mercoledì 30 maggio 2012

Progetto d'ordine in sinapsi sconvolte.

Se l'avesse scoperta prima, quest'essenziale verità, molte delle energie andate poco oculatamente disperse in imprese fallimentari nel passato, fin più recente, ora le sarebbero tornate utili per supportare la sua nuova consapevolezza ed il principio di saggezza, -cinico quanto basta, limpido quanto deve, finalmente assertivo- per riprendere una direzione sensata e seguirla fino in fondo senza più scarti e pause.
La verità era che lei avrebbe dovuto -un tempo- negarsi, sempre, a qualsiasi condivisione  di fatto con altri della sua esistenza ed avrebbe dovuto altresì saper gestire, nel contempo, la sua passionalità vitale senz'ombra di attendismo ed in salutare distacco. Insomma, in senso squisitamente ed estensivamente epicureo. La sua misericordia, il suo dannato pathos, l'avevano sempre ingannata nei rapporti con i suoi simili e con la realtà oggettiva.
La verità è che tutti avrebbero dovuto fare lo stesso.
Ma invece l' universo scambia per vero sempre e soltanto ciò che una suggestione condivisa suggerisce: ecco che un  oggettivo imbecille diventa un guru in questo o quel campo se è apparso su di uno schermo; ecco che si discute per millenni sull'esistenza di Dio; si sposano cause; si crede di amare qualcuno...

Ed ora quelle energie erano sottili ed usurate in rapporto alla sua stessa volontà che, sola, conservava tutta intera la protervia di sempre, mentre un oscuro richiamo cosmico le sibilava che sì, che anche lei avrebbe potuto assaporare la pienezza del vivere, che ne aveva un certo diritto, pur ignorandone il perché.
Ordine. Voleva una vita nuova e minimalista.

Ordine ed economizzazione del poco ossigeno rimasto.

Nulla è maggiormente complicato dell'ordinare, in particolar modo le sinapsi nascoste.
Nulla, davvero, richiede più energia.
E lei l'aveva esaurita.
E sapeva anche che a chiederla in prestito avrebbe rischiato di ripagarla ancora una volta a prezzo d'usura.

mercoledì 23 maggio 2012

Cinquanta inverni

Abbandonare definitivamente la sindrome dello schiavo che idolatra i suoi propri tiranni , declamare con interiore stentorea voce il proprio incondizionato sì al veritiero sé stesso, lasciarsi alle spalle ogni appiglio trascendente, vedere il volto dell'altro contrapposto senza specchiarvisi: questo, per me, corrisponde alla ricerca di un'integrità che soddisfi la legittima aspirazione ad 'essere'.

Ma il desiderio non porta a nulla, se non ad una intollerabile consapevolezza di incolmabile solitudine: chi aspira ad amare la tua umanità non può prescindere da un codice interpretativo, cercherà similitudini, cercherà una chiave, ahimé, più volte clonata, dall'uso seriale, dovrà agire come il colonizzatore che estirpa la radice  a lui sospetta che non conosce  e pretenderà un solo frammento, una piccola zolla, del tuo sterminato giardino.

*
Più di cinquanta inverni, sferzati dall'implacabile vento, han fatto dell'Eden un'arida sassosa Itaca.
Verso sera la donna ed il cane, muti, contemplano le onde, sognando la primordiale liquida culla perduta.
*

Tornasse, almeno, romantico, il dolore.

domenica 20 maggio 2012

Faccia scaduta

Sfogliava l'album della vita andata, per ricordare a sè stessa d'essere stata, di quando in quando, quasi felice, in qualche istante.
Vi cercava la chiave per srotolare un nuovo linguaggio, un linguaggio che le consentisse di smuovere la sua esistenza  ormai bloccata attraverso un'intuizione, un ricordo prolifico, una speranza, un sogno impolverato. Non trovò nulla: ogni immagine restava criptica ed estranea, a malapena riconducibile a lei.
A chi apparteneva, in verità, quel volto? E che aveva mai da sorridere, se è così tragicamente vero che in noi nulla muta in profondità e siamo, con nostro sommo dispetto, sempre e soltanto ciò che possiamo essere, invariabili nel duro ostinato ed inviolabile nucleo occulto, magistrali nella sofferenza, nella frustrazione, nell' auto-inganno? Sorridiamo all' obiettivo nell'inconscio tentativo di sostituire la parvenza all'essenza.
Poi, a riguardarle, le nostre vecchie fotografie paiono beffarde, come acutamente ebbe a scrivere Roland Barthes: ridono, ridono di noi, e l'echeggiare dei loro lazzi permane anche dopo averle stracciate. Eco diabolica. 
Non ci si libera dalla memoria e purtuttavia non si può cristallizzare ciò che è stato per trarne conforto nel dolore presente.
Lei si sentiva l'ultima dei miserabili: assetata d'amore cosmico ed irreparabilmente ad esso ostile.
Eppure, un tempo, lei era quella donna lì e -ricordava- possedeva una forza d'animo mostruosa, irresistibile.
Una falla nella corazza, uno sfregio profondo inflitto a tradimento dalla fatalità, che dopo numerosi e caparbi tentativi di guarigione riemergeva più orribile e vertiginosamente profondo di prima, l'avevano ormai espropriata da sé stessa.

