Alla fine decise di arrendersi, definitivamente, alla sua più intima verità, per quanto imperfetta.
Non esisteva un solo modo per sfuggire a sé stessa, né tantomeno agli scherzi della casualità: non rimaneva, quindi, che tenersi pronta a parare gli eventuali colpi della sorte e il fuoco incrociato delle contraddizioni proprie ed altrui attrezzandosi bene con ideale cotta al titanio sull' anima. Come arma offensiva, invece, la punta di diamante di una schiettezza un po' robotica e talvolta incresciosa.
Ciò almeno nelle intenzioni.
Le arrivarono, sparse e più avanti, qualche voce, alcune cartoline illustrate, una lettera.
Lei, intanto, lo aveva ribattezzato "Verme", anche se lui non lo seppe mai. .
Le dissero che dopo che lei l' ebbe lasciato, lui fuse e si riprese -per poi rifondere, e riprendersi- v arie volte, cercò la di lei amica per evocare a parole la presenza perduta, divenne amico del suo stesso rivale e convennero entrambi d' essere stati vittime di una schiacciasassi dalle sembianze muliebri.
Le spedì cartoline dai luoghi dei suoi viaggi (affrontati con l' energia di cui sempre necessitano gli spostamenti oltre oceano e di cui solitamente i morti non dispongono ) e quando a lei arrivò quella da New Orleans con jazzisti neri ed atmosfera anni venti, comprese finalmente d' essere innocente, di non aver ucciso mai in nessuno la voglia di sopravvivere, e di essere forse la sola persona al mondo capace d' amare in modo passionalmente romantico, ogni volta sempre con carattere definitivo, ultimativo, potenzialmente eterno perché marchiato in una memoria di abbacinante purezza ed illimitatamente capace.
Ma era pur sempre un amore-idea, da lei forgiato ciascuna volta ed a prescindere dall' oggetto, nella rovente fucina del suo cuore, e non c' era stata ancora anima che potesse meritarlo.
Illusione, sempiterna. Impossibile eliminarla e restare umani, impossibile.
Nella lettera, mesta ed inconcludente, lui le confessò di non aver mai più fatto l' amore senza di lei, e la sola cosa che a lei ne derivò fu la nauseante sensazione di leggere l' ennesimo vile tentativo di ottenere ciò che implicherebbe grandezza e nobiltà d' animo con vili espedienti disimpegnati di sapore vittimistico.
"Preferisco mille volte schietti incontri di sensi ed il volo onirico di una notte con chi non mi dichiara nulla, alla gelatinosa altalena di pietà e disprezzo che la tua umana pochezza, attraverso la colpevole velleità d' amore con cui non smetti di avvicinarmi, ormai mi ispira" lei pensò.
Allo scadere del secondo settennio, quando il caso volle e li fece reincontrare, lei lo trovò l' individuo più insignificante della Terra. Lui le scodinzolava intorno, ma lei rimase impassibile ed indifferente.
" Ho sentito che tuo padre non stava bene. Mi dispiace tanto. Quasi non riesco a chiederlo... Dimmi, è... è... morto?" chiese lui con la faccia compunta e lo sguardo nella sua scollatura.
"Che t' importa, omino" lei fu tentata di dirgli. Ed invece rispose, con la voce rotta, vincendo un' ondata di sofferenza ed odio intollerabili: "No. Non ancora. Non ti crucciare."
Dopo meno di un' ora lasciò il locale e gli altri amici ed andò senza salutare.
Guidando verso casa pensava a che cosa mai potesse servire, nel disegno cosmico cui a lei, per celia, piaceva credere, l'increscioso ripetersi di questo incidente periodico.
Sette anni dopo la responsabilità, tutta intera, fu della sua unica amica. "Ti prego accompagnami: ci tengo davvero tanto a veder questo film. Non voglio andar al cinema da sola di notte. Dài, scollati dalla tua grotta, andiamo insieme."
"E va bene. Ti accompagno. Passo a prenderti io, bada d' essere già sulla strada, ché non si può assolutamente sostare, sotto da te, lo sai bene"
"Accidenti, guarda chi c'è. Non posso crederci."
"No! Il Verme. Ancora. Vado via."
"Niente da fare. Ci ha viste."
(continua, forse.)
Rieccolo! (cioè io)
RispondiElimina"Che d'amore non si muore, è una gran bella verità" [di Mogol, se non erro, più o meno così, e se lo dice lui c'è il beneficio del dubbio...]
"Ma era pur sempre un amore-idea, da lei forgiato ciascuna volta ed a prescindere dall' oggetto, nella rovente fucina del suo cuore, e non c' era stata ancora anima che potesse meritarlo."
Questo passaggio mi ha fatto pensare a una poesia di Saffo, che casualmente lessi su una fotocopia trovata sotto un banco di liceo dove frequentavo un corso serale del comune, di francese.
La poesia era dedicata a una mela rossa, sul ramo più alto, che si crucciava di non essere colta da nessuno, temendo di essere brutta e non desiderabile.
E una voce la consolò, spiegandole che non era nella mancanza d'attrazione il motivo del suo stare incolta.
Non vieni colta, mela rossa, perché non c'è chi ti meriti e chi arrivi fin quassù per coglierti.
Io se fossi stato Saffo avrei dedicato la poesia alle ciliegie, che mi piacciono tantissimo. (ma questa è soltanto una digressione in più)
@ Kisciotte
RispondiElimina"Come la mela dolce rosseggia sull'alto del ramo,
alta sul ramo più alto: la scordarono i coglitori.
No, certo non la scordarono: non poterono raggiungerla"
Grazie per questa pregevole chiosa.
Ciò significa, allora, se posso dedurre ed ampliare dalla tua postilla, che per le ciliegie
(sai che mi piace maggiormente scritto 'ciliege' ed è pure grammaticamente accettabile?, se preferite altamente alle mele -ma proprio tanto di più-, Kisciotte scalerebbe l' albero fino al ramo più alto?
Perché è questa, in fondo, la vera, pregnante differenza nella capacità d' amare...
Oh, gli aforismi sono ingannevoli, ma io colleziono le frasi belle dei baci perugina.
RispondiElimina"Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce"
"La misura dell'amore è amar senza misura"
Francamente, io sono convinto che l'occhio che vede la mela sul ramo più alto, è ancora invischiato nella fisica dell'altezza e della distanza. E' un'occhio inadatto, con una cataratta di logica che gli limita la vista. Se si è innamorati non esistono rami alti e distanze da colmare.
C'è soltanto una mela da cogliere, e se non basta una scala si impara a volare. Tutto il resto è alibi e compromesso.
Quella mela rosseggiante rimane lassù non perché i coglitori non riescono a raggiungerla, ma perché nessun coglitore avrà mai gli occhi adatti per essere arso dal bisogno di averla.
Altrimenti non raccoglierebbero le mele sottostanti.
Ma io sono soltanto un sentimentale che non si è mai accorto di aver dovuto scalare un alto albero, le volta che sono stato rapito dalla mia mela rossa.
Cogliere quelle sui rami bassi, ammaccate e inadatte al mio cuore, quello sì è un gesto che mi sarebbe costata molta fatica, fatica alla quale mi sono sempre sottratto.