Probabilmente quando si giunge ad abdicare al linguaggio e non si soffre di alcuna precisa patologia scientificamente catalogata, l'incrinatura generica nei rapporti umani e sociali che prima si avvertiva in modo timido ed ansiogeno, spesso accompagnata da un non bene sondato senso di colpa, diventa abisso e può scatenare un potente desiderio di totale dissoluzione e sottrazione come estremo atto di sollievo e fuga.
E' inutile insistere o sforzarsi dolorosamente in improbabili elucubrazioni per trovare un qualche senso all'inanità generale oggettiva delle azioni e degli scambi verbali possibili nel sistema di vita in cui ci si ritrova intrappolati. E' inutile perché allo stato delle cose non esiste alcuna alternativa reale possibile capace di rispettare nel contempo la propria coscienza con il senso di giustizia incluso e le proprie esigenze materiali.
La felicità sta nella condivisione di un'idea, un pezzo di pane, un tetto sulla testa, un abito con cui coprirsi, solidarietà umana con cui scaldarsi ma al contempo con la capacità lucidissima di accettare la propria solitudine in un'aporia vissuta eroica ed eccelsa.
La ricchezza come modello, i ricchi come tipo sociale, il potere come fine, mi fanno vomitare, quasi letteralmente: i presupposti e le conseguenze della loro esistenza sono sempre dei crimini. Non vorrei vivere neppure un solo istante in un simile stato e la cosa mi fa sorridere dato che richiama un messaggio francescano con cui io, atea, non ho nulla a che fare: non induco al misticismo.
Quel che per me è ributtante scandalo per troppi altri è malcelato unico desiderio, anche fra gli ultimi.
La differenza tra l'ideale religioso e quello comunista sta nell'accettazione supina da parte del primo della fatalità della nascita e non già nella denuncia delle responsabilità del mantenimento di un sistema di sperequazioni sociali frutto di precise strategie.
Comunque quella è un'altra questione, anche se rimane la causa e l'effetto dell'alienazione.
Ormai la peristalsi intellettuale e culturale è quasi conclusa: serve un poco di coraggio per guardare il preludio del vuoto, inevitabile, che costituisce l'essenza stessa di ogni vita.
Stanno invece in ogni luogo a berciare litigando su concetti insulsi e sempre frammentari in un'apoteosi di esibizionismo che a me imbarazza, nella più assoluta ignoranza della risibilità di ogni affermazione.
Che si tratti di secolarismo, di religione o di psicologia l'effetto non cambia.
Forse è malattia: cafard, il male dello scarafaggio. Malinconia e tristezza, pensieri cupi che non danno tregua, capaci di oscurare il sole.
E' disperato, impossibile amore per la vita solo sognata.