lunedì 22 maggio 2023

Appunti antropocentrici -15-

Ogni cosa è ferocemente squallida, fin l'aria, che sa di generale catastrofe. E non c'è una sola persona che io conosca pacificata con il mondo od almeno con se stessa.

Eppure lo spettro che incombe e minaccia queste nostre miserevoli vite non è nuovo e ci sovrasta da tempo immemorabile: lo avvertiamo solo ora che raggela le nostre personali ossa, dopo averne già sbriciolate milioni di altre, appartenenti a quelle astratte figurine che rappresentano il nostro prossimo, vicinissimo o lontano che sia: siamo mortali, ma tu pensa! Eccolo, lo sgretolamento di ogni pretesa di senso, il disfacimento dell'aspettativa di minimo decoroso futuro che da bravi aspiranti borghesi consideravamo legittima!

Il futuribile, ora, sposa il suo sinonimo fantascientifico. Domani improbabile.

Avessero avuto, poeti, maestri, preti e profeti, la decenza di non inventare le parole amore, umanesimo, fratellanza, libertà! Avessero avuto il pudore di non alimentare nelle anime ingenue utopie ed illusioni bugiarde: l'uomo non ne è mai stato all'altezza e non le persegue con convinzione. Non sa che farsene dell'aura di santità o del rendersi irreprensibile: non nell'anonimato, non se non risulta spendibile, non senza un ritorno.

La gente, in fondo, poi,  non è buona, nonostante l'ostentazione di buonismo nelle grandi occasioni ed ha l'aggravante incresciosa d'essere pure, per la maggioranza,  stupida. 

*

"Che hai, perché fai così, perché non cogli che la negatività dell'esistenza? Il pettirosso saltella e fa brevi graziosi voli tra le fronde ed il pesciolino nel torrente pare una saetta d'argento: non è una delizia? Hai la Natura." mi diceva lui.

"Ed è la Natura che mi ha resa così. La Natura, non già la Cultura. Cado nel nulla da quando esercito il pensiero. E' il nulla che incontro nelle strade affollate, negli scambi sociali, nel buio della notte. Il sospetto, atroce, è che sia l'unico onesto approdo possibile. Forse la morte è il vero premio, giacché neppure il ricordo delle passioni di un tempo, gli amori, i trasalimenti, le sporadiche tregue di bellezza, mi hanno guarita. Sempre più ignoro la ragione per cui la specie cui apparteniamo abbia sviluppato tanta sofisticata intelligenza. Non ne ravviso né l'utilità biologica alla sopravvivenza, né quella più aleatoria al raggiungimento della felicità, perché nel primo aspetto ha consentito la nostra eccessiva proliferazione, che si tradurrà in un danno, e nell'altro ci ha reso mostri di sofferenza metafisica." gli rispondevo.

Ricordo, ma flebilmente, come sono stata e non sono più e come chi mi conosce da sempre ritiene erroneamente io sia ancora. O forse hanno più ragione di quanta ne abbia io nel giudicarmi, perché ritengo pur sempre vero che l'indole è immutabile ed eterna nel profondo.

Sfinimento psico-fisico, fisico decadimento, mi lasciano stupefatta. Ne ero impreparata ed ho permesso che mi soverchiassero.

D'altronde, se io non fossi sempre io, avrei rinunciato anche a questa logorante ribellione ed accettato l'assenza di valide alternative non egoistiche al presente inutile dolore. Invece non posso. L'autocritica, feroce, trattiene almeno le mie dolci utopie sentimentali del tempo in cui guerreggiavo armata di sogni e valori supremi.

Va bene, ho fallito. Sconfitta su tutti i fronti, non ho conquistato né solide realizzazioni materiali per vivere domani dignitosamente, né la consolante edificante presenza di un affetto compatibile, un poco a me simile, empatico, capace e degno di amore. Non avrò accesso al futuro, scamperò alla più degradante vecchiaia.

E bisognerà che io impari la maggiore benevolenza verso me stessa perché intuisco profondamente la verità dell'affermazione del buon Camus che recita "... per suicidarsi bisogna amarsi molto..."