui si è capaci, può essere perfezionata, affinata, ulteriormente sviluppata, fino a rendere sempre più possibile, sempre più vicina, la comprensione di ogni cosa.

"In un certo senso non ci sono date che sensazioni; in un certo senso noi non possiamo mai, in nessun caso, pensare altro che sensazioni. Ma in un certo senso non possiamo mai pensare le sensazioni. Attraverso esse pensiamo solo qualche cosa. Attraverso esse noi leggiamo. Che cosa leggiamo? Non qualsiasi cosa, a nostro piacimento. Neppure qualcosa che non dipenda in alcun modo da noi." (*)

Innumerevoli volte mi sono lasciata sedurre intellettualmente o sentimentalmente da qualcuno, da qualcosa. Quasi sempre quella fascinazione originaria è stata poi smentita dalla successiva scoperta di altri, sottesi, più nascosti, elementi.
E' un evento banale, intimamente serpeggiante, di potente contraddizione ed estensibile a qualsiasi atto umano, nella sfera privata e perfino in quella pubblica e politica. (Pensare all' avventura berlusconiana -ad esempio-  dimostra che la vera abilità del suo fondatore è stata quella di modificare il modo in cui i suoi numerosi elettori leggevano i segni della sua pacchiana comunicazione.)

Ciò che ha il potere di modificare la nostra sensibilità, allora, è lo strumento (per il grande comunicatore il mezzo di diffusione, per l' interlocutore semplice la parola scritta od espressa oralmente ed il gesto, ) e per usare lo strumento in modo corretto, ed evitare che svii la nostra lettura, ci vuole una grande ed estenuante pratica, fatalmente sempre  dolorosa.

"Per il marinaio, per il capitano sperimentato la cui nave è diventata in  certo senso il prolungamento del suo corpo, la nave è uno strumento per leggere la tempesta, ed egli la legge in modo del tutto diverso dal passeggero. Laddove il passeggero legge caos, pericoli senza limite, paura, il capitano legge necessità, pericoli limitati, risorse per sfuggirvi, un obbligo di coraggio e di onore.
L' azione su sé stessi, l' azione sugli altri, consiste nel trasformare i significati." (*)

Quanto sappiamo noi leggerci, amici blogger?


(*) Simone Weil, Quaderni, Volume Quarto, Appendice

lunedì 26 dicembre 2011

Amori da morire -3-

Alla fine decise di arrendersi, definitivamente, alla sua più intima verità, per quanto imperfetta.

Non esisteva un solo modo per sfuggire a sé stessa, né tantomeno agli scherzi della casualità: non rimaneva, quindi, che tenersi pronta a parare gli eventuali colpi della sorte e il fuoco incrociato delle contraddizioni proprie ed altrui attrezzandosi bene con ideale cotta al titanio sull' anima. Come arma offensiva, invece, la punta di diamante di una schiettezza un po' robotica e talvolta incresciosa.
Ciò almeno nelle intenzioni.

Le arrivarono, sparse e più avanti, qualche voce, alcune cartoline illustrate, una lettera.
Lei, intanto,  lo aveva ribattezzato "Verme", anche se lui non lo seppe mai. .
Le dissero che dopo che lei l' ebbe lasciato, lui fuse  e si riprese -per poi rifondere, e riprendersi- v arie volte, cercò la di lei amica per evocare a parole la presenza perduta,  divenne amico del suo stesso rivale e convennero entrambi d' essere stati vittime di una schiacciasassi dalle sembianze muliebri.
Le spedì cartoline dai luoghi dei suoi viaggi (affrontati con l' energia di cui sempre necessitano gli spostamenti oltre oceano e di cui solitamente i morti non dispongono ) e quando a lei arrivò quella da New Orleans con jazzisti neri ed atmosfera anni venti, comprese finalmente d' essere innocente, di non aver ucciso mai in nessuno la voglia di sopravvivere, e di essere forse la sola persona al mondo capace d' amare in modo passionalmente romantico, ogni volta sempre con carattere definitivo, ultimativo, potenzialmente eterno perché marchiato in una memoria di abbacinante purezza ed illimitatamente capace.
Ma era pur sempre un amore-idea, da lei forgiato ciascuna volta ed a prescindere dall' oggetto, nella rovente fucina del suo cuore, e non c' era  stata ancora anima che potesse meritarlo.
Illusione, sempiterna. Impossibile eliminarla e restare umani, impossibile.


Nella lettera, mesta ed inconcludente, lui le confessò di non aver mai più fatto l' amore senza di lei, e la sola cosa che a lei ne derivò fu la nauseante sensazione di leggere l' ennesimo vile tentativo di ottenere ciò che implicherebbe grandezza e nobiltà d' animo con vili espedienti disimpegnati di sapore vittimistico.

"Preferisco mille volte schietti incontri di sensi ed il volo onirico di una notte con chi non mi dichiara nulla, alla gelatinosa altalena di pietà e disprezzo che la tua umana pochezza, attraverso la colpevole velleità d' amore con cui non smetti di avvicinarmi, ormai mi ispira" lei pensò. 

Allo scadere del secondo settennio, quando il caso volle e li fece reincontrare, lei lo trovò l' individuo più insignificante della Terra. Lui le scodinzolava intorno, ma lei rimase impassibile ed indifferente.
" Ho sentito che tuo padre non stava bene. Mi dispiace tanto. Quasi non riesco a chiederlo... Dimmi, è... è... morto?" chiese lui con la faccia compunta e lo sguardo nella sua scollatura.
"Che t' importa, omino" lei fu tentata di dirgli. Ed invece rispose, con la voce rotta, vincendo un' ondata di sofferenza ed odio intollerabili: "No. Non ancora. Non ti crucciare."
Dopo meno di un' ora lasciò il locale e gli altri amici ed andò senza salutare.
Guidando verso casa pensava a che cosa mai potesse servire, nel disegno cosmico cui a lei, per celia, piaceva credere, l'increscioso ripetersi di questo incidente periodico.

Sette anni dopo la responsabilità, tutta intera, fu della sua unica amica. "Ti prego accompagnami: ci tengo davvero tanto a veder questo film. Non voglio andar al cinema da sola di notte. Dài, scollati dalla tua grotta, andiamo insieme."



"E va bene. Ti accompagno. Passo a prenderti io, bada d' essere già sulla strada, ché non si può assolutamente sostare, sotto da te, lo sai bene"

"Accidenti, guarda chi c'è. Non posso crederci."
"No! Il Verme. Ancora. Vado via."
"Niente da fare. Ci ha viste."



(continua, forse.)

sabato 24 dicembre 2011

A Natale salva un àstice

" Dove Sile e Cagnan s' accompagna"
(Dante Alighieri, Divina Commedia (Paradiso, IX, v.49)

Lì, accidenti, lì: andrò a gettarlo lì.
Gli renderò la libertà, con il capo cosparso di cenere, per il mio cattivo impulso primigenio di giustiziarlo nel court bouillon fumante ed aromatico...
(...mmm, la fragranza seducente del prosecco d' annata, le verdurine dai graziosi color pastello e solari, l' esotico pepe macinato fresco, che stuzzica i sensi, la promessa del gusto, l' abbozzo del sogno edonistico della pietanza impiattata, colore, sapore, profumo...)
  
"Creaturina dell' Iddio Delle Acque, perdonami per lo spavento che t' ho inflitto, prelevandoti dal banco del pescivendolo con impressa in faccia tutta la mia voracità d' umana, ma se il tuo attaccamento alla vita è sì tenace da conservarti vivo dopo ore di frigorifero fuor del tuo elemento, beh, allora voglio fare ammenda."
Ti adotterò a distanza. Ti lascerò vivere, adagiandoti nella tua grande casa, tra i flutti.
Non nel Sile -ora che ci penso, e grazie al Cielo me ne avvedo-: tu sei vivente d' acqua salata. Ti restituirò alla romantica Laguna.
Vado, velocemente, prima che sia troppo tardi.
Su, vieni. Ti porto a rinascere. Orsù, andiamo, fratello crostaceo.

E grazie, mio buon Astice,
grazie per avermi illuminata,
una buona volta,
alfine (!)

sull' occulto significato del Natale.

mercoledì 21 dicembre 2011

Meità.

