sabato 23 febbraio 2013

"Sarai puro. Perciò ti maledico"

Il mio primo pensiero, la mattina alle 7, quando mi alzo per cominciare la mia giornata, sarebbe in verità piuttosto mortificante per una tizia che, caparbiamente, procrastina il suicidio nella segreta speranza di non aver ancora capito niente e di incorrere in un madornale e generale errore interpretativo di sé, di ciò che ha bloccato fino ad oggi le potenzialità latenti nella sua indole, di tutti - indiscriminatamente tutti - coloro che a vari livelli hanno rappresentato e rappresentano il suo altro.
 
Il pensiero, dunque,  immediato,  fluido e spontaneo è sempre lo stesso - incipit di ogni risveglio - e le bisbiglia dalla sua più cavernosa interiorità: "Come sarà bello, stanotte, riabbandonarsi al sonno".
 
Eppure, la mia non è un'indole letargica: io sono stata fino a ieri, forse e piuttosto, iper-attiva, e da sempre.
Agitarsi però non serve più a nulla, neppure a sopravvivere: l'ho appreso in modo inconfutabile di recente, quando m'è accaduto di veder crollare uno dopo l'altro, per motivi che serve a poco raccontare ma aventi la stessa veemente forza distruttiva dei cataclismi naturali, tutti i vari bastioni dietro cui proteggiamo e giustifichiamo in genere la vita. Se ciò non spalancasse direttamente le orribili fauci del nulla potrebbe anche essere un'eroica operazione di pulizia. 
Pare contraddittorio, invece costituisce coerentemente la mia vita binaria.
Oggi è il solo modo di vivere per un umano consapevole della sua condizione esistenziale oggettiva che tenti di rispettare la sua propria integrità, la sua personale e particolare verità e che sia duro, freddo, smaliziato, disperato, lacerato dall'offesa della nascita - questo oltraggio che pago (pure!) da 53 anni -, dignitosamente ed onorevolmente disadatto, perché inadatto.
Semplicemente e totalmente inadatto ad un mondo reso così, ma anche fatalmente ed oggettivamente fatto così.
 
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Sarà per tale inadeguatezza, allora, che mi commuovo intensamente e raramente, ormai, al ricordo di alcune potenti metafore in cui mi riconosco fino all'osso, che magari son poco o meno amate invece da chi apprezza tutto il resto della produzione artistica, letteraria e filosofica del suo autore.
" [...] 'Sarai puro./ Perciò ti maledico'. (gli dice il custode del'eternità prima di gettarlo nel mondo. ndr.)/Vedo ancora il suo sguardo/ pieno di pietà - e del leggero orrore/ che si prova per colui che la incute, /lo sguardo con cui si segue/ chi va, senza saperlo, a morire,/ e, per una necessità che domina chi sa e chi non sa,/ non gli si dice nulla -/ vedo ancora il suo sguardo,/ mentre mi allontanavo/ - dall' Eternità - verso la mia culla. [...]": dello scrivere di Pasolini ammiro enormemente nella stessa misura lo stile e l'impavida potenza dei contenuti, siano essi in versi che in prosa.

Non mi commuovo più - ché mi son fatta ghiaccio -, invece, pur considerandole indubitabilmente vere, alle rivelazioni del satiro che sentenzia senza tema di smentita la sostanziale sciagura per l'uomo riflessivo di fare la sua comparsa nella vita: raccoglierà soprattutto dolore atroce per l'anima e strazianti dubbi irrisolvibili.

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Poco alla volta mi si assottigliano le idee per ricavare espedienti in grado di contrastare una fatale, immota, perfino placida disperazione dettata dalla consapevolezza di un'invincibile assenza di ulteriori oggettivamente onesti motivi e comprendo che il solo modo efficace sarebbe l'immersione in una qualche passione, di nuovo, come se già non fossero fallite tutte dimostrando ampiamente come siano effimere, alla lunga frustranti, inconcludenti ed infantili.
E' ridicolo: si vive la propria umanità nella consapevolezza che non troverà alcuno sbocco nobile e potrà al massimo percorrere qualche abbozzo di espressione, quasi sempre fallimentare.

