mercoledì 28 settembre 2022

Appunti antropocentrici -14-

 

Astenica, insonne, martirizzata da dolori cronici ed acuti tra cervicalgie e lombalgie, misantropa di fatto pur se compassionevole verso gli altri -che mi appaiono dei disgraziati tanto quanto lo sono io-,  devo arrendermi e decretare la depressione, nonché la senilità, anche se, per essere estremamente chiara, non m’interessa dissimulare né questa né quella e trovo entrambe indesiderabili ma almeno eroiche.

Se ne prenda atto: la soglia della percezione del  dolore, con questa patologia, può abbassarsi in modo paradossale e rendere la vita una specie di tortura.

La definizione nonché la spiegazione della malattia depressiva è un cane che tenta di addentarsi la coda. Nasce dall’eccesso di stress che poi si alimenta a dismisura, tra neurotrasmettitori malfunzionanti e confusi e cortisolo fuori controllo in completo cortocircuito,  sovrapponendone strati a strati che neanche la Torre di Babele.

Singolare missione quella dello stress: buono o cattivo, ti sa spronare  a reazioni salvifiche od anche  causarti un bell’infarto, ma non lo influenzi a suon di ragionamenti e persuasioni della volontà, così che se la sua origine è l’oggettiva precarietà della tua vita e del lavoro e l’orrore per le scelte di chi manovra con l’arroganza del Potere le nostre esistenze non puoi che subirlo e soccombere.

E poi davvero esiste un’alternativa che non sia la fuga per chi, dotato di ciò che dovrebbe costituire comune patrimonio umano, vale a dire quelle sensibilità ed empatia che nel sedicente eudemonismo moderno coatto  sono surclassate ad affezione patologica, suo malgrado precipita in quest’abisso?

No che non c’è.

Non c’è.

La maggioranza di coloro che conosco  vi ovvia assecondando un processo di ottundimento emozionale che corrisponde alla perdita di sé ed all’appiattimento su modelli comportamentali preconfezionati, tanto da indurmi alla classica pleonastica domanda: che senso può mai derivare da un contatto con siffatte maschere?

E perché il luogo comune la vuole sempre più malattia sociale ed io invece ne registro una variante che pare endemica e comporta in primo luogo l’esasperazione del narcisismo più sfrenato e stupido, sì da non riuscire in alcun modo, neppure in questo caso, a trarre il minimo sollievo di un’appartenenza, per quanto nefasta e dolorosa?

L’empatia, ecco, è una iattura ed una benedizione nel contempo. Si è empatici d’istinto, per nascita, o non lo si è. Se lo si è non c’è scampo: moriremo mille morti altrui, piangeremo oceani di lacrime, conseguenze e cicatrici affioreranno presto, a vent’anni inizierà un’inesorabile e rapida vecchiaia, a sessanta avremo esaurito ogni energia ed ogni giorno sembrerà verosimilmente anche l’ultimo. Il cordoglio per le innumerevoli sciagure, le più intollerabili quando derivanti da responsabilità e colpe umani, peserà come un macigno.

Restano l’accusa e lo sdegno, la stoica consapevolezza che la sofferenza almeno non sia eterna e contagiosa e muoia con noi.

Banale è la sofferenza, banale è pure la felicità, nulla è così pregnante da recare un minimo di soddisfazione ed il prezzo di entrambi è comunque la solitudine.

La noia di queste mie esternazioni è pregna di consapevolezza: avrei dovuto seguire con diligenza i consigli di Baudelaire. Inebriatevi, storditevi di passioni, ficcatevi ben dentro un qualsiasi sogno, perché la vita, altrimenti, è intollerabile.

Avevo un solo desiderio: riuscire a ritirarmi dal “mondo”, sottraendomi ai suoi usi ed alle sue logiche, rinunciando anche alle più innocenti velleità, lasciandomi vivere decorosamente ma umilmente.

Non mi rendevo conto che l’estrazione ed il destino anche del nuovo proletariato rendono questa un’aspirazione di lusso, da frustrato borghese.

E così è, anche se non vi pare.

 

venerdì 1 luglio 2022

Piccola anima smarrita e soave -11- il vizio sottile

 

Pur non detenendone la minima corresponsabilità, neppure io riesco a perdonarmi per essere nata e nel contempo comprendo perfettamente quanto sia ingiusta verso me stessa l’assunzione di una simile colpa in virtù anche della considerazione che l’intollerabilità della vita non ha una netta e chiara   sola causa oggettiva ma entra in rapporto diretto e subisce pesantemente le infiltrazioni e le responsabilità delle esistenze di altri soggetti, della cultura imperante e del consorzio umano in particolare.

Quello che lo disse -tra l’altro non un tizio anonimo-, non conosceva neppure il surplus della nausea arrecata dalla vessatoria necessità di sporcarsi le mani nel tentativo di materialmente sopravvivere, dato che riuscì a farlo vendendo le sue filosofie e non disdegnando, all’occorrenza, di esercitare lo scrocco.

Serve una certa spregiudicatezza ed  un solido narcisismo anche nel credere a se stessi a sufficienza, ossimoro  in fondo singolare in chi dichiara dannosa la vita: che c’è da credere, poi, se si è, per intrinseca natura, a propria volta e di conseguenza, dannosi?.