Ho da tempo imparato a non aspettarmi alcuna solidità e permanenza  di pensiero né vera affidabilità dai colleghi umani.
(Ciò è molto, molto triste -per me-, ma non si tratta di una critica: noi tutti -è evidente- abbiamo una seria difficoltà ad essere, data questa fatale e strutturale condanna a pensarci nel mentre pensiamo d' esistere. Ma focalizzare il momento esatto in cui stiamo esistendo non ci riesce -è evidente-, giacchè quel momento, nel mentre tentiamo di metterlo a fuoco, è bell' e andato.)
Inoltre è così anche a causa dell' alta posizione conquistata sulla scala evolutiva, che ci ha resi nel contempo sì tanto potenti e velleitari senza peraltro cancellare anche fragilità, aleatorietà ed umoralità, lasciandoci in grosso e spesso irrisolto conflitto tra la nostra dotazione razionale e la nostra necessità immaginifica.
Se ci sono tipi a me totalmente invisi, d' altro canto, sono i puramente logici, i logici a tutti i costi ed in ogni situazione. Essi sono, indifferentemente, sub od iper umani, in diverse sfumature magari, e spesso molto ben camuffati da fautori del buon senso.
Imperturbabili, freddi come ghiaccio, duri come marmo: praticamente morti dentro.

*
Davvero, se solo sapeste quanto vi amo, invece, umani immersi in un improbabile altrove, risucchiati in un vortice di sentimenti contrastanti alla ricerca dell' impossibile equilibrio tra idee, sogni ed azione, eternamente tentati dalla soddisfazione dell' ego ed in colpa per la bassezza di quel desiderio pur veniale, proiettati in una visione cosmica delle cose e rinserrati in una stanzuccia con finestrella sbarrata... simili e fratelli, potenziali amici, numero esiguo ed in inesorabile estinzione, disperati pur in grado di sorridere...
Ma che farsene, di questo lato amore, se i suoni delle parole che avremmo da dirci, vis a vis, si ingarbugliano in gola e si fanno groppo, e non c' è modo di farle uscire, ed in loro vece lasciamo dire qualche timido ed impacciato gesto, qualche impercettibile guizzo di muscolo facciale ...  

*

Su tutto, c' è il problema temporale. La spina del tempo, rispetto al quale non si riesce  a rapportarsi, e che è punto essenziale, giacché nessun cruccio esistenziale umano trova sviluppo e soluzione se non si può, in qualche modo, inquadrarlo temporalmente.

Gli è che:
"Ogni coscienza è coscienza 'di' qualche cosa." (Husserl) (*)

Si pensa, in genere, di aver coscienza d' essere stati almeno nel proprio passato: cioè di ciò che è certamente verificato. Si ritiene di sapere, ad esempio, chi era, in quel dato momento trascorso, una data persona, magari proprio noi stessi. Non raramente, il passato, letteralmente, tallona l' individuo nel suo stesso presente. Ma poi sovviene il ragionevole dubbio che non sia così.
Perché è pur anche vero che:

"Se la concezione di Cartesio e quella di Bergson devono essere parimenti rifiutate, è perché cadono tutte e due nel medesimo vizio.

[Bergson: un avvenimento del passato non cessa di esistere, ma 'sta', rimane al suo posto, in quella data, per l' eternità, attraverso il ricordo interpenetra il presente, perché la durata è molteplicità; Cartesio: il passato non è più, si annulla,  e tutto è soltanto presente. n.d. r.]

Annullando il passato o conservandogli l' esistenza di un dio lare, questi autori hanno considerato 'a parte' la sua sorte; isolandolo dal presente; e quale che fosse la loro concezione della coscienza, le hanno attribuito l' esistenza dell' in-sé, l' hanno considerata come ciò che è. Non vi è quindi ragione di meravigliarsi del fatto che non siano riusciti a ricollegare il passato al presente perché il presente così concepito respingerà il passato con tutte le forze. Se avessero considerato il fenomeno temporale nella sua totalità, avrebbero visto che il 'mio' passato è anzitutto mio, cioè esiste in funzione di un certo essere che io 'sono'. Il passato non è il 'niente', non è neppure il presente, ma deriva dalla stessa fonte, essendo legato ad un certo presente ed a un certo futuro. Questa 'meità' di cui parla Claperède, non è una sfumatura soggettiva che venga a infrangere il ricordo: è un rapporto ontologico che unisce il passato al presente. Il mio passato non appare mai nell' isolamento del suo 'essere passato', sarebbe perfino assurdo pensare che potesse 'esistere' come tale: è originariamente passato 'di questo' presente. " (*)
 
 
Il mio passato mi cammina a fianco perché non è qualcosa che ho, ma che sono.
E' la ragione -scopro- per cui non solo non dimentico nulla e più precisamente nessuno, ma anche per cui pretendo analoga consapevolezza negli altri che a me si rapportano.
Ciò che fai, ciò che sei, ciò che mi dici, ciò che di me vuoi o vorrai (e, specularmente, vale per me) ha così carattere permanente, di eterna valenza, a prescindere dagli sviluppi degli eventi e delle scelte materiali.
Com' è corroborante capirlo. Pur se il senso sarà compiuto con la morte.
 
 
" E' una massima riconosciuta da lungo tempo fra gli uomini, che non ci si può pronunciare sulla vita dei mortali e dire se essa è stata felice o infelice, prima della loro morte." (Sofocle) (*)
"La morte trasforma la vita in destino" (Malraux) (*)


 


Con affetto, ai miei preziosi elettivi lettori.
Buona sempiterna rinascita.


(* Jean Paul Sartre, L' essere e il nulla)

venerdì 16 dicembre 2011

Nel bacareto

Qualcuno, che non sia veneziano, ce l' ha presente un 'bacaro'?

Di etimologia incerta, forse ispirata alla figura mitologica di Bacco ( ed allora siam nel terreno dionisiaco), il termine bàcaro (lo scrivo accentato per facilitarne la pronuncia), oltre ad indicare un locale aperto al pubblico -una via di mezzo tra l' antica mescita di vino e l'osteria di porto, dall' arredamento spesso rustico, povero e solido ed un aleggiante mescolìo di  odori singolare: di polpette, uova sode, insaccati, trippe e nervetti lessati, ma anche seppioline grigliate aglio e prezzemolo, lumachine di mare, crostini al baccalà ed altre amenità, dove lo spritz altro non è che acqua minerale e pessimo vino bianco di bottiglione e un' ombreta de rosso, a detta del mio amico eno-gastronomo Bombo, raramente avrebbe superato un esame di qualità di pur modesto livello-, indica  soprattutto uno stile di vita. Così, almeno, ai primordi. Molti bacari di oggi, nella Venezia dissacrata dal turismo becero da cui non c' è città d' Arte che possa dirsi libera, sono altra cosa: posti irrimediabilmente radical-chic e senza autentica anima.

"Andar per bacari" significava, per noi ragazzi nati nei primi anni anni 60 allora poco più che adolescenti e studenti, contemporaneamente aggregarci, incontrarci, divertirci, fare politica, innamorarci, sognare in gruppo. 
Era in uno di questi posti che ci riunivamo per prepararci gli interventi per le assemblee, organizzare le autogestioni e le partecipazioni alle grandi manifestazioni di piazza, nonché programmare uscite ricreative, ludiche, ed altre occasioni per stare insieme. Quanto ci amavamo!

E' perché c' era il futuro, quasi certamente, per un concorso di ragioni: avevamo diciott' anni, innanzitutto, ed eravamo praticamente certi di cambiare il mondo.

Per ciò che mi atteneva e mi attiene, quello era l' amare cosmico, alleggerito da qualsiasi implicazione morbosa e svincolato dalla morsa del tempo.
Ciò è tanto più vero, quanto più ne risulta permanente la memoria, giacché, nel mentre, si sono srotolati trent' anni di esistenza ed io continuo a ricordare la pienezza di molti dei nostri discorsi e rapporti di allora.

Poi, questa carestia. Interminabile. Tanto da riuscire ad esprimersi, argomentare, dar calore,  appassionarsi, soltanto così. Ma come siamo precipitati in basso.

E la rivoglio, quella roba là, del bacaro. Mai stata più felice di quando ci bastava un litro di torbolino, un piatto di nervetti e la certezza dell' amicizia.
Io la rivoglio, prima della fine del mio tempo.

mercoledì 14 dicembre 2011

Amori da morire -2-

Ad ogni svolta d' esistenza  rivelatasi fallimentare lei s' inferociva sempre più con sé stessa.
Se i più potevano confondere il suo stoicismo esterno con una forma di imperturbabilità e controllo vicino alla freddezza, la verità era che, in lei, le delusioni  scavavano lacerazioni dolorose e permanenti, creando strati e strati di cicatrici sedimentate, tanto che ella aveva spesso l' impressione che simile accumulo potesse trasparire all' esterno, come tracimando, e darle un aspetto grottesco,  mostruoso e ben visibile agli altri.
Nei momenti più calanti aveva affinato una tecnica straordinariamente efficace per contrastare questa piccola psicosi: s' immaginava così intensamente invisibile, per la strada, nei locali, ovunque vi fosse gente, da tranquillizzarsi tra sé e sé: "Non mi vedono,  non possono vedere l' oscenità della mia catasta di presuntuose illusioni sconfessate, di imperdonabili errori di valutazione, di amori finiti, non dimenticati ma giustiziati sull' altare della ricerca della perfezione sentimentale, di velleitarie e reiterate speranze."

