sabato 30 aprile 2011

Relazione di monadi

"Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli" : quale presunzione.

Non è vero, non basta. C' è l' altro, sì. Il bisogno dell' altro è il primo segno d' umanità.
L' altro cui tendi, ma che non afferri, che non ti può afferrare, se non nella carne.

I corpi costituiscono l' insormontabile barriera, oppure il valico, per mettere in relazione due monadi.
E' per questo, quindi, che non è possibile l' Amicizia, con te, uomo?
Il corpo è lo scoglio, perché noi siamo corpo perennemente consapevole del prossimo accadimento mortale e non c' è modo di dimenticarlo: è così che non sappiamo darci senza speranza di godimento di sensi.

Ma io sì, invece... io apprezzerei il più raffinato piacere dello scambio di intuizioni, l' empatia di qualche percorso mentale affine, il solidale riconoscimento dei dubbi e delle perplessità, lo specchiarsi di forza e debolezza, una trascendenza finalmente possibile, da umano a umano, un trascendersi reale, tra simili.
Perché è così difficile...

Ho perso tutti quei pseudo-amici contraddittori, li ho guardati allontanarsi piano piano, rimpicciolirsi all' orizzonte, nel loro pietoso imbarazzo, sempre più consapevoli della miseria dei loro stessi rapaci fini, dei loro fini un po' miserabili, così ... finiti.
Io non li rimpiango davvero: ero sola comunque; così sola, in loro compagnia...


venerdì 29 aprile 2011

Lo spirito libero ama ciò che è necessario

Decido, ad ogni istante, di non cedere.
Se pur perplessa, priva di vere verità, molto stanca, talvolta sbigottita dalla concentrazione di manifestazioni di una cieca assurdità nella mia piccola vita, io non riesco a cedere.

Sto dentro una spessa corazza -lo ammetto- e sono convinta che il mio privato non abbia poi così importanza, sicché, al riguardo, taccio, anche se -me ne rendo perfettamente conto- ciò rende spesso ardua l' interpretazione di molte delle mie affermazioni.
Ma è una questione di pudore nel senso estensivo del termine, di discrezione ed eleganza, in un momento in cui prevale invece la spettacolarizzazione di umori e sentimenti.
Però -penso io-, solo ciò che ha peso specifico lieve emerge e galleggia, mentre quel che è denso e pregno si deposita, permane e muta la superficie d' appoggio per sempre.

A me sono capitate esperienze particolarissime e destabilizzanti, pur nella conduzione di un esistenza che non cercava divagazioni eccentriche od osava voli pindarici, e sono una persona destinata, per sua immutabile indole, a cercare aderenza ed identificazione perfetta tra ciò che penso, dico, faccio, scelgo od affronto per lo scherzo del caso. 
Provo ad essere tutta intera, almeno presente a me stessa, senza alibi ed infingimenti, ed è così che scopro essere questo il solo modo per amare lo stesso, e forse maggiormente, la vita e gli uomini, ed il loro divenire.

La Vita, Gli Uomini, Noi, la specie umana: non faccio che ammirare, solitaria, l' eroismo della nostra dolorosa permanenza nel Cosmo.

***

Nietzsche e Marx, nella storia del Pensiero, sono stati i due filosofi maggiormente traditi dalla strumentalizzazione subita da ideologie che hanno trasformato in menzogne la nobiltà originaria delle loro parole. Quest' ingiustizia nefanda ha consentito che la splendente immagine dei loro geni venisse lordata del sangue di milioni di innocenti, nei campi di concentramento nazisti, sugli indegni patiboli, sui terreni di guerra, nelle carceri buie e gelate.
Ma chi sa sopportare la condizione dello straniero, ha occhi tersi per vedere la verità.




"Come vivere libero e senza legge? A quest' enigma l' uomo deve rispondere, pena la morte.
Nietzsche almeno non lo elude.Risponde e la sua risposta sta nel rischio: mai Damocle danza meglio che sotto la spada. Bisogna accettare l' inaccettabile, e attenersi all' intollerabile. Dall' istante in cui si riconosce che il mondo non persegue alcun fine, Nietzsche propone di ammettere la sua innocenza, di affermare che esso non cade sotto giudizio perché non si può giudicarlo su alcuna intenzione, e di sostituire dunque a tutti i giudizi di valore un solo sì, un' adesione intera ed esaltata a questo mondo. Così dalla disperazione infinita scaturirà la gioia infinita, dalla servitù cieca la libertà