A me succede ciclicamente questo: è un gigantesco, mostruoso, soverchiante nodo metafisico e anche pure fisico che mi provoca una sorta di rigetto generale della maggioranza degli automatismi del vivere sociale e cosiddetto civile con conseguente paralisi.
Le azioni che mi recavano letizia ed un surrogato di effimera serenità, allora, come l'ascoltare musica, imbrattare tele, creare qualcosa con le mani, lasciarmi assorbire da un romanzo, perdono qualsiasi potere, non assolvono al loro compito, non mi guariscono.
Tutto confluisce in una grande cloaca di smarrimento e di indistinta e generalizzata inquietudine.
Tutto confluisce in una grande cloaca di smarrimento e di indistinta e generalizzata inquietudine.
Ogni male è riconducibile agli uomini, perché un umano non può mai, in nessun caso, prescindere dall'esistenza degli altri, neppure se optasse per la scelta drastica dell'eremitaggio. L'eremita è forse più di chiunque altro consapevole del suo intrinseco e fatale contatto con i propri simili, pure se non li incontra e non li vede: lo è proprio perché tenta di estrometterli dal suo stesso ossessivo bisogno attraverso l'opzione della negazione e della fuga.
Io, vorrei, vorrei tanto ammirarli, amarli, o anche solo provarne interiore ed autentico rispetto.
Invece.
Ora li odio tutti, ché mi hanno, ognuno per la loro parte, costretta alla prudenza ed alla circospezione, inducendomi a deviare dalla mia natura.
Capisco, perfettamente, di soffrire di un disturbo vasto ed inguaribile e lo verifico ogni qualvolta disparati e spesso occasionali interlocutori manifestano stupore per le mie motivazioni: "Soffri per le contraddizioni cui ogni umano si piega, miserabilmente, nel tentativo di darsi equilibro e un po' di pace; soffri perché le loro parole sono vane ed effimere; soffri per l'egoismo e per la rincorsa al tornaconto; soffri perché tanti dei loro dolori sono illegittimi e ridicoli; soffri perché sai che non incontrerai mai in nessuno di loro una teoria di integrità che qualcun altro non debba scontare nell'indifferenza; soffri perché dialogano su argomenti imbecilli; soffri perché sono incapaci politici, incapaci padri, incapaci madri, incapaci figli, incapaci amici, incapaci amanti; soffri perché trovano divertenti occasioni di piccole mondanità che a te danno il vomito; soffri perché credono in Dio e non riesci a conciliarlo con una loro supposta intelligenza; soffri perché desiderano partecipare comunque allo stesso consorzio umano che criticano svendendosi l'anima e traendo pure sollievo dalla palese illusione di appartenenza? Ma a te, A TE, infine, perché importa, che te ne può importare? Sei pazza."
Capisco, perfettamente, di soffrire di un disturbo vasto ed inguaribile e lo verifico ogni qualvolta disparati e spesso occasionali interlocutori manifestano stupore per le mie motivazioni: "Soffri per le contraddizioni cui ogni umano si piega, miserabilmente, nel tentativo di darsi equilibro e un po' di pace; soffri perché le loro parole sono vane ed effimere; soffri per l'egoismo e per la rincorsa al tornaconto; soffri perché tanti dei loro dolori sono illegittimi e ridicoli; soffri perché sai che non incontrerai mai in nessuno di loro una teoria di integrità che qualcun altro non debba scontare nell'indifferenza; soffri perché dialogano su argomenti imbecilli; soffri perché sono incapaci politici, incapaci padri, incapaci madri, incapaci figli, incapaci amici, incapaci amanti; soffri perché trovano divertenti occasioni di piccole mondanità che a te danno il vomito; soffri perché credono in Dio e non riesci a conciliarlo con una loro supposta intelligenza; soffri perché desiderano partecipare comunque allo stesso consorzio umano che criticano svendendosi l'anima e traendo pure sollievo dalla palese illusione di appartenenza? Ma a te, A TE, infine, perché importa, che te ne può importare? Sei pazza."