E il livore verso sé stessa -lei lo sentiva-, rischiava di sfuggire al controllo, e propagarsi agli altri, rendendola vittima di pregiudizi ingiusti.

Allora decise di non amare per un po', di sospendere la sua ansia di tenerezza e la rincorsa delle impossibili affinità elettive al chiodo,  e non ferire, non ferirsi, non riprovarci.
Almeno per un po' sfuggire alle passioni, tentare di approcciare la vita in forzata dissociazione intelletto-cuore. Ci sono le cose da fare, le imprese da tentare, la creatività da sviluppare, una mèta a scelta da rincorrere, magari pure ammantata di un alone di nobiltà. E ci sono lo studio, la lettura, la musica, i cani, i gatti, i pettirossi. C' è tanto da conoscere, ancora meraviglia, mistero, immaginazione, personalità eccellenti...  

Quale ridicolo proposito.
Ingenuamente ridicolo, pur se in purezza di intenzioni.
L' umano è animale sociale, sostanzialmente tendente verso i propri simili. In fondo è sociale perfino lo stilita che si mortifica sulla sommità della colonna: la scelta di allontanarsi dai suoi cospecifici è sempre frutto di una reazione nei loro confronti.
E non possiamo che vivere con il corpo, trasmettere pensiero mediante il corpo, parlare, guardare, sentire, dare e prendere che con il corpo: rinunciarvi è totalmente impossibile, porta all' alienazione.
Non è sublimandoci che eviteremo di soffrire e, pure non intenzionalmente, dare sofferenza: ci aggredirà sempre, spuntando fulmineamente da un angolo, l' irrefrenabile bisogno di verificarci in vita, di aggrapparci alla materia per non precipitare nel nulla,  di toccare e lasciar toccare questa nostra carne caduca e mortale del cui destino, ad ogni respiro, abbiamo inesorabile e meravigliosamente triste consapevolezza. Ma la difficoltà sta nella conquista della giusta misura,  che per lei -evidentemente- era quella eroica ed onesta. Onesta con sé stessa, priva di infingimenti o tortuosi percorsi interiori su basi di vischiosa malafede.

Due anni di coercitiva apnea sentimentale.
Procrastinare alfine, e fin quanto occorresse, quell' ingorda sua fame d' immenso, quella sua velleitaria pretesa di farsi dèa, toccare il sublime, avvicinarsi alla perfezione, e poi dare e avere ad un altro senza tuttavia perdere né rapinare niente: questo, voleva.
Voleva dimenticare il ripugnante aspetto mercantile dei rapporti umani. Voleva imporsi l' indifferenza ed essere glaciale, così, forse, lo schifo -da congelato-, si sarebbe frantumato in mille pezzi, e poi, finalmente, dissolto. 
Ecco l' idea, per niente geniale, e neppure completamente originale: l' attesa dell' assoluto, oppure niente.
Intanto... provare a  tornare selvaggi.




Riuscì solo a scartare lievemente di lato, se pur con estrema concentrazione ed applicazione, ma non eludersi, né elidersi totalmente.
Ciò che lei era, in fondo, costituiva la vera trappola: essere sé stessa rimaneva comunque il suo vero 'destino'
La disponibilità verso il prossimo -sua caratteristica-, l' interesse per le storie, la vita, i fatti, le idee della gente che incontrava, ma anche -molto più egoisticamente- il piacere che le aveva sempre dato stare vicino ai suoi simili nelle ordinarie situazioni dell' esistenza (lo scambio di gentilezza al bar prendendo un caffé, un estemporaneo  sorriso senza alcuna conseguenza né intenzione, la conversazione, l' uscita in compagnia al cinema, una cena, una mostra, qualsiasi occasione di incontro non sospetta...) a lei erano sempre risultate fluide e naturali, nonostante l' interpretazione altrui, talvolta morbosa. Ma pare che a quest' ultimo fatto non esista proprio alternativa.

Nonostante -dicevo- ciò che si era prefissata, la sua natura era immodificabile ed implacabile.
Come quella di tutti, perché
Nessuno cambia,
Ed ognuno è solo
Punto.
Così si rese conto ben presto che il male non stava affatto nella passione che, travolgendola, l' aveva indotta a vedere delicatezza laddove esisteva soltanto fragilità, ed amore dove invece non c' era che ignavia , ma bensì nell' auto imposizione di un cinismo che non le poteva, in alcun modo, appartenere.

Per un po' volle credere che qualcuno ambisse alla sua vicinanza perché vedeva bella la sua anima, ma non ci volle molto ad ammettere onestamente che era davvero triste raccontarsi simile favola: gli altri non vedono assolutamente nulla.
Imparò che un uomo non riesce a restarti  amico se lo respingi mentre lui desidera anche il tuo corpo, e non aspirerà mai alla tua amicizia se non ti troverà anche attraente,  ed imparò che, pur di non morire di una solitudine più ampia, universale, cosmica, permetterai, tu, donna, di farti ridurre ad uno strumento di effimero piacere.
Capì che era a questo, che si riduceva l' essere selvaggi.
Capì che le affinità elettive sono un sogno. Ma non smettere di sognarle era il modo meno infamante per dare un senso alla sua vita.

(segue, forse...)

martedì 13 dicembre 2011

Cloaca maxima

C' è il parlamentare della Repubblica Italiana che sgalletta e bisticcia con la parlamentare europea sulla cospicuità dei loro rispettivi stipendiucci -anzi indennità, rimborsi, diarie-.

Mi danno il voltastomaco, letteralmente. Sto male.

Li vorrei sprofondati tutti, e definitivamente tutti dimenticati, questi impudichi.

Finalmente tra loro uguali, nella cloaca maxima che spetta loro di diritto

giovedì 8 dicembre 2011

Amori da morire

Si reincontravano, fatalmente, ogni sette anni, senza alcuna intenzionalità ed in modo del tutto casuale, e le conseguenze di simile fortuità,  ogni volta, modificavano le loro rispettive vite, che proseguivano poi separate e senza alcun rapporto né  ulteriore contatto.

Lei era una donna capace, o preda, di una impietosa razionalità, e nel contempo spregiudicata genitrice -ed anzi abile tessitrice- di suadenti e coinvolgenti sogni atti a fornire salvifica alternativa alla sua stessa, ed altrui, mortificante e normo-squallida quotidianità metropolitana.
Di conseguenza, non era possibile per alcuno 'resisterle': risorgendo direttamente dal nero pozzo del suo dolore umano e della sua perplessa e contraddittoria bramosìa del vivere, i suoi immaginari allestimenti in potente alternativa alla noia d' essere -fatti d' amor maschio e cortese ed eroica leggiadria-, erano un canto di sirena per stanchi viandanti ormai dimentichi di sé e dell' infantile inconsapevole abilità di salvarsi nelle coerografie parallele del sogno.


"Sette: ha del pitagorico"  s' accorse lei, più tardi, senza crederci troppo.
"Numero esoterico, in effetti, secondo chi ha bisogno vitale di trascendere l' implacabile uggiosa realtà e l' impermeabile, liscia, fredda superficie della normale vita che ci è dato vivere." cominciava a voler convincersi.
" Sette i giorni della Creazione e della settimana; sette i Chakra; sette il numero della mia personalità associata alla ricerca interiore; di Urano; della contemplazione, ma anche dell' episteme; sette le volte che mi si deve impercettibilmente deludere prima che me ne vada per sempre. Sette è il mio numero. Il mio, che sono duale..." continuava, titillando il pensiero. "Ma io a queste corbellerie fantastiche ed esoteriche non posso proprio credere."

La prima volta della sequenza che si rividero fu un settennio dopo la conclusione dei primi studi superiori. Lei appena sposata, lui in procinto di farlo con la fidanzata ufficiale.
Un' occasione un po' banale: la cena dei coscritti, cui lei aveva partecipato soltanto per via delle insistenze dell' invito, un misto di curiosità per le vite degli altri, e, molto probabilmente ma inconsapevolmente, a causa di un suo certo qual malessere , molto vicino all' infelicità, che la sua fresca condizione matrimoniale le aveva rivelato.
Lui, invece, partecipava sempre a qualunque cosa. Così, giusto per esserci. Essere tra altri. Ecco: per lui ESSERE era sempre CON, TRA, PER, IN RIFERIMENTO DE gli altri, ossia, la comunità.
E quest' ultimo elemento non è irrilevante, per comprendere gli sviluppi della storia.

