sabato 29 ottobre 2011

Tipi -2-


...
questi invece appartengono alla sottocategoria degli acculturati.

Il fatto di possedere alcune nozioni ascrivibili all' ampio campo umanistico, nutre in loro una sicumera di fondo che il mondo, generalmente, scambia molto sbrigativamente per saggezza, dimenticando od ignorando che invece la sola cosa che sa il saggio è di non sapere. Scambiare quest' ultima perla per atto di umiltà anziché per il distillato di verità che è, è già testimonianza di enorme ignoranza.
Ma loro ben lo sanno -ché  di astuzia non difettano-, la deferenza un po' servile che ricevono li ingrassa, se ne beano, se ne cibano. Seminano parole e raccolgono qualche genuflessione.

Nella vita fisica, fatta di iniziative, azioni e reazioni verificabili, di frizzi, sorprese, scarti, invenzioni, follìe, iniziative, coraggio di osare ed un' infinità di corroboranti errori, sono, quasi sempre, immobili, assenti, ingessati, goffi e disarmati,  maldestri.

Nel caso tu abbisognassi di sostegno, anche soltanto morale,  da un amico di questo tipo, sappi che non l' avrai mai.

Eccellono nella critica, ma  possiedono soltanto specchi di legno. Sono parziali, più ideologici di quanto essi stessi suppongano.
E se qualcuno, anche ipocritamente, solletica la loro intrinseca vanità, li seduce facilmente.

mercoledì 26 ottobre 2011

Psicopatologia di una blogger -2-

Arriva il momento in cui l'  hai imparata così bene da scoprirla perfettamente interiorizzata, ormai pilastro della tua struttura sotterranea, anello aggiunto di dna, cellula pellegrina nel tuo sangue.

La solitudine di ciascun umano è appurata: un dato oggettivo ed inoppugnabile.
E lei, questa austera signora tanto malinconicamente bella -com' è bello tutto ciò che, anche se perdutamente, mette a nudo l' anima-,  sa scegliere con grande perizia i soggetti presso cui, più volentieri, indugiare ed esprimersi: sono coloro che hanno maggior familiarità e frequentazioni con il concetto della morte, anziché della vita.
L' hanno troppe volte sorpresa ad agire, osservato attoniti le sue sfalciate su ciò che avevano di più caro, ed in più di qualche occasione invocata.
Adorabili minuscoli eroi, dotati più di coraggio che di respiri. Deliziosi dannati decadenti, tanto più nobili quanto più, per non opprimere con la loro incurabile tristezza i loro fratelli, vi si rivolgono sempre e nonostante tutto, con un sorriso.



Spesso ho tentato di sfuggirla, un po' vilmente, raccontando a me stessa qualche storiella, di quelle appiccicose e romantiche, in cui si trovano estemporaneamente addirittura 'belle' poesie orrende come questa:

"In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose


di Dino Campana

(per Sibilla Aleramo)"

laddove soltanto 'Questo viaggio chiamavamo amore' possiede una sua onesta bellezza, ed il resto è accozzaglia di suoni monotoni, eco d' eco, quasi come bastasse il martellìo di un lemma a rendere armonico un insieme di parole aspirante ad esprimere tensione sentimentale.

Il vero viaggio, il divenire dell' anima, così come la morte, è solitario, e non c' è verità più crudele di questa.

Pazzia.
Altro non si può definire il generale modo di stare al mondo ed a contatto con i propri simili.
Pochi giorni -per qualcuno di più, per qualcun altro ancor meno-, da consumare sopra la crosta terrestre, tra angoscia ed esaltazione, entrambe clamorosamente sbagliate.
Alla resa dei conti, ecco che ci si ritrova, smaterializzati, a cercar consenso o solo comprensione confronto e contatto in questo modo ridicolo e miserabile: scrivendo cose.
Tutto ciò, magari mentre le persone solide in carne ed ossa (da contare sulle dita di una sola mano) su cui, timidamente e pur con immensa apprensione, si sperava di poter contare, ci abbandonano e si allontanano.