(E se in principio davvero era la musica, quale potrebbe essere la colonna sonora di una libera morte? Epitaph dei King Crimson, sì. Colonna sonora di una morte e della vita in questo tempo e non solo in questo, in fondo. “Confusione, sarà il mio epitaffio”; “confusione” è ciò a cui conduce perfino la più corposa conoscenza, sempre che si sia disposti ad esercitare la rigorosa onestà intellettuale nell’ammetterlo.)

 

Nel frattempo cerco di mantenere quanto meno l’incorruttibilità del fardello dei miei valori, a modo mio, consapevole che le conseguenze saranno anche ciò che mi estinguerà relativamente presto.

Subisco una sorta di fascinazione inebetita nell’osservazione della tranquillità e cauta gioia altrui.

La felicità è uno psicotropo, non si addice alla lucidità.

Sono stupefatta che il privilegio della serenità, almeno relativa, oggettivamente appannaggio degli animali sazi e lontani dal pericolo, possa appartenere a qualche umano.

Come fa?

Com’è possibile se anche un solo bambino muore di fame, un diseredato di stenti ed umiliazione, un innocente di bombardamenti, un animale di crudeltà?

E come si inalberano, i moralisti e gli stupidi, quando irridi le loro misere certezze pacificanti e la loro cecità!

 

Ho perduto quasi tutti i miei amati interlocutori, qualcuno perché prematuramente scomparso, qualcuno perché ingenuamente sovrastimato, qualcuno perché bugiardo, qualcuno per distrazione.

 

Ed allora, piccola animuccia orfana di fratellanza, come farai?

 

giovedì 31 marzo 2022

Non solo il sentore di universale catastrofe; non solo la coscienza perfetta della finitudine irrimediabile anche dei sentimenti personali e dei più alti valori morali; non solo il progressivo avvizzimento dei cervelli ad opera di dispositivi industriali; non solo l'isolamento atroce che fa rinvenire cadaveri mummificati da anni nella loro stessa abitazione che nessuno ha reclamato: non è solo questo che riempie d'orrore. 
Questa è la prevedibile conseguenza.

Davvero nefanda è la sottile soddisfazione ricavata da quella battutina perfida, o dall'osservazione spocchiosetta, o dal tentativo di ridurre l'altro e delegittimarlo per calmierare anche la propria pochezza, o dall'improvviso attacco acufenico quando parla. Perfino quando sostieni di amarlo.

martedì 11 gennaio 2022

Appunti antropocentrici 13

Mi ricordo bene il tempo in cui il pensiero in generale solo artatamente, al contrario di oggi, mi procurava piacere.
 
Deliziose ed anzi appassionanti in modo pregnante erano altre attività, tutte riconducibili a diverse finalità di aggregazione: il contatto con gli altri, purché non fosse solo uno sfioramento occasionale ed effimero, mi faceva bene, mi appagava.
Ero giovane, si capisce: le illusioni si abbandonano soltanto dopo infiniti scorni, ma il solo modo per riconoscerle nella loro reale natura consiste nell'assistere, inorriditi, al loro stesso sgretolamento una volta adulti e quasi vecchi. 
Erano gli ideali politici, di comunione tra esseri umani, di amicizia disinteressata, di lavoro moralmente gratificante e materialmente decoroso, ad alimentare il fuoco della giovinezza.
 
Ora mi pare che aggregarsi anche solo idealmente significhi unire la propria voce ad un coro, maggioritario o minoritario poco importa, purché si omogeneizzi al motivo comune di turno. E' sempre squallido. E povero.
Chiedo perdono: pur non nutrendo il culto della solitudine non ne sono capace, non disquisirò sulla pandemia, visto che ho dolori impellenti ed immanenti da ben prima che con ogni probabilità manterranno quel carattere di sussistenza anche dopo.
Ignoro ed anche non escludo l'eventuale presenza di una qualche lieve patologia neuropsichiatrica che mi costringe a provare un frustrante e quasi costante senso di derealizzazione nel tentare di vivere la vita, ma ciò che sento soprattutto nel condurla, così come mi è capitata, è sgomento e stupore, tale e tanto è il grado di estraneità che me ne deriva.
Fermo restando il mio fatale ed innato pantragismo (che così poco aggrada ai tanti pseudo amici persi, a riprova del fatto che la loro amicizia era bugiarda e crapulona), so esattamente che cosa intendesse il buon Marx parlando di alienazione perché ne vivo professionalmente i presupposti ed intanto ne muoio.
Queste son cose che non si possono più né scrivere né leggere, non seducono e non interessano nessuno (scandalizzano un po') e la cui soluzione è affidata agli psicofarmaci od ai sogni.
 
Oggi sognerò il mio abbaino della vecchia casa fantastica nei boschi dalla cui finestrella intravedere  (meraviglia!)  la coda furtiva della volpe tra i cespugli ed in alto le grandi ali dell'aquila reale. Sognerò il mio bambino, mia madre, mio padre, i miei gatti e cani: resusciterò gli amati assenti ed i morti, i soli degni delle mie lacrime.