Ma dopo l' insulsa cena ed i saluti frettolosi alla compagnia, in tre si attardarono sul piazzale del ristorante a chiacchierare ancora un po', per poi accorgersi, trascorse altre due ore al freddo notturno  di quel sabato di febbraio, che non riuscivano a congedarsi. Erano lei, lui, ed un terzo che aveva subodorato la situazione e li amava entrambi, o forse, essendo questi un prete-laico ed essendosi innamorato infelicemente di lei da ragazzino sui banchi di scuola, sperava di poter bloccare, un po' per dover sacro ed un po' per nostalgico egoistico attaccamento al suo antico sentimento, l' imminente inesorabile uragano che già rumoreggiava all' orizzonte.

Nei giorni seguenti l' uragano si scatenò con inaudita violenza: bastò una settimana di ritorno alle consuetudini, perchè la distanza si rendesse crudele ed intollerabile e lui le dichiarasse, al telefono, "Ti amo da morire. Letteralmente, sento che ne morirò."

* Ma c' è qualcosa di più assurdo di questo?
Cos' è che ci fa apparire così profondamente nobile e romantico il morire d' amore?
E cos' è amare se non ambire all' annullamento, al sollievo di liberarsi, finalmente, dall' immane peso di condurre questo nostro 'sé', gravoso opprimente vigliacco, troppo a noi appresso lungo l' intera nostra esistenza?*

Così, tutto fu spazzato via, nel vortice cieco di quella che si rivelò un' illusione e che ora, ragionandoci, pare un disegno del destino, perché non c' è nulla che a noi umani necessiti più dell' astrazione, della narrazione, del simbolo.

*Ma il destino è una favola, un alibi, un pretesto.
Ed invece sono le azioni degli uomini a determinare la loro storia. Sono il loro coraggio, la loro ignavia, la loro forza o la loro fragilità a forgiarlo e determinarlo. Noi siamo condannati alla libertà.*

Lei lasciò suo marito, lui lasciò la fidanzata.
Si guadagnarono entrambi la riprovazione dei congiunti, dei loro ascendenti, di un po' di società.

Lei se ne andò con una valigia d' abiti, senza alcuna pretesa ulteriore, senza cose né desiderio di vantar crediti, trascinando con sé la frustrazione di non poter evitare il dolore di chi pensava di amarla ma nella più completa inconsapevolezza l' aveva già cento volte ferita.
Ebbe modo così di accedere a molte rivelazioni. Vide senza veli tutta la misoginia repressa del proprio padre, il formalismo un po' miserabile di sua madre, l' abilità nel freddo calcolo economico dell' uomo che aveva lasciato ma che, ciononostante, la chiamava piangendo la sua solitudine.

*la vita del marito, poi, andò molto bene. Si riassettò, non prima d' essersi concesso un paio d' anni di spensierato edonismo, con qualche caduta di stile, e si costruì una famiglia finalmente 'affidabile'. Naturalmente 'per sempre', come si usa tra coloro che sanno rendere fissa e sicura la propria vita attraverso istituti, formule, contratti, schemi.*


C' era un amore da vivere, c' era "la favola bella che ieri c' illuse, che oggi ci illude", a consolarla.
Sì, lei credeva d' averne pieno diritto. pensava che ne avessero diritto tutti, purché agissero in chiarezza, in onestà, per quanto fossero costate.

Trascorsero quattro mesi, nel corso dei quali il suo nuovo compagno non fece che piangere sulla sua spalla. Piangeva per il senso di colpa d'aver lasciato la fidanzata ufficiale, che, poverina, era depressa; piangeva perché la sua vita s' era complicata; piangeva perché i suoi ce l' avevano con lui; piangeva perché pensava all' altro, che lei aveva lasciato; piangeva perché la passione vitale di lei lo bloccava anche nell' intimità. E "fondeva". "Sono fuso", diceva, e, subito dopo, si rinchiudeva in casa per "guarire" da quel malanno che non conosce cura e che si chiama viltà. Poi, passata la crisi, la chiamava piagnucolando. "Ti amo da morire. Senza di te muoio"

Lei lo lasciò definitivamente, all' inizio dell' estate.

Volle trattenere una canzone, perché fissava un momento, forse l' unico perfetto in tutta quella sequenza passata di mortificanti disillusioni. Non si può, non si può amare alla pari chi ci ispira mesta compassione, né chi risponde al nostro iniziale eroismo con la sola offerta di fragilità e debolezza.



Poi, trascorsero altri sette anni, e ...

(segue, forse...)

lunedì 5 dicembre 2011

A loro le lacrime, a noi il sangue

Noi, che abbiamo dato i natali al melodramma, non ne dovremmo affatto essere sconvolti...
Ma, prima d' ora, io non avevo mai visto singhiozzare un Ministro in diretta.

Ricordo, veramente, un aspirante Presidente del Consiglio, in tempi già sospetti -ma soltanto per i più 'scafati' e maliziosi, i soliti 'comunisti'-, piangere nel 1997 sull' atroce sorte di alcuni diseredati disgraziati,


e poi anche, un po' più tardi, per la dipartita di un fido dipendente di sue televisioni, esecutore scrupoloso di un' importante parte del grande processo storico di mediocratizzazione del nostro Paese, ma non esisteva ancora l' amara odierna consapevolezza d' essere tragicamente in bilico sul baratro economico e finanziario di un intero sistema.

Ci son stati, nel frattempo, molti profeti. Ed i profeti, per loro stessa natura e destino, o sono disarmati, o troppo depressi e depressivi per risultare efficaci, oppure un po' ignavi e dalla voce niente affatto stentorea.

Il risultato, giunti al capolinea, sono le lacrime di una Ministra, la quale, annunciando il prossimo venturo colpo d' ascia su tutti coloro che accasciati già lo erano da sempre, o ne prova cocente vergogna, o dà una dimostrazione davvero encomiabile di autentico talento d' attrice.

A lei le lacrime, ed a noi
il sangue.

domenica 4 dicembre 2011

Rarefazione

Sono una creaturina respirante, qui, su una  palafitta di barena e velma, e l' acquerùgiola della nebbiolina padana mi risucchia nel passato, ancora palpitante - cuore aperto, anima nuda-, di un' infanzia mai tradita, rimasta nel suo pertugio ricavato nella cassa toracica -odi: sta qui e pulsa e spinge-, in ombra e luce, eternamente presente, sola certezza, sicuro porto.


*

Sul quaderno nero dallo spessore rosso, l' esercizio di grammatica: acqua, acquacedrata, acquacoltura, acquaforte, acquafortista, acquàio 1, acquàio 2, acquaiòlo, acquamanile, acquamarina, acquametrìa, acquananfa, acquanàuta, acquapiano, ... acquattare, acquavite, acquazzone, ... acquiescènza, acquièscere, ..., acufèni ,acuire,  acuità, ...

*

Vago, vasto, perduto, provocano piacere, come se sapessimo naturalmente che la sola felicità possibile e non effimera sta soltanto negli istanti di sospensione della nostra stessa vita.
Questo a me succede - s' intende-, ma certo non soltanto a me.

Sto bene, ora, sospesa sulla rocca. C' è un piccolo prezioso assembramento di cuori, quassù, nel vento.
Sapere di non sbagliarmi, averne ferma sicurezza, equivarrebbe alla perfetta felicità. Felicità è pura idea.

Ci sono le grandi fiumane di ideali tipi umani, e questo carambolare nel mondo e nella vita altro non è che il tentativo di non affogare in quella  non confacente ed ostile.
Ricerca dell' affinità, del piacere intellettuale - ma pur sempre esclusivamente ed indiscutibilmente umano- pur tra i mille rigagnoli e rami di un enorme bacino di reti e di impulsi nervosi, fatto di vero, e di falso, di illusorio, di geniale, di strumentale, od assolutamente sincero.

Ciò che è passato, strappato via dal tempo, è eterno rimpianto: quanto l' amiamo; quanto amiamo il nostro dolore.
E le speranze dell' impossibile.


 

giovedì 1 dicembre 2011

Così, per dire

*

Il signor Monti deve spiegare a noi comuni mortali - e fra poco, anche grazie a lui, morenti -, lo sviluppo corretto dell' equazione: ' posticipo età pensionabile=impulso assunzioni giovani e donne', perché io proprio non riesco ad arrivarci.
Sarà un mio imperdonabile limite, per carità...