Finire. Concludere. Basta.
Che altro?



( All' amico L.)

giovedì 17 maggio 2012

Consapevole finitudine

Nel sogno, stanotte, i due guerrieri indossavano pesanti armature da paladini e dietro l' elmo celavano i volti di due persone a me note, cui voglio bene. Uno cercava di motivarmi per farmi restare dove sono, un altro, all'opposto, mi incoraggiava a seguirlo altrove in cerca di felicità, e brandiva un'ascia bipenne, che solo ora apprendo essere evocativa del potere del fulmine e della tempesta.
Non ricordo la mia scelta, ma, se non ho equivocato per l' intera mia vita sulla mia stessa indole, posso certamente immaginarla.

Mi sono alzata con un sentimento di indignazione, come se scoprissi per la prima volta che esiste una questione esistenziale di fondo intollerabile e di suprema  insensatezza.
Ma come: ho soltanto questa vita che non potrò mai dire risolta e compiuta e non (mi) succede assolutamente nulla? Non faccio niente, non rivoluziono il mio presente, non spacco ogni cosa, non urlo come un'ossessa, non impazzisco?
Avrei voluto conoscere e fare talmente tante cose che neppure la più longeva delle esistenze bibliche avrebbe potuto contenere.

L'intero universo persegue lo scopo di minimizzare la vita di ogni individuo, di trattarla in modo sprezzante, di umiliarla. Ma lo fa senza traccia di malvagità, con placida noncuranza.
E' talmente evidente la fragilità dei corpi: una caduta accidentale ci spezza le ossa, una strofinata contro una superficie ruvida e dura ci strazia la pelle e ci fa sanguinare, l'invisibile virus ci uccide, una pena d'amore ci mina il sistema nervoso, la malattia distrugge perfino il pensiero.

La misera condizione di tutti coloro che si arrovellano a dire senza osare il fare, ad esternare opinioni sfinendosi di narcisismo, ad invocare rivoluzioni pubbliche stritolati nell'ancien régime della vita privata, ad accettare la scappatoia della trascendenza per non soccombere di follia nel fissare lo sguardo vuoto della realtà...

Non potrò mai essere quel che avrei voluto, fare quello che mi piaceva immaginare,  conoscere ciò e chi desideravo: la vita è troppo breve, i mezzi fuori portata, le persone viscide e scostanti, capaci di gonfiare di parole il prossimo pur di celargli i loro miserucci edonistici fini.

Vorrei sapere che farmene, di questa consapevole finitudine, anzi: vorrei disinteressarmene nel modo più totale (in fondo non mi riguarda affatto la cosa o la non-cosa che sarò una volta morta: io ho urgenza di vivere da viva) e, nel mentre, razionare le mie energie superstiti per qualcosa che valga, che sia degno, che sia vero.

Da ora, di conseguenza, tornerò al mio antico istinto che, assai poco saggiamente, ho lasciato alle porte dell'ingresso all'età adulta sposando quella pragmatica tolleranza che non conduce che alla disperazione.
Lascerò che mi conduca verso il vero vero amico, il sano desiderio, le anime davvero belle,
e smascheri le inutili  e mendaci parole.


sabato 12 maggio 2012

Non è noia, ma Noia

In realtà, S., amico mio, non parlavo per niente di noia, ma bensì di Noia. Quella sindrome leopardiana, sai, per intenderci, quel serpeggiante sospetto che dietro la reale struttura delle cose e delle persone non ci sia altro se non le proprie personalissime e quasi sempre infondate proiezioni sognanti e le illusorie speranze. Ciò, nell’ambito delle relazioni. M’è toccato in sorte uno sguardo microscopico e caparbio, poco propenso all’adozione di lenti ed alibi.
Puntualizzo questo perché, ad esempio, il senso di larga malinconia che ti può dare la contemplazione di un mare grigio, increspato da piccole onde bianche dissolventi e perpetue, mentre ti fai sferzare dall’aria gelida invernale sopra un piccolo molo, o un umido scoglio, non è noia, ma legittimo dolore languente –con una sua sacralità- del pensiero che avverte lo stacco tra la condizione umana e l’ atarassia della placida e terribile Natura. Quel dolore, quella tristezza, sono il risultato di un auto-cordoglio, l’evocazione della fatalità del nostro destino: commovente e pietosa fragilità.
 La Noia è riservata ai momenti, invece, in cui ad ardere nel petto è un desiderio disperato di vivere. Ma non sai come si faccia date le premesse, il sicuro epilogo del buco nero della morte, le circostanze contingenti del tuo mondo, il materiale umano con cui ti rapporti e di cui disponi.
E tutto questo ti pare davvero troppo da sostenere, da fingere di non sapere.
Così, la tua anima si affievolisce, cerca la sua catarsi nel distacco, ed il distacco è Noia piena di rimpianto.