Dalla sponda di uno dei due versanti della mia vita binaria - quello pretestuosamente considerato di veglia -, guardo intanto gli omini affaccendati a chiedere voti, ad improvvisarsi equilibristi nelle più nefande contraddizioni in persino palese malafede, a ripresentare con faccia di bronzo degna di giullari intenzioni e promesse retoriche, mentre omini riceventi rispondono diligentemente con la irrisoria indignazione dei servi sconfitti, che alla fine li compiaceranno comunque, pur borbottanti.
Disprezzo cosmico, nausea.


(Dov'è l'amato letto, dove sta la tana: urgono. L'odore stantìo di codeste mummie è intollerabile.)

Rimarrebbe il privato, stretto stretto. Temo anche che sarà pieno di silenzio.
Ma non importa, in fondo.
L'ideale, per immaginare la libertà e la felicità.
 
 

martedì 12 febbraio 2013

Pensieri circolari, sconnessi volteggi di falene attratte dalla fonte di luce. E' luce artificiale, mortifera, che brucia le ali, ma loro non se ne avvedono. Gli altri.

-Stasera bisognerebbe scrivere di papi e di canzoncine, per essere presenti al mondo, ché così fan tutti.
L'osservazione dell'esercizio della  contraddizione nel criticare aspramente un mondo in cui si anela comunque al protagonismo ed in cui in caso di  (in fondo) agognata conquista di un qualsiasi ruolo di spicco quelle stesse critiche subirebbero un processo di mitigazione "magnanima", mi ha sempre fatto sorridere. Amaramente.

-Le  mie sparute amicizie mi deludono ininterrottamente da 30 anni. Io  servo loro: sono un'impareggiabile ascoltatrice. Non mi capacito della mia stessa abilità nella sopportazione delle miserie umane. Loro hanno me. Io ho cane e gatto. I rapporti umani hanno esclusivamente natura mercantile; i miei istintuale e ferina.

-Spesso mia madre interrogava Dio, piuttosto risentita. Gli chiedeva, con voce alterata, "Ma insomma, si può sapere che t'ho fatto?"

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giovedì 7 febbraio 2013

Tipi - 11 -

L'Italia è quel che è: nel costume, e politicamente, essenzialmente e generalmente una vergogna.
Non ci si può far nulla, purtroppo, fino a che la popoleranno gli appartenenti al tipo 'Italiani'.
Perché gli Italiani hanno fra le altre una caratteristica davvero marcata: non cambiano - cascasse il mondo non cambieranno - e pare covino nel dna una tenace attitudine all'ipocrisia e all'autoinganno.
Io non credo affatto, però, che ciò rappresenti un chiaro indice di stupidità genetica: penso piuttosto che la miscela venefica che ha tanto marcito il carattere nazionale sia composta di un misto di spocchia intellettuale vanesia che ama oltremodo esibirsi e parlarsi addosso, in una minoranza, ed endemica ignoranza, oggettiva e dimentica dei fatti passati, per il restante.
 
Hanno un'insopprimibile desiderio intestino di abbandonarsi a fascinazioni inossidabili, perfino a dispetto della smentita data dalla realtà.
Gli uni e gli altri - è evidente -, non nutrono alcun amore né rispetto per il proprio Paese: piccole anime sono incapaci di rappresentarsi il massimo bene come la risultante di molte sinergie di valori soprattutto non monetizzabili e comunque collettivi.

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Se così non fosse, quella gentile e simpatica signora, con la quale ho cortesi e correttissimi rapporti professionali, non mi avrebbe detto: "Ma forza, ché adesso torna Silvio, e finalmente metterà tutto a posto. No?...", ed attendeva un mio sorriso d'assenso, un ammiccamento, un rinforzo d'amichevole intesa.
Com'è stato doloroso mordermi la lingua e fingere un'improvvisa sordità, parlare d'altro e precisamente dell' oggetto del nostro rapporto, sì da non incorrere nel rischio di perdere una cliente, che è un lusso che non posso davvero permettermi.
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Cedere alla fascinazione è, nella pratica ipnotica, possibile soltanto a soggetti particolarmente suggestionabili e soprattutto inabili alla critica.
In secondo luogo avviene in stato di malafede, e così si ha la fascinazione finta, due volte colpevole e due volte ipocrita.