Pare quasi che le aziende non assumano perché è troppo costoso incrementare il numero dei dipendenti, perché le banche non concedono credito, perché la tassazione fiscale è troppo alta,  ma non è soltanto questo: qui, nella piccola realtà imprenditoriale del Nord Est, per esempio, non assumono -ed anzi mettono le maestranze in cassa integrazione-, anche perché non hanno commesse di lavorazione, né ordini.

Senza investimenti non cambierà mai nulla, in verità, e tutto il resto è demagogia spicciola, o panzane belle e buone, senza pudore.

Ma è solo una noterella da discorso da osteria. Uno sfogo estemporaneo. Massì: questo è il mio piccolo Tempio (singolare rocca isolata, ma paradossalmente aperta al mondo)  e posso essere anche banale. Liberamente banale. Perché no.

Possiamo essere talmente liberi da non sentirci obbligati a spocchiosi intellettualismi, se ci pare. Non è così, Cavaliere Errante?

*


Il fatto è che le classi dominanti degli ultimi decenni hanno fallito i loro stessi programmi di felice globalizzazione; le ideologie borghesi han portato al disastro attuale, la cui più grave conseguenza è forse l' ottundimento sociale che sta sotto agli occhi di tutti.

Siamo tramortiti, in verità, ma con il  pesante sospetto che la democrazia stia dimostrando qualcosa di mostruoso: è cioè d' essere una colossale fregatura per i soliti noti, ovverossia i lavoratori a reddito basso, i giovani, le donne.

Patrimonio, evasione fiscale, equità sono eresie.

E stavolta, non c' è alcuno spettro che vaghi per l' Occidente.








mercoledì 30 novembre 2011

Silenzio: è solo mia.

Ma come si permettono, questi pusillanimi, questi esseri atterriti, abbarbicati in modo spesso osceno  ad un' idea di esistenza illusoria, o totalmente ipocrita, o, comunque, soltanto loro, a blaterare, disquisire, legiferare, pontificare, ipotizzare, sulla mia morte?
Silenzio: è soltanto mia.

S' interessassero, semmai, della mia vita, questi voyeur morbosi dal bieco moralismo... S' interessassero della mia malattia, della mia solitudine, della mia disperazione, dei miei pensieri, del mio dolore, mentre esisto...
No, vero? Chi se ne importa? Chi sei? Che vuoi?
Nessuno. Sono Nessuno, quindi,
silenzio: la mia morte è mia.

Ma essi non sopportano l' idea che io faccia ciò che non sanno fare: sottrarmi alla paura che comanda da sempre la loro esistenza.






martedì 29 novembre 2011

Sì,anch' io

Il male non è nel desiderare, come i mistici ed i pseudo-filosofi insinuano.
Desiderare è totalmente e indefettibilmente umano.
Costituisce  naturale conseguenza del pensiero e dell' immaginazione, che sono i connotati salienti della nostra specie.
E' talmente umano e sensato sperare che quanto costituisce l' essenza della vita interiore, la riflessione non disgiunta dall' astrazione, il pensiero proiettato sempre altrove, oltre lo spazio ed il tempo, possa in qualche modo materializzarsi e realizzarsi...
Ho imparato a diffidare dal pragmatismo nudo e crudo, patrimonio solitamente dei poveri di spirito.

Quel che a me pare disdicevole è semmai il desiderio compulsivo e scostante, oppure anche ossessivo e maniacale, limitato al più becero edonismo, o mosso comunque dai pruriti morbosi  di una sfera irrimediabilmente egoistica, perché non può che schiacciare verso il basso e seppellire l' anima nel sottosuolo.
Questo, appunto, è il modo di desiderare cui è stato addestrato l' uomo moderno, lo schiavo consenziente di una società ingorda e di bocca buona.
Che si tratti di bramare un qualsivoglia oggetto, sia esso un corpo, una cosa, un traguardo mondano, un' affermazione personale attraverso il beneplacito altrui (della cui autenticità senza secondi fini non si può in nessun caso essere certi mai), sempre nei bassifondi di un piacere vanesio e velleitario si vuol sguazzare. Non deriva, allora, alcuna significativa acquisizione da ciò che si pensa di volere in modo estemporaneo e consumistico, la memoria -più tardi- non ne sarà intaccata, nessun progresso interiore o nuova consapevolezza: solo grugniti o gongolamenti grossolani, nei quali si vuole talvolta a tutti i costi intravedere qualcos' altro di trascendente, o nobile, che non c' è affatto.

Ci sono desideri ignobili (la maggioranza) perché espressi in debolezza d' indole ed in malafede, con intenti  triviali di rapida consumazione, pur se imbellettati spesso con polverosi pretesti,  ed altri, invece, degnamente umani.

Desiderare l' Amicizia, che è il massimo dei piaceri, ed al contempo il più raro ed altruistico, il più elettivo, il più completo.
Desiderare l' equità sociale, un mondo vivibile, il trionfo della Bellezza, la solidarietà tra uomini, rapporti finalmente gratificanti tra i generi.

Illusorio, anche questo, lo so. Perfino un po' sciocco. S ha d' avere grosse spalle, caricarsi questo fardello di solitudine e disgusto, ed andare,  'finché i piedi ci portano'...
Si tratta di parole. A condividerle non ci vuole nulla. Basta dire "sì, anch' io". Poi, il senso comune ammette tranquillamente che si possa tacere.

No davvero, non c' è scampo.

sabato 26 novembre 2011

Il selvaggio dolore dell' amore umano

Lo  vedeva di spalle, attraverso una vetrata, talvolta. La prima volta che successe, lei, lasciato riaffiorare il suo cuore dal pozzo improvviso in cui era precipitato sequestrandole finanche il respiro, provò gratitudine verso l' insperato caso ed il vitale assurdo gioco delle coincidenze improbabili.
Lui sapeva che la malinconia della madre, in quel momento, lo accarezzava come quand' era bambino ed insieme allestivano il rito della buonanotte. Ma lo sapeva al colmo della sua contraddizione d' indole: ignorandolo, rendendone sordo il richiamo.

Anche allora, il velo di tristezza di lei, che lui bimbo non coglieva se non attraverso un misterioso invisibile filo retaggio dell' originario cordone ombelicale, era il sunto stesso dell' Amore di madre, che sa d' aver trasmesso alla sua creatura, insieme alla vita, il destino atroce degli incessanti distacchi ed il vizio implacabile della morte. 

Lei, accettato suo malgrado il sacrificio dovuto, si ripeteva che non esiste vittima incolpevole.

Se pure è il padre che Edipo uccise, suo figlio, eccentrico e scostante, aveva scardinato il mito, rifiutandola perché rea d' aver amato con troppa silente paura.

Ora, però, il figlio aveva il dovere di cercare d' essere felice, e lei di sopravviversi, altrimenti le  lacrime sarebbero state vane e scandalosamente perdute: tra tutte le possibili sciagure sarebbe stata questa la più abominevole.
La trasparenza  ingannava, dandole l' effimera illusione d' essere una contemplatrice spassionata, una spettatrice senza coinvolgimento.
"Come sei bello con il tuo profilo perfetto e crudele: Antinoo senza più innocenza".

Ecco: doveva diventare trasparenza eterna, dolore eternamente filtrato da un dialogo senza voci e senza corpi, capace di mantenere cristallizzato l' originario nucleo del loro industruttibile e fatale legame.

Forse soltanto così avrebbero raggiunto reciproca assoluzione e perdono.



mercoledì 23 novembre 2011

Ciò che importa veramente.

"Quelli che ci dicono che le cose di questa vita, la gloria, le ricchezze e l' altre illusioni umane, beni o mali ec. nulla importano, convien che ci mostrino delle altre cose le quali importino veramente, Finché non faranno questo, noi, malgrado i loro argomenti, e la nostra esperienza, ci attaccheremo sempre alle cose che non importano, perciò appunto che nulla importa, e quindi nulla è che meriti più di loro il nostro attaccamento e sia più degno di occuparci. E così facendo, avrem sempre ragione, anche, anzi appunto, parlando filosoficamente."

(G. Leopardi [3891]Zibaldone)

Quando si dicono le scappatelle filosofiche, anzi
le bagatelle...



Donna dannata

A me pare che più simile ad una tredicesima fatica d' Eracle, una volta purgata la follia della giovinezza in cui è stata soprattutto passione a decidere erigere e distruggere la propria esistenza, sia addivenire a mostrare il proprio volto rasserenato, non più contratto dagli eccessi dei sensi, in limpida chiarezza, senza più tema di giudizio e pesamento da parte di coloro di cui si riteneva, molto probabilmente essendo in errore, di aver assoluto bisogno.