giovedì 10 maggio 2012

Bella, quanto sei bella mia Jenny

" ... Nulla è più terribile
della diversità. Esposta ogni momento
-gridata senza fine- eccezione

incessante -follia sfrenata
come un incendio- contraddizione
da cui ogni giustizia è sconsacrata.

Ah Negri, Ebrei, povere schiere
di segnati e diversi, nati da ventri
innocenti..."
(P.P.Pasolini)


E' proprio un grido senza fine, un grido senza suono, che accompagna qualsiasi interazione con l' altro e persino con ogni cosa.

Sono diversa, non è colpa mia, non è neppure mio merito.
E'.
Perché non lo consideri? Perché fingi che non sia? Ho connessioni e sinapsi indipendenti. Lasciami nella mia pura fatale solitudine.
Provo gioia nei dettagli, negli scorci, in qualche immagine fuggitiva, nell' effimera impercettibile ruga espressiva di un volto.
Vedo poesia dove tu registri semplici fatti ed atti asettici, mi commuovo per effetti irrilevanti, mi annoiano e mi mortificano tutte le convenzioni civili  sociali, che pur a malincuore rispetto: non è abbastanza straordinaria la forza d' animo di sopportare quel che deprime?

Il ragazzo boemo che mi porta a render bella la sua amata cagnolina: non conosce una parola di italiano, non è ricco e forse è un diseredato, ma continua a tornare.  Lo vedo poi lungo il viale alberato con lei al guinzaglio. Camminano felici, lei trotterella al suo fianco e lo guarda da sotto in su con l' espressione impagabile d' amore che solo i cani e qualche bimbo sanno esprimere, e lui le dice 'Bella Jenny, quanto sei bella, mia Jenny' e le posa un bacio sulla testa, prendendola in braccio, allegramente. Lei ricambia le effusioni,  sono una coppia sinergica: si bastano, divertendosi un mondo.

Avevo dimenticato che era quella la mia idea d' Amore: corrispondenza di piaceri 'metafisici' ché tanto quelli fisici sono effimeri, merce dozzinale sempre sopravvalutata, alla portata di tutti, buoni o cattivi, empi e giusti, anime belle e spiriti gretti, menti brillanti ed imbecilli...
Epperò non mi ci sono imbattuta mai.

E questa è terribile diversità.


domenica 6 maggio 2012

Odissee

Dopo una settimana dalla sua, arrivò la mail di risposta, stringata come sempre, giacché lui non sapeva, né aveva mai amato, scrivere.

Come fossero riusciti a vivere intensamente vent'anni assieme, erigendo una vertiginosa impalcatura che svettava verso il cielo, sopportare fatiche, rinunciare (in tempi non sospetti), a quasi tutte le distrazioni che le altre coppie si concedevano per un piccolo vitale obiettivo pratico di cui però, dati i limitati mezzi materiali a disposizione, andare fierissimi, e poi finire così, nel reciproco abbandono, era quasi impossibile spiegarselo e spiegarlo ad altri.
Infatti, quando si lasciarono, ciascuno dei loro intimi trasecolò come precipitato dalle nuvole.




Bisogna che lo affermi fortemente che, certo, non appartenevo al mare
anche se i Dei d'Olimpo e umana gente mi sospinsero un giorno a navigare
e se guardavo l'isola petrosa, ulivi e armenti sopra a ogni collina
c'era il mio cuore al sommo d'ogni cosa, c'era l'anima mia che è contadina,
un'isola d'aratro e di frumento senza le vele, senza pescatori,
il sudore e la terra erano argento, il vino e l'olio erano i miei ori....

Ma se tu guardi un monte che hai di faccia senti che ti sospinge a un altro monte,
un'isola col mare che l'abbraccia ti chiama a un'altra isola di fronte
e diedi un volto a quelle mie chimere, le navi costruii di forma ardita,
concavi navi dalle vele nere e nel mare cambiò quella mia vita...
E il mare trascurato mi travolse, seppi che il mio futuro era sul mare
con un dubbio però che non si sciolse, senza futuro era il mio navigare...