Beh: meno male che ci sei tu, pur se non ti conosco.










                           
 

sabato 22 ottobre 2011

Tipi -1-

... alcuni fanno così: si smarcano, per un istante, dalla tenaglia serrata delle loro un po' miserabili abitudini; sgattaiolano come ladri di galline dalla loro vita-recinto impalcata su alibi e convenienza, spinti da una crisi di noia acuta, sedotti da una fantasia estemporanea, ed accennano ad una mossa nuova.
L' escursione rimane effimera, l' attendismo degli ignavi stronca alle origini il meccanismo, l' aggeggio si inceppa dopo un giro avvitato. Pretendevano amore facilitato. 

venerdì 21 ottobre 2011

Il silenzio delle sirene

"In tutta la mia vita non ho mai esercitato un atto di violenza nè fisica nè morale. Non perchè io sia fanaticamente per la non-violenza. La quale, se è una forma di auto-costrizione ideologica, è anch'essa violenza. Non ho mai esercitato nella mia vita alcuna violenza nè fisica nè morale semplicemente perchè mi sono affidato alla mia natura, cioè alla mia cultura."
(Pier Paolo Pasolini)

In realtà mi riesce difficile immaginare una dicotomia tra istintualità aggressiva ed auto-costrizione ideologica.
Ritengo che non sia possibile compiutamente, fino in fondo. L' aggressività scatenata, fomentata dal delirio di una massa che la alimenta e l' infiamma, in realtà non è completamente distaccata dalla ragione.
"Sotto i gelidi lumi della ragione, nasce la messe di una nuova barbarie", si legge nella Dialettica dell' Illuminismo di Adorno e Horkheimer.
E sappiamo, d' altronde, molto bene anche che "arma ancor più temibile del canto è il silenzio delle sirene".


Pasolini -che muore di morte violenta-, aborre la violenza perché essa non appartiene a quella  sua natura/cultura che egli non vuole scindere e che s' è adoprato, come intellettuale e come uomo, a mantenere simbiotiche.
Perché, forse, c' è del vero nel sospetto che la sola ragione sia malata e che la malattia sia originata dal suo sbagliato utilizzo.

"Dal momento in cui la ragione divenne lo strumento del dominio esercitato dall’uomo sulla natura umana ed extraumana - il che equivale a dire: nel momento in cui nacque -, essa fu frustrata nell’intenzione di scoprire la verità. Ciò è dovuto al fatto che essa ridusse la natura alla condizione di semplice oggetto e non seppe distinguere la traccia di se stessa in tale oggettivazione. […] Si potrebbe dire che la follia collettiva imperversante oggi, dai campi di concentramento alle manifestazioni apparentemente più innocue della cultura di massa, era già presente in germe nell’oggettivazione primitiva, nello sguardo con cui il primo uomo vide il mondo come una preda ".
(Horkheimer, Eclissi della ragione)

Dove si subodora una preda la violenza si fa inevitabile.
Ma il circolo rimane vizioso: ciascuno di noi, a sua volta, può ritrovarsi da carnefice a vittima.
Bisognerebbe operare uno spostamento temporale, cercare l' ancestrale contatto con la memoria dell' umanità, ricordare che la primordiale ragione ci è servita per auto-conservarci, non per distruggere.

***



Siamo diventati orribili.

lunedì 17 ottobre 2011

Eristica e sputi

Che la dialettica, nei circoli non accademici, non sia un interesse umano primario, nè un' abilità innata generale, mi pare abbastanza chiaro.

Veder prendere Pannella a sputi in faccia dalla folla incattivita -che poteva benissimo detenere molte ragioni e tutte politiche-, a me causa lo stesso orrore che mi dà assistere al maltrattamento di un cane  -pur se il cane è, invece, sempre innocente-, la notizia dei neonati dimenticati in auto sotto il solleone,  qualsiasi altro sopruso, volontario e non, compiuto su un essere vivente, tanto più se dotato di intelligenza.
[Ed aggiungo che il Pannella (con i suoi "partitocrazia", i volta gabbana, le ciccioline, i digiuni reiterati, ma con quella patina borghese tenace che non gli stacca di dosso in alcun modo) non mi ha mai fatto proprio impazzire.]