Non mi serve, non più, di cercare la loro approvazione, la loro benevolenza.: nessuno di loro, a ben guardare, mi conosce, né s' è adoprato per tentare di conoscermi. Mi riecheggia sempre l' antico monito agli spettatori alla fine della tragedia "Voi li aspettate invano: son tutti morti".
Non ho bisogno di misurare il loro attaccamento; io non uso attaccarmi, mi servirà sempre un po' di cielo, ed il cielo non si può scorgere neppure dalla più sontuosa delle dimore, se le finestre sono poste così in alto da impedire lo sguardo.
Dopo l' ermo colle, pur sempre caro, si apre la ventosa prateria. 
Ho nella memoria quel passeraceo catturato con una trappola di colla in un bosco della mia infanzia: un' esile ala irrimediabilmente spezzata nel tentativo di liberarsi, il becco semiaperto, l' ultimo muto rimprovero alla sorte fissato nell' occhio opaco. Perciò non voglio. 

In età matura ogni cosa è già passata in giudicato. Niente rivisitazioni.  E' questa la prassi. Così accade. Così pensano.
Ma non va bene. Noi continuiamo, per l' intera nostra vita a permettere che gli altri pensino che siamo ciò che, veramente, non siamo affatto, non siamo stati mai, e ci disgusta anche solo sfiorare l' ipotesi d' essere.
Generalmente consentiamo questo malinteso in perfetta malafede al solo fine di non restare soli,  o nella speranza di non ferire l' altrui sensibilità
Ma l' altro -perdonate- s' è posto il problema di come si senta un individuo strumentalizzato, equivocato, da chi antepone alla ricerca della verità, alla comprensione, il soddisfacimento dei suoi edonistici o narcisistici fini, l' allestimento di una sua personalissima ed incondivisibile illusione?

*
 



Donne Dannate

Coricate sulla sabbia come armento pensoso volgono gli occhi verso l'orizzonte marino e i piedi che si cercano, le mani ravvicinate hanno dolci languori e brividi amari.
Le une, cuori innamorati di lunghe confidenze, nel folto dei boschetti sussurranti di ruscelli, vanno riandando l'amore delle timide infanzie e incidendo il legno verde dei giovani arbusti;
altre, camminano lente e gravi come suore attraverso le rocce piene di apparizioni, dove Sant'Antonio vide sorgere, come lava, i seni nudi e purpurei delle sue tentazioni;
e ve n'è che ai bagliori di resine stillanti, nel muto cavo di vecchi antri pagani, ti chiamano in soccorso delle loro febbri urlanti, o Bacco, che sai assopire gli antichi rimorsi.
Altre, il cui petto ama gli scapolari e nascondono il frustino entro le lunghe vesti, mischiano, nelle notti solitarie e nei boschi scuri, la schiuma del piacere e le lagrime degli strazi.
O vergini, o demòni, mostri, martiri, grandi spiriti spregiatori della realtà, assetate d'infinito, devote o baccanti, piene ora di gridi ora di pianti,
o voi, che la mia anima ha inseguito nel vostro inferno, sorelle, tanto più vi amo quanto più vi compiango per i vostri cupi dolori, per le vostre seti mai saziate, per le urne d'amore di cui traboccano i vostri cuori.
 
(Charles Baudelaire, I Fiori del Male)


 

domenica 20 novembre 2011

Tipi -3-

Si rivelano quasi immediatamente attraverso una caduta di stile più o meno incresciosa.
In quest' ultimo campo esiste una grande varietà di sfumature che vanno dalla leggera, appena increspata, opacità rispetto al colore di base alla più sfacciata deturpazione, in cui l' eccesso di intensità offende la vista.
Qualunque sia, comunque, lo scarto dall' ideale purezza prescritta, sia esso lieve o pesante, ciò che esso dimostra e sancisce è sempre  una sostanziale grettezza d' animo.
L' animo gretto non può aspirare ad alcuna emendazione: la delicatezza e la nobiltà del sentire non si possono apprendere né mutuare. Seppure dopo lunghi esercizi e tentativi, e nonostante lo sforzo di autocontrollo, lo spirito gretto troverà, del tutto autonomamente ed a dispetto delle intenzioni del suo ospite e custode, il modo di rivelarsi inequivocabilmente, sancendo così, per l' ennesima volta ove ve ne fosse bisogno, l'assoluta saggezza del vecchio adagio che vuole l' idea spesso lontanissima e talvolta contraria alla conseguente azione.

La grettezza morale è democratica ed equamente distribuita, come l' influenza virale: nessuna differenza di casta, censo, genere, istruzione.

Il terreno ideale della sua manifestazione è, come facilmente si può intuire, l' approccio interlocutorio uomo-donna.
L' incontro di due universi sconosciuti, potenzialmente tanto complessi e ricchi fornisce quanto di più esemplare si possa desiderare per la verifica.
Che, nel 99% dei casi, conferma la schiacciante predominanza dell' istinto grossolano ed utilitaristico, sempre edonistico, su qualsiasi altro fine di un rapporto, anche occasionale.
Le circumnavigazioni sulle argomentazioni erotico-sentimentali sono quasi matematicamente certe.
Monotonia assassina.
Esiste davvero soltanto un modo di darsi piacere, da umani? La conoscenza, la meraviglia, l' acquisizione tutta intellettuale -per una volta senza fluidi, incorporea- del nuovo, non è altrettanto -se non di più- seduttiva?
Imparare, interpretare, non è ... bellissimo?


*

Con un caro amico abbiamo favoleggiato, letterariamente, sulla comunicazione 'extra-sensoriale' possibile tra sconosciuti. Ci si beava del sogno che gli occhi potessero trasmettere ad un altro simile, senza il supporto di alcun altro convenevole, la tenerezza e la commozione d' avvertire in sé la burrascosa mescolanza di lacrime inespresse e commozione sublime che sono privilegio e dannazione della condizione umana.
Ma la realtà -ci siamo detti- ci banalizza e ci riduce, e -aggiungo io- brutalizza ogni immaginazione che si desiderava empatizzare  e che pur sappiamo esistere in occulta verità ma irrimediabilmente murata tra i merli e le pur magnifiche guglie dei nostri singoli ed inespugnabili castelli di ghiaccio.

Non ci è dato il linguaggio comune dell' anima; la condanna di troppa potenziale bellezza è la crudeltà di una sostanziale inconsolabile solitudine.
E' una tragedia.
E l' ennesima indefettibile prova che Dio non c' è.

venerdì 18 novembre 2011

Sconclusioni

Potere, Desiderio, Violenza.
I temi del Divin Marchese, in sostanza per comprendere ciò che vorremmo capire tutti, perfino oggi: si può, si potrà mai, superare la barriera tra uomo e uomo?
E c' è una possibilità, per l' uomo, d' essere felice, in qualche anfratto dell' universo, un pertugio dell' anima, un istante perfetto?


*

Sade è tornato all'interno dei vulcano in eruzione
Dal quale era venuto
Con le sue belle mani ancora frangiate
I suoi occhi da giovinetta
E quella ragione da fiore di si-salvi-chi-può che fu
Solo sua
Ma dal salotto fosforescente a lampade di viscere
Non ha cessato di lanciare ordini misteriosi
Che aprono una breccia nella notte morale
Attraverso questa breccia vedo
Le grandi ombre vacillanti la vecchia scorza minata
Dissolversi
Per permettermi d'amarti
Come il primo uomo amò la prima donna
In tutta libertà
La libertà
Per la quale il fuoco stesso s'è fatto uomo
Per la quale Sade sfidò i secoli con i suoi grandi alberi astratti
D'acrobati tragici
Aggrappati alla fibrilla del desiderio.

[Da L'air de l'eau (1934), in A. Breton, Poesie, trad. di G. Neri, Torino, Einaudi, 1977, p. 101]


*





Non conosco persone libere.

E non conosco persone felici. Conosco, semmai, individui che hanno deciso di chiamare 'felicità' una presa di posizione ed una scelta di campo esistenziali.
Sono piene di rammarico e risentimento, talvolta apparentemente assopite, talaltra rabbiose, assetate di vendetta, affamate di riscatto. E che succeda in fretta, ché la vita si consuma, arde i nostri sogni, quelle mirabolanti fantasmagorie di cui siamo capaci, nonostante la misera corruzione della nostra carne.

Bastasse il rifiuto intellettuale! Bastasse la consapevolezza! Il risveglio, l' uscita dall' ombra nebulosa degli alibi e delle mediocrità!

Hanno sempre amato per perpetuare la specie, con il beneplacito di Chiesa e Potere, credendo che esista una forma 'lecita' di felicità.