Ma nel futuro trame di passato si uniscono a brandelli di presente,
ti esalta l'acqua e al gusto del salato brucia la mente
e ad ogni viaggio reinventarsi un mito a ogni incontro ridisegnare il mondo
e perdersi nel gusto del proibito sempre più in fondo...

E andare in giorni bianchi come arsura, soffio di vento e forza delle braccia,
mano al timone, sguardo nella prua, schiuma che lascia effimera una traccia,
andare nella notte che ti avvolge scrutando delle stelle il tremolare
in alto l'Orsa è un segno che ti volge diritta verso il nord della Polare.
E andare come spinto dal destino verso una guerra, verso l'avventura
e tornare contro ogni vaticino contro gli Dei e contro la paura.

E andare verso isole incantate, verso altri amori, verso forze arcane,
compagni persi e navi naufragate per mesi, anni, o soltanto settimane...
La memoria confonde e dà l'oblio, chi era Nausicaa, e dove le sirene?
Circe e Calypso perse nel brusio di voci che non so legare assieme,
mi sfuggono il timone, vela, remo, la frattura fra inizio ed il finire,
l'urlo dell'accecato Polifemo ed il mio navigare per fuggire...

E fuggendo si muore e la mia morte sento vicina quando tutto tace
sul mare, e maldico la mia sorte, non provo pace,
forse perché sono rimasto solo, ma allora non tremava la mia mano
e i remi mutai in ali al folle volo oltre l'umano...

La via del mare segna false rotte, ingannevole in mare ogni tracciato,
solo leggende perse nella notte perenne di chi un giorno mi ha cantato
donandomi però un'eterna vita racchiusa in versi, in ritmi, in una rima,
dandomi ancora la gioia infinita di entrare in porti sconosciuti prima...

(Francesco Guccini- Odysseus)

E la mail diceva: "Passerò, appena potrò (vorrò)".

E quando arrivò, disse a Calipso: "Ho le mie ambizioni, tu sei il passato."
E lei rispose: "Allora vai, vai a conoscere la tua porzione di Niente. Io l' ho già visto, non è più seducente di quel che dicono 'Tutto'. Alla fine, su entrambi, vince ancora l' oblio. Quanto a me, continuerò ad aspettare, senza più crederci, qualcosa capace di superare ogni sogno."



mercoledì 2 maggio 2012

Psicopatologia di una blogger -3-

Il primo passo verso la corretta direzione sta, probabilmente, nel non preoccuparsi di piacere.

-Ciò è cosa che non mi riesce affatto difficile, per la semplice ragione che scrivo solo ed esclusivamente per sviscerare dubbi e quesiti, palesare riflessioni nude e non supponenti, mossa dal desiderio di meraviglia, ovverossia acquisizione di conoscenza tramite il confronto. Di piacere 'a pelle' , della simpatia di superficie, non me ne curo, né è stato mai il mio fine qui o altrove: sostanzialmente sarebbe una raccolta di nulla, ed il nulla incombe già di per sé su ogni cosa. Davvero non è il caso di incoraggiarlo ulteriormente.-

Il novanta per cento delle auto-mortificazioni derivano esattamente da questo stato febbrile che alimenta una sete di approvazione indiscriminata. Il bisogno della lode, anche se silente ma ugualmente intuibile, è un implicito salvacondotto fornito all'altro per  consentirgli la certa strumentalizzazione del nostro pensiero e della nostra verità.
Da qualsiasi parte una la consideri, l'oggettiva e generale condizione di isolata solitudine cui è relegata la nostra coscienza mentre tenta di penetrare nel mondo, può indurre anche la più irreprensibile e consapevole delle persone a cedere alla seduzione della vanità.
Compiacere chi ci compiace è comunque una forma di volgare mercificazione per guadagnarsi assenso.
Non immagino forza morale maggiore di colui che paga in termini di impopolarità o indifferenza la sua resistenza alle facili lusinghe ed alla stucchevole piaggeria di convenienza in uso nei superficiali e pur civili rapporti.

Mi chiedo se ci sia un modo giusto per esprimersi in uno scambio davvero costruttivo evitando il rischio d'immergersi nella commedia delle parti.
Talvolta arrivo a concludere che sia il silenzio pubblico ed il molto dialogare privato.

- Ma è così evidente, no?, la mia  lenta deriva nel mare della perplessità del dire...-

Qualsiasi metodo dialogico ripulito dalla spettacolarizzazione acquista per me, comunque, maggior credibilità, e riduce il sospetto.
Le parole rimangono bivalenti in ogni loro potenzialità. Sono tutto ciò che abbiamo per tentare di uscire da noi stessi e quanto di più perversamente atto a rinserrarci nella prigione crudele del nostro affamato ego. L'io, questo orribile buco nero che ingoia perennemente sé stesso.