Questi tipi sono disarmanti: una persona normale, cioè onesta - come qualsiasi persona normale dovrebbe essere senza bisogno di alcuna sottolineatura -, non può trovare alcun argomento logico e razionale da opporre al loro ostinato desiderio di permanenza nell'incantesimo, vero o simulato che sia.
Al fideismo non si può opporre ragionevole argomentazione alcuna, mentre invece qualsiasi feticcio, mantra insulso, ammiccante immagine, pietosa barzelletta, proclama ridicolo e palesemente falso, scarruffata  a cagnolino dolce e commovente durante un talk show , sorriso smagliante con battutina pseudo-arguta, e via così, hanno inossidabile potere di persuasione.
 

venerdì 1 febbraio 2013

Rien ne va plus

Comprendo che ormai il momento è arrivato e che procrastinarne ulteriormente l'accettazione altro non sarebbe che una prova di ignavia e perciò me lo dico, anzi, me lo urlo dentro nel più perfetto silenzio: "Les jeux sont faits. Rien ne va plus."

Tanto, per l'appunto, la vita non è che un gioco al massacro, ed i massacrati sono innanzitutto la primigenia purezza perduta col nascere ed in secondo ordine le speranze, i sogni, quasi tutte le velleità.

Tutto sommato, seppure non sia concepibile un umano privato di immaginazione e che possa evitare di rappresentarsi attraverso desideri e speranze la sua stessa vita, il massacro delle velleità non è sempre un male: generalmente ci sovrastimiamo in modo decisamente imbarazzante e la lezione conseguente delle disillusioni subite   quanto meno ci invita al ridimensionamento.

Io che aborro la violenza gratuita in ogni sua forma quando esprime desiderio di sopraffazione e potere, io che non ho cuore di schiacciare le formiche, comprendo singolarmente in questo preciso istante che cosa abbiano potuto mai intendere forse coloro che hanno visto bellezza nella guerra: sopravvivere, vivere, in stato d'assedio o di allerta, o schiacciati da un'impotente sensazione di carenza di giustizia, può affinare i sentimenti, le qualità intrinseche, la più crudele ed alta delle sensibilità, oppure svelare l'ottusità del vuoto.

Dicevo, quindi, che ad un certo punto della vita può succedere d'essere così acciaccati, stremati, disillusi e ferocemente annoiati da non trovare più il fiato né lo sprone per rilanciare una qualsiasi posta, ma, se non altro, poter anche con grande serenità e senza alcuna remora ed esitazione riconoscersi  arrivati in qualche posto preciso e definitivo.  Si tratta di accettarlo e basta.

Ecco, sono arrivata, alfine. Il mio posto l'ho trovato, anzi, riconosciuto, perchè vi radico, in verità,  da sempre e giacché io sono assolutamente incompetente nell'esercizio d'esistere a queste precise condizioni odierne ed incapace di sentirmi presente alla vita quotidiana, questo luogo, evidentemente, coincide esattamente con la mia stessa assoluta ed indiscutibile incompetenza nel vivere. Ovvero: io posso esprimermi senza infingimento soltanto se non ci sono completamente anche quando dò l'impressione d'esserci. Sto tra abbaino e fronde, e non per scelta, ma per mio proprio determinismo innato, né esiste un solo modo per scendere.
Ciò che vorrei, in fondo, non conta nulla, giacché non posso in alcun modo ottenerlo e qui intorno non vi sono - né quest'anima anarchica ed incresciosamente ipersensibile ha mai intuito in altre anime - corrispondenza o similitudini.

Dolore che respira, per impossibilità di comunione ed espressione; sentore di assenza perenne, che somiglia ad un accordo straziante, alla lunga ridicolo, come ogni pretenzioso pensiero umano.