"Pedanti, carnefici, secondini, legislatori, canaglia tonsurata, che cosa farete quando saremo arrivati a quel punto? Che cosa diventeranno le vostre leggi, la vostra morale, la vostra religione, le forche, il paradiso, i vostri dèi, il vostro inferno, quando sarà dimostrato che questo o quel moto delle linfe, questa o quella specie di fibre, questo o quel grado di acidità nel sangue o negli spiriti animali bastano a fare d'un uomo l'oggetto delle vostre pene o delle vostre ricompense?"

Lo so bene. L' ho tradotto nella mia quotidiana pratica. Molte e molte volte ho sconfitto la facile seduzione dell' ignavia.
Forse ho distrutto, lo confesso.
Ma erano castelli di carta. Erano piccole misere torri di Babele, che il mondo  reputava pilastri.
Ed è lecita la distruzione?
No, non lo penso. Dev' esserci un' altra via, la distruzione non era il fine.
Io amo la vita. E credo che vivere sia amare, seppur non certo limitatamente in senso romantico e cortese, e men che meno come lo dettano le morali. E' altro, enormemente più grande. La motrice del respiro stesso.

"La morale cristiana, con la quale - con disperazione e vergogna, bisogna spesso confessarlo - si è ancora lontani d'averla fatta finita, è una galera. Contro di essa, tutti gli appetiti del corpo immaginante insorgono. Per quanto tempo ancora bisognerà urlare, agitarsi, piangere, prima che le figure dell'amore divengano le figure della facilità, della libertà?"
(Paul Eduard)

martedì 15 novembre 2011

Regina del vero

La solitudine, il bisogno di essere presenti nei pensieri di qualcuno, di non soccombere ad un' idea di irrilevanza, di misera valenza, spingono a cercare sollievo e, nel cercare - e solo allora-, ad accorgersi alfine dell' altro.

Il fascino dell' esercitare una qualche misura di potere, su di un proprio simile od un' intera società, è quanto maggiormente ci allontana dalla possibilità di liberarci.
Ma questa è una singolare cura, troppo spesso estemporanea ed effimera, e terribilmente egoistica, per un malanno in realtà inguaribile.
Da qualsiasi prospettiva si cerchi di considerarlo, in genere l' uomo brilla soprattutto di riflessi del suo stesso esasperato Ego, ritenuto mille volte ucciso nella progressione della crescita e del distacco dalla fase infantile, e conseguenti mille altre volte risorto più tonico ed ostinato di prima.

Ciò che stempera la colpa di non essere altro, alla fin fine, che l' eterna replica di un fanciullo incessantemente desiderante è la coreografia della nostra vita. Sono le battute e le rappresentazioni, più o meno felici, che ci capita di produrre di tanto in tanto - chi più chi meno frequentemente-  a riqualificare la nostra pedante, pesante, mortalmente noiosa essenza.

E' pur sensato affermare allora che la nostra stessa immaginazione è quanto più si avvicini alla possibilità di verità: immaginazione, "unica regina del vero", dichiarò Baudelaire.

Nella più profonda aderenza al mio sogno, e soltanto allora, sono inconfutabilmente vera ed il fantasma della felicità può essere afferrato, per un istante posseduto.

*

" [...]
Tuttavia il dio si innamora della mortale e, con l'aiuto di Zefiro, la trasporta al suo palazzo dove, imponendo che gli incontri avvengano al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fa sua; così per molte notti Eros e Psiche bruciano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto; Psiche è prigioniera nel castello di Cupido, legata da una passione che le travolge i sensi.

 
Una notte Psiche, istigata dalle sorelle, che Cupido le aveva detto di evitare, con una spada e una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante, nella paura che l'amante tema la luce per la sua natura malvagia e bestiale. È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia cade dalla lampada e ustiona il suo amante:
« … colpito, il dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d'improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa (V, 23) » [...] "
(da Wikipedia)

*

sabato 12 novembre 2011

Soledad



Dev' essere per via di quella nota  e semplice osservazione secondo la quale "il flauto va in cerca del suonatore che suona il flauto" (R. Tagore) che tengo in vita questo mio blog.

D' altro canto, essendomi totalmente indifferenti altri eventuali fini (che però temo rivestano enorme importanza per la quasi generalità dei blogger, come la visibilità o il numero di seguaci), la mia sola velleità rimane quella di conoscere qualche sparuta anima bella ed ogni tanto consolarmene.

Naturalmente si tratterebbe di ragioni assolutamente involontarie, un po' misteriose, intestine, ma che, se non altro, testimoniano come io mi senta un individuo tutt' altro che autosufficiente e compiuto.
E' altresì vero che la faccenda si complica orribilmente quando scopro d' ospitare in me entrambe le attitudini, almeno potenzialmente.
Potrei essere flauto e poi anche suonatrice di flauto; ma in nessun modo potrei suonarmi da sola. E' questione di reciprocità, di dialogo armonico: ci si deve per forza suonare a vicenda, sulla stessa lunghezza d' onda.

Quel che è davvero arduo è sapere con certezza quando tale alchimia sia effettiva, indubbiamente vera.
Ne deriva che è forse impossibile  crederlo vero fino in fondo.
E ciò succede inevitabilmente agli uomini, una volta svezzati totalmente. e quando, cadute le illusioni, digerite e metabolizzate le disillusioni,  si ritrovano a trascinarsi sulla strada del loro percorso con i piedi sanguinanti e nessuna meta ancora visibile all' orizzonte.
Questo è il colossale collo di bottiglia esistenziale.

Perciò, questa ballata di Violeta Parra, con la dolcezza straziante di quel flauto che pare un pianto ancestrale che proviene e riconduce alla notte dell' Uomo,  è dedicata a coloro che sanno commuoversene, perché la leggono dal mio stesso spartito,  lo conoscono a menadito, ed hanno capito che alla solidarietà umana nessuno può ormai più né crederci, né totalmente smettere di sperarci.



mercoledì 9 novembre 2011

Indoli dissidenti

Oh, Cielo,
sono paralizzata dall' ansia.
Ho paura, paura, paura.
Non so se riuscirò a gestire la precarietà della mia vita. Oggi un uomo quarantaseienne m' ha chiesto di assumerlo, e l' altro ieri è stata la volta di una voce di donna, telefonicamente.
Riso amaro: non copro ancora le spese.

Se mi chiamassi Mr. Tomaia's e producessi scarpe casual-lussuose 'Made in Italy' , assumerei volentieri dipendenti, magando risparmiando sull' acquisto di pagine del Corsera, ma così non ha voluto il Fato, ed allora...

La mia generazione sta per metà in ginocchio. Non solo giovani, quindi, senza futuro, ma anche maturi adulti senza presente...
Ma l' Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro, almeno sulla carta...
Beh, o voi che un lavoro, anche mal pagato, ma regolare, ce l' avete, state per diventare, bizzarramente, 'privilegiati'.
E se torna il DAP?
Non sono certa d' averlo sconfitto, quel mostro strangolatore; sospetto che si sia soltanto acquattato nel buio e nella melma della dimenticanza, ed aspetti.
Aspetterà con infinita pazienza, quell' infido: esso suole aggredire le sue vittime a tradimento.
Involvo in quel che non sapevo ancora d' essere, che non sono stata mai, neppure quando avrei potuto.
Una bambina tremante, in attesa del suo buon gigante.
... lo scimmione King Kong, disposto a scalare il grattacielo per amore della mia fragilità umana, della mia fame d' amore, dell' ossessione di morte, della perenne nostalgia delle origini perdute...
Da fanciulla mi sono vietata le lacrime: è così che ho potuto sopravvivere ad un cuore troppo oscenamente tenero. Poi, le ho celate nella notte. Non le devono vedere, non le devono usare: la vista della debolezza induce alla schiavitù chi si auto-gratifica proteggendo, ed io non so concepire che rapporti tra liberi.
Ma questo presuntuoso eroismo non è servito che a farmi enumerare i caduti, ed ora contemplo sepolcri, e rabbrividisco.
Non ho saputo trovare il punto d' equilibrio tra lo strazio e la passione.

Non siamo responsabili di tutto, questo non doveva essere il nostro mondo. Altri, pochi altri l' hanno deturpato così, per meglio gestirlo. Sono allora nati i codici. "Così amerai, così vivrai, così morirai, quando, quanto e come determineremo che sia più opportuno".
Ma io sono dissidente, nell' indole; mi ostino a sognare improbabili specie di viventi in cui l' ideale non sia in conflitto con le scelte, mi ostino a volermi integra e non smembrata, anche se talvolta d' integrità si soffre e forse anche si soccombe.

