venerdì 15 settembre 2023

Piccola anima smarrita e soave - 12- "symply man"

Dev'essere una prerogativa spiccatamente americana di un certo momento storico, poi trasposta in testo e musica da più di un rockerman, quella di ricordare insegnamenti fondamentali preziosissimi ed altamente etici ricevuti nel corso dell'infanzia dai classici maestri spiriti-guida che abbiamo da bambini: una madre, un padre, un nonno, una nonna. 
Gli Americani, d'altronde, sono campioni planetari della predica e del moralismo quasi sempre spiccio, ipocrita e dozzinale.
Inciampata per caso nell'ascolto di "Simply man", dei Lynird Skynird (ché mi ritrovo in fase di rock nostalgico), il nonno raccomanda al nipote di perseguire solo la semplicità, non corrompersi rincorrendo denaro ed ambizioni, preservare il candore della propria anima. Di testi analoghi ne troveremmo a palate perché nulla è più facile del blaterare a vuoto ed evocare purezza di intenti anche quando di fatto ci si immerge volontariamente fino al collo in una cloaca.
Ricordo invece quel che mi dicevano i miei, di nonni, quei poveri cristi giocoforza  materialisti. Mi dicevano "Magna 'more, che ti xe verde", giacché parevo loro sempre emaciata anche quando, nella fase adolescenziale, ero al contrario burrosa ed in qualche punto rotondetta. L'invito all'opulenza ed all'eccesso è proprio di chi ha sperimentato carenze e privazioni e loro di appetiti mortificati ne avevano fatto amaro esercizio. 
In fondo, e comparabilmente, è molto più frequente che lo schiavo aspiri a diventare un padrone piuttosto che desideri anche per gli altri un mondo senza schiavitù: l'egoismo umano è congenito, la meschinità è una dotazione della nostra stirpe che molti giudicano indispensabili alla sopravvivenza: Darwin docet, buon per loro.
Personalmente non concedo supremazia ad alcun aspetto particolare della vita: le affezioni materiali e quelle immateriali distruggono con la stessa veemenza corpo e spirito, sia che convivano sia che non convivano nel medesimo individuo.
Se la questione non fosse tanto relativamente irrilevante sarebbe semmai da chiedersi quale sia più solerte e rapida nell'ucciderci.

Ora, ora che ho visto tanto, che ho vissuto abbastanza, ora che ho subito la rovinosa sconfitta nella pretenziosa crociata della ricerca della felicità, prendo atto, con grande lucidità, che la sola certamente reale finalità di una vita è la morte ed il resto è interamente illusione o personale, troppo personale, interpretazione, compreso il piacere.
E' l'insostenibile inutilità dell'intelletto.
 
 

lunedì 22 maggio 2023

Appunti antropocentrici -15-

Ogni cosa è ferocemente squallida, fin l'aria, che sa di generale catastrofe. E non c'è una sola persona che io conosca pacificata con il mondo od almeno con se stessa.

Eppure lo spettro che incombe e minaccia queste nostre miserevoli vite non è nuovo e ci sovrasta da tempo immemorabile: lo avvertiamo solo ora che raggela le nostre personali ossa, dopo averne già sbriciolate milioni di altre, appartenenti a quelle astratte figurine che rappresentano il nostro prossimo, vicinissimo o lontano che sia: siamo mortali, ma tu pensa! Eccolo, lo sgretolamento di ogni pretesa di senso, il disfacimento dell'aspettativa di minimo decoroso futuro che da bravi aspiranti borghesi consideravamo legittima!

Il futuribile, ora, sposa il suo sinonimo fantascientifico. Domani improbabile.

Avessero avuto, poeti, maestri, preti e profeti, la decenza di non inventare le parole amore, umanesimo, fratellanza, libertà! Avessero avuto il pudore di non alimentare nelle anime ingenue utopie ed illusioni bugiarde: l'uomo non ne è mai stato all'altezza e non le persegue con convinzione. Non sa che farsene dell'aura di santità o del rendersi irreprensibile: non nell'anonimato, non se non risulta spendibile, non senza un ritorno.

La gente, in fondo, poi,  non è buona, nonostante l'ostentazione di buonismo nelle grandi occasioni ed ha l'aggravante incresciosa d'essere pure, per la maggioranza,  stupida. 

*

"Che hai, perché fai così, perché non cogli che la negatività dell'esistenza? Il pettirosso saltella e fa brevi graziosi voli tra le fronde ed il pesciolino nel torrente pare una saetta d'argento: non è una delizia? Hai la Natura." mi diceva lui.

"Ed è la Natura che mi ha resa così. La Natura, non già la Cultura. Cado nel nulla da quando esercito il pensiero. E' il nulla che incontro nelle strade affollate, negli scambi sociali, nel buio della notte. Il sospetto, atroce, è che sia l'unico onesto approdo possibile. Forse la morte è il vero premio, giacché neppure il ricordo delle passioni di un tempo, gli amori, i trasalimenti, le sporadiche tregue di bellezza, mi hanno guarita. Sempre più ignoro la ragione per cui la specie cui apparteniamo abbia sviluppato tanta sofisticata intelligenza. Non ne ravviso né l'utilità biologica alla sopravvivenza, né quella più aleatoria al raggiungimento della felicità, perché nel primo aspetto ha consentito la nostra eccessiva proliferazione, che si tradurrà in un danno, e nell'altro ci ha reso mostri di sofferenza metafisica." gli rispondevo.

Ricordo, ma flebilmente, come sono stata e non sono più e come chi mi conosce da sempre ritiene erroneamente io sia ancora. O forse hanno più ragione di quanta ne abbia io nel giudicarmi, perché ritengo pur sempre vero che l'indole è immutabile ed eterna nel profondo.

Sfinimento psico-fisico, fisico decadimento, mi lasciano stupefatta. Ne ero impreparata ed ho permesso che mi soverchiassero.

D'altronde, se io non fossi sempre io, avrei rinunciato anche a questa logorante ribellione ed accettato l'assenza di valide alternative non egoistiche al presente inutile dolore. Invece non posso. L'autocritica, feroce, trattiene almeno le mie dolci utopie sentimentali del tempo in cui guerreggiavo armata di sogni e valori supremi.

Va bene, ho fallito. Sconfitta su tutti i fronti, non ho conquistato né solide realizzazioni materiali per vivere domani dignitosamente, né la consolante edificante presenza di un affetto compatibile, un poco a me simile, empatico, capace e degno di amore. Non avrò accesso al futuro, scamperò alla più degradante vecchiaia.

E bisognerà che io impari la maggiore benevolenza verso me stessa perché intuisco profondamente la verità dell'affermazione del buon Camus che recita "... per suicidarsi bisogna amarsi molto..."