Si tratta di una reazione istintiva di raccapriccio, ma sbaglio clamorosamente.

Mi fa orrore la violenza, in tutte le forme e modi, e mi fa genericamente orrore il vilipendio  a ciò che è umano o aderente all' umano. Nel contempo capisco anche  di essere in errore: la violenza subìta richiede necessariamente una reazione di qualche tipo, non può, in nessun modo, passare sotto silenzio od essere tacitata. Il risentimento, inevitabile, deve trovare in qualche modo uno sbocco.
Ora, l' indignazione che un ampio numero di cittadini cova da anni -imputabile sostanzialmente alla violenza insita in tutte le scelte di ingiustizia sociale- e che il tracollo del sistema ha portato al parossismo, si trova rasente al punto di non ritorno, superato il quale non sarebbe affatto sorprendente una nuova "presa della Bastiglia" mossa da una gigantesca ondata di emotività e furore esplosivi.

Quando la politica agonizza e non adempie alla sua indispensabile funzione, quando latita, la porta alla violenza è aperta e dà nelle più svariate direzioni.
Si può addirittura sentire in un' intercettazione telefonica un' alta carica dello Stato paventare l' assalto ad una sede della Magistratura o alla testata di un quotidiano, così come, d' altra parte, veder sfasciare vetrine o bruciare automobili nel corso di manifestazioni civili o di rivendicazioni sociali.

Ma i nostri politici paiono non capirlo e mi sorge il sospetto che per fare il politico in Italia sia assolutamente indispensabile essere anche ottuso. Ottuso e profondamente ignorante. Mi pare perfino troppo generoso liquidare il comportamento dei nostri rappresentanti (eufemismo) politici come semplice malafede.
Essi perseverano, imperterriti. Hanno spolpato il paese fino all' osso, come i colleghi egei. Raccontano le loro menzogne, sgraffignano dal barile dell' ultima marmellata, vanno in televisione e fanno le faccine candide e di circostanza -dietro cui si celano i loro veri ceffi malandrini- e somministrano e ri-somministrano la stessa pillolina-placebo del nemico invisibile e mondiale al di sopra di tutto e fuori controllo.
E' la crisi ...

*

Ma che c' entra la crisi con gli otto mila euro di base di stipendio mensile a quella nullità siliconata di un' igienista dentale?
Che c' entra la crisi con i privilegi della Casta?
Che c' entrano le soubrette in Parlamento, i mafiosi al potere, i capitalisti alla Presidenza del Consiglio, i parlamentari in vendita, i tagli ai servizi sociali, l' affossamento dell' istruzione pubblica, il mantenimento dei privilegi alla Chiesa, la mancanza di investimenti a supporto dell' occupazione, ecc. ecc. ecc,, con 'la  crisi'?
Se la crisi ci impoverisce tutti, ci diano l' esempio, questi parassiti: si impoveriscano loro, per primi, ci dimostrino personalmente come sia possibile il sacrificio.

*

Mi uccide di noia, sta roba che ho scritto. Non la sopporto almeno tanto quanto non riesco più a sopportare le centinaia di articoletti, post, prese di posizioni scontatissime, sentenze ed opinioni.

Tutta eristica, solo eristica.

venerdì 14 ottobre 2011

Una lunga strada di polvere

Una candela che arde da entrambi i lati non ha poi così tante alternative nel giocare con il tempo: l'aria più o meno ossigenata è la sola variabile in grado di protrarne il sicuro e comunque più rapido spegnimento rispetto a quella dall' ordinaria unica fiamma...
L' effetto-luce, però, non è il medesimo: due focherelli, nell' oscurità, son meglio d' uno soltanto... pur se in un lasso di tempo dimezzato.
Naturalmente, a patto che si desideri vedere. E non è detto che sia la migliore delle scelte.

*




Ma me lo ricordo bene, perfettamente bene, il tempo in cui mi permettevo d' ardere da un solo lato: votarsi a qualche passione, per uomini od idee, è quanto più si avvicini all' universale convinzione d' esser vivi.
Se è amore, quella passione, presto o tardi ti muore tra le dita, proprio quando, trionfante, sentivi di averla afferrata e pensavi di trattenerla in eterno; e se è, invece, idea, il mondo te la straccia, la deride e l' umilia, ed il tuo abito di utopia si affloscia, sinistro, al suolo. Lo guardi con distacco, ne noti tutta l' usura, un po' te ne vergogni, perché, da grandi, l' ingenuità appare ridicola, sempre patetica.

Ti rimangono, in eredità,  pochi accordi, ed un nodo duro in fondo alla gola, che si rinnova ad ogni visita del ricordo.




Ecco che rivivi, per qualche istante, ciò che sei stata e che in qualche oscuro anfratto di te sei ancora e sarai sempre, e la tua anima abbraccia i tempi e gli spazi. Indicibile vastità. La strada pare riappropriarsi del suo antico fascino, quasi ne odi il noto richiamo concentrico, vorresti andare, nelle letture da ragazza ti seduceva il principe Siddharta. Ma dov' è il fiume...
Poi, si spegne.
"Siamo fatti della stessa materia dei sogni": impermanenti, ma in qualche modo indistruttibili. Possiamo vivere a fondo soltanto come spettri?



Nell' età  di mezzo ho acceso anche lo stoppino opposto: agire, capire, sistemare i pensieri, crescere, far pulizia, razionalizzare.
Iper-razionalizzare. E presto, ché il tempo stringe ed il mondo, là fuori, sta crollando.

Quanta luce, adesso, sulla mia assoluta impossibilità d' essere.

domenica 9 ottobre 2011

Nebbie

L' amico Luca ha assolutamente ragione: la perfezione ha velleità diaboliche e comunque disumane.

Ma cercare la verità, invece, e ribadisco cercarla, è un obbligo istintivo -comunque e sempre- perché essa bussa e scalpita alle porte dell' intelletto, e di un qualche altro nonsoche, giacché scaturisce da un autentico bisogno innato e, come tale, esige soddisfazione.
Innato, primario, perfino organico e biologico.
Anche il più disinvolto degli ipocriti, od il più abile dei manipolatori, non può dissociarsi da sé stesso al punto tale da evitare l' inevitabile e personalissima sua tenzone con il bisogno di verità.
Quando si fa notte, almeno nelle nostre stanze interiori - pur se la nostra stessa corruzione  e gli espedienti della sopravvivenza e dell' adattamento al consorzio umano (in cui fatalmente il caso ci ha posti per vivere questa manciata di giorni, o che abbiamo deliberatamente scelti) sembrano ostacolarlo-, la verità esige di esercitare il suo ruolo, che è, sostanzialmente, quello di far ordine e di ripulire la coscienza da pretesti, orpelli, ambiguità con cui ci si è più o meno a lungo ammennicolati. Ce lo impone spesso con la durezza che deve essere sua prerogativa, od anche con  la bonaria diligenza del buon padre di famiglia.
O così sarebbe -pare a me- cosa buona e bella.

Per questo, non mi riesce sempre di soprassedere ed accettare talune contraddizioni che osservo negli altri. Non è pretesa di una sedicente perfezione, né una presa di posizione, non è un principio né un esercizio di stoicismo, ma bensì una vera necessità . 
E' la ragione per cui molti dei rapporti umani, nella mia vita intercorsi, sono finiti. Anzi, è la ragione per cui sono finiti tutti: sentimentali, professionali, amicali o sociali che fossero. Certo, molte volte avrei potuto idealmente mettere sui piatti della bilancia della valutazione ciò che sentivo cattivo e ciò che sentivo buono,  cioè falso e vero, fare "pari e patta", e tirare avanti in una specie di equilibrio, vagamente soporifero e sempre conciliatorio.
Ma io non voglio.
Io voglio, magari per un solo istante tra mille, gioia vera, senza contraffazioni, di quella che sale gorgogliando dalla pancia e crea una specie di atmosfera leggera e rarefatta a livello del plesso solare, spesso con tuffo avvitato: moderazione e medietà, nelle vicende private ed intime, non mi provocano che la tristezza e la mortificazione dell' eterno rimpianto di un' Idea da realizzarsi sempre e certo altrove.
Nel sospetto di subire l' altrui raggiro e la menzogna,  il plumbeo peso della disillusione mi schiaccia al suolo, paralizzandomi impietosamente, ed inibisce  qualsiasi altra possibilità di dialogo e rapporto.

La carenza di verità, però, non sta soltanto nella dichiarazione del falso, ma anche e forse più nelle omissioni, negli oscuramenti, nella malafede pur se inconsapevole, nell' imbarazzo.

... Imbarazzo. Gli umani annichiliscono spesso a causa di malcelati, istintuali, sordidi, goffi sentimenti di reciproco imbarazzo.
Ma non c'é davvero ragione di provare alcun imbarazzo di fronte ad un essere umano. Egli è -che gli piaccia o meno-, sempre un simile.
Proverà dolore, piangerà, avrà qualche assaggio di effimera felicità, si innamorerà mille volte e mille volte penserà d' aver conquistato l' amore eterno, e poi, logorato dai suoi mali o dalle sue stesse velleità, morirà. Inevitabilmente.

Il destino è lo stesso, per tutti. E provare deferenza o timore, o complesso d' inferiorità o superiorità, alla luce -anzi al lumino- dello stesso destino è ridicolo.

Così, molto pragmaticamente, forse unico e certo elemento di verità nella nostra vita è la nostra sicura morte: del suo inoppugnabile arrivo c' è da fidarsi sempre.
Nel frattempo, io vorrei sapere che farmene dei rapporti con gli altri morituri, perché si dà il fatto che avverta ormai sempre più pressante il bisogno di evadere dalla noia che i troppi espedienti del vivere più o meno espressamente legittimati nel consorzio umano mi provocano. Io non posso usarli, mi ripugnano.

Vorrei chiedere a certi blogger, ad esempio, che inizialmente mi piacevano ed ora mi deludono: "Perché siete diventati così stucchevoli e banali in diretta proporzione all' aumento del virtuale gradimento? Farsi titillare l' ego a suon di scambi un po' mielosi è abbassamento, non elevazione"
Trattasi di libero esercizio di scelte, certamente. Ciascuno goda come può. Ma che noia.

Ma non lo so.
So ciò che non voglio, so con sicurezza quali siano i difetti, le ambiguità, le bassezze, le meschinità e le debolezze che mi ripugnano nei miei simili,  ma non riesco ancora a tracciare con precisione il tipo umano la cui esistenza -se non fisica conoscenza- mi conforterebbe.

Sono sempre più lontana dall' agognato abbozzo di definizioni nella mia vita, so che in troppo fitte nebbie anche il più navigato dei nostromi perderebbe la rotta, ma l' iceberg su cui poggia questo mio vascello s' è da troppe miglia staccato dalla banchisa, e non riesco nemmeno a sentirne nostalgia; dev' essere così che ci si perde definitivamente, o ci si libera -forse è lo stesso-: smettendo di rimpiangere il mondo.
Ma questo lo scrivo qui, avvicinandomi ad atolli sconosciuti da straniera. Quando poso piede a terra, nessuno, nessuno lo sa, nessuno l' immagina.
Ignoravo, da giovane, questa mia maestria nella resistenza.

domenica 2 ottobre 2011

Una perfetta scienza sociale.

"Nel corso degli ultimi secoli si è avvertita confusamente la contraddizione fra scienza e umanesimo, benché non si abbia mai avuto il coraggio intellettuale di guardarla in faccia. Si è tentato di risolverla senza averla precedentemente contemplata. Una simile slealtà intellettuale è sempre punita con l' errore.
L' utilitarismo è stato il frutto di uno di questi tentativi. Si è supposto un piccolo meraviglioso meccanismo grazie al quale la forza, entrando nella sfera delle relazioni umane, diverrebbe automatica produttrice di giustizia.
Il liberalismo economico dei borghesi del XIX secolo si fondava esclusivamente sulla fiducia in un simile meccanismo. L' unica restrizione era che, per godere della proprietà di produrre automaticamente la giustizia, la forza avrebbe dovuto avere la forma del danaro, escludendo così ogni uso delle armi o del potere politico.
Il marxismo non è altro che la fiducia in un meccanismo di questo genere. La forza vi è battezzata col nome di storia; ha per forma la lotta di classe; la giustizia è rimandata a un avvenire che dev' essere preceduto da qualcosa che somiglia a una catastrofe apocalittica.
E anche Hitler, dopo il suo attimo di coraggio intellettuale e di chiaroveggenza, è caduto nell' illusione di quel piccolo meccanismo. Gli sarebbe stato necessario un modello inedito di macchina. Ma egli non ha il gusto né la capacità dell' invenzione intellettuale, a parte qualche lampo di intuizione geniale. E quindi ha preso in prestito il suo modello di macchina da coloro che lo ossessionavano continuamente perché gli erano repulsivi. Ha semplicemente scelto come  macchina la nozione di razza eletta, di una razza destinata a piegare tutto e a stabilire quindi fra i suoi schiavi la forma di giustizia che conviene alla schiavitù. In tutte queste concezioni apparentemente diverse e in fondo tanto simili, c' è un solo inconveniente, uguale per tutte. Vale a dire, che sono menzogne."
 
(Simone Weil, La prima radice)
 
La Weil mi piace, in generale -anche quando afferma cose che non approvo o quando si stacca da terra in elucubrazioni misticheggianti che a me paiono deliranti, perché io quel suo Dio/verità non so dove stia-, perché usa stupendamente l' innata dote tutta femminile dell' intuizione. Unito alla sua cultura e preparazione filosofica, questo le consente splendide equazioni di pensiero e sterminata vista, con conseguenti precognizioni: perciò è sempre moderna.
 
Nel 1949  viene pubblicato postumo "L' enracinement"  -tra l' altro voluto da Albert Camus come primo volume della Collana di Gallimard Espoir, che lo presenta come il documento di una benjaminiana "speranza dei senza speranza"-.  Con l' orrore dei conflitti mondiali ancora sotto agli occhi e personalmente vissuti, la filosofa dall' ardente carattere ha il perfetto coraggio di scrutare e smascherare le contraddizioni umane e storiche del suo tempo.
 
Perciò, "C' è una sola scelta da fare. O bisogna riconoscere che nell' universo accanto alla forza (unica signora di tutti i fenomeni della natura, mentre invece gli uomini possono e devono fondare le loro reciproche relazioni sulla giustizia, riconosciuta mediante la ragione -n.d.r.) opera un principio diverso dalla forza,  o bisogna riconoscerla come signora unica e sovrana anche per le relazioni umane." (ibidem)
 
La giustizia, infatti, è altrettanto reale nel cuore degli uomini. Gli uomini, ed il modo in cui il loro cuore è fatto, è reale. I bisogni innati, come, appunto, quello di giustizia, sono realtà. L' umanesimo, allora, non è in conflitto con la scienza.
 
 
 
***
 
Oggi il mondo è ingiusto, lo sappiamo bene. Ovunque, non si sentono che lamentazioni.
Il problema sorge quando ciò che percepisci tu come ingiusto, e poi quel che è ingiusto per me, non collimano, si sbilanciano.
Tu avverti la tua indignazione nei confronti dell' ingiustizia a te cara come assolutà priorità, e così affossi la mia, di cui non t' accorgi. Potresti guardarmi morente, e non cambieresti opinione, dentro di te.
 
Serve l' ordine. Una perfetta scienza sociale. Come si fa.
Ed ho appena scoperto che non c' è alcuna via di scampo.
Bisogna amarsi. Il resto sono chiacchiere.