Amico mio caro d' autunno, bello sarebbe girovagare con te sopra vie senza fine  e senza meta di tappeti di foglie fragranti, inventando nuovi miti, come se il resto, tutto il dannato resto, fosse evaporato nel nulla e per sempre.



lunedì 7 novembre 2011

Notturno dei contrari che si respingono

Non è sempre vero che il pensiero, se non altro, è l' elemento in assoluto più libero e salvifico di cui un umano disponga.

Certamente non può esserlo per chi si ritrova prostrato in situazioni di bisogno, schiacciato sotto il peso di gravi preoccupazioni, indebolito dalla sua fragilità sociale -perché privo di sostentamento economico, o malato, o senza congiunti, familiari, amici-, depresso.
In tali circostanze il pensiero rimane circolare, indugia nel piccolo gorgo affossante ed irresistibile della fame che il corpo prova, della paura che l' incerto futuro incute, della tristezza che azzanna alla gola ed induce al sospetto, al nichilismo, alla desistenza.
Non si può esercitare alcuna vera libertà quando ci si trova in istato di stress: ogni elucubrazione, ogni immaginazione, perfino ogni sogno ne risultano pesantemente influenzati e come abbassati, nonostante una volontà contraria -consapevolezza- teorizzi lo sganciamento tra la dura realtà e le evoluzioni del pensiero.
Nulla è tanto difficile quanto poter immaginare lo stato psicologico altrui e niente assomiglia di più alla grazia dell' amore quanto la capacità di empatizzare con il dolore dell' altro.
Ma non succede che rarissimamente.

Di che parlano, allora, i teorici dell' intelligenza sociale: l' empatia non s' impara.
La vera empatia è viscerale, ferina, avanguardista: arriva prima dei segni, dei gesti, dell' intelligenza, come se si trattasse di un' alchimia divina, anziché di mera chimica...
Sono i neuroni a riconoscersi, ad  influenzarsi, a specchiarsi. Lasciano tracimare riso e lacrime, ebbrezza, terrore, panico, sudore, eccitazione.

Ma il margine di libertà,  originalità, l' impossibilità di replica, mantengono un' assoluta unicità pur nell' automatismo delle cellule filiformi.
Non si empatizza sempre, e non con chiunque, neppure se questi ne sarebbe ben disposto. Perché?

I contrari si respingono...


*

Mi sa che la mia storia è fatta tutta d' empatie fittizie, probabilmente più desiderate che oggettivamente esistenti: era un modo per sedare, con ogni probabilità, un' irrisolta ed atavica ansia di affinità con altri umani. E' il pietoso errore di chi ama troppo i suoi simili, di chi li ama fin troppo ostinatamente, con un degenerato accanimento che si fa protervia. D' altronde, se fittizie non fossero state, lo spirito non si sentirebbe così solo.

Ma da oggi smetto. Sarò, docile e non più scalpitante, capace di distinguere ed accogliere quelle elettive e vere.


sabato 5 novembre 2011

Buona giornata, incommensurabilmente grande stronza

Al solito bar, stamattina, per il solito, ennesimo, caffé.
Solita noia, solite facce anonime ed indifferenti. Reciprocamente. Democraticamente e correttamente indifferenti.
Solita gente -anche-, ammiccante con il barista, il quale, professionalmente, deve pur ostentare simpatia che forse non prova.

(Si tratta di un'arcano irrisolto: "Perché la gente ci tiene così tanto, ma proprio sempre così tanto tanto, ad ammiccare con i baristi?". E' una questione sociologica che mi attizza infinitamente da sempre.)

Beh: è il gioco delle maschere. Vecchio come il mondo. Triste come il mondo. Nulla di degno di nota.

Se non che, ad un certo punto, la tizia che parlava al cellulare termina la sua telefonata e continua una sua evidentemente già prima in atto conversazione con un' altra tizia.
In tono confidenziale, pare: si vede che un po' si conoscono.
E parlano -intuisco- di una persona terza, nota ad entrambe, non so a quale livello.
Niente di che.
Ma, poco prima di varcare l' uscio per andarsene, la tizia-1 conclude a dire, con ostentato disprezzo, alla tizia-2: "... e poi, quella è una sporca rossa".

Allora, che volete, io sono trasecolata, pur se intimamente.
Ho provato un implosivo, educatissimo, invisibile ma portentoso sentimento di furore.
Perché non si può ancora, oggi, sentir proferire una simile vetusta formula senza battere ciglio e men che meno nelle nostre edulcorate, viziate, fascisteggianti democrazie occidentali: necessariamente  esse stimolano l' insorgenza di altri sospetti, conclusioni, ipotesi.

E mi sono immaginata, allora, che la tizia-1 potesse aver affibbiato con tanta frustrata acrimonia l' antigienico aggettivo alla persona assente di cui parlava per ragioni molto più personali che politiche, come, ad esempio, il fatto che tizia-1 non vorrebbe sentire da alcuno affermare che "le tasse le dobbiamo pagare tutti in ragione delle rispettive capacità contributive", che si deve -TUTTI- rigar dritti e rispettare le leggi, oppure anche -e Dio non voglia!- che qualsiasi privilegio di casta e censo è ingiusto ed immorale e che l' accumulo dei patrimoni ha qualcosa di sempre sospetto: insomma, tutte robe che di solito dicono i luridi rossi.

Così, tra me e me, una volta vistala uscire dal bar, ho sentito una vocina che le si è così rivolta:
"Buona giornata, incommensurabilmente grande stronza..."

giovedì 3 novembre 2011

E' il mare andato col sole...

"Chiodo scaccia chiodo, ma quattro chiodi fanno una croce" (C. Pavese)

La letteratura acquista senso quando le parole prendono vita, quando diventano la tua vita, quando ti penetrano, come queste, in un doloroso amplesso senza speranza.
Le senti fino in fondo, con crudele chiarezza, quando -combinazione-, sei pure tu al quarto fatidico chiodo.
Ma a che può giovarti, adesso, scrittore, dato che quella croce ti ha ucciso, la comprensione e l' ideale sodalizio con un lettore che prova il tuo stesso supplizio?
A nulla.
Il tuo dolore passato non allevia quello del morituro, ed a te non serve più niente.
E poi..., magari non eri neppure il mio tipo, né
io,
d' altro
canto,
il tuo.

*

Che resta, finché durerà, allora, se non qualche immagine calda d' autunno?
Vivo lo stesso, ogni tanto, mentre passeggio con Neve di buon' ora lungo il vialetto deserto degli Orti.
E' splendido. Simmetria di fusti neri e rugosi ricamati da tralci d' edera verde petrolio ed un tappeto   giallo/ocra e viola. La Terra muore gloriosamente, in novembre.
Non è difficile, chissà, se non ci si oppone...
Crepitìò di foglie, come sbriciolìo d' ossa. Poi sarà polvere, restituita al vento, e poi silenzio.
La mia cagnetta segue piste irresistibili, con quel suo tartufino nero fremente. Quanto le invidio la sua perfetta felicità.

*


Il quarto chiodo ha scacciato la speranza, l' abilità d' attendere. Il cielo si oscura, la notte è un nero sudario. Ho dimenticato: com' era ridere?, com' era credere?

A sapere troppo, ad aver troppo capito, troppo inghiottito d' amaro e d' assurdo, troppo scrutato, con troppa famelica meraviglia, ci si guadagna il nulla. O l' eternità.

*

" E' ritrovata.
Che? -L'Eternità.
E' il mare andato via
Col sole.
 
Anima sentinella,
Mormoriamo l' assenso 
Della notte di niente
E del giorno di fuoco
.
Dai suffragi umani,
Dai comuni slanci
Tu là ti liberi
E voli a seconda.
 
Poi che da voi sole,
Braci di raso,
Esala il Dovere 
Senza un: finalmente.
 
Là niente speranza,
Non c' è un orietur.
Scienza con pazienza,
Il supplizio è certo.
 
E' ritrovata.
Che? -L'Eternità.
E' il mare andato  via
Col sole."

(A. Rimbaud)

mercoledì 2 novembre 2011

Perdonaci



"Conosco, anche perché le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo "Sviluppo": produrre e consumare.
L'identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti 'moderati', dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all'edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere [...] è in realtà - se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia - una forma 'totale' di fascismo. Ma questo Potere ha anche "omologato" culturalmente l' Italia: si tratta dunque di un' omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l'imposizione dell'edonismo e della joie de vivre.
[...]
il nuovo fascismo non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamrente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l'omologazione brutalmente totalitaria del mondo."

(P:P.Pasolini, Scritti corsari, 24 giugno 1974, da "Il Potere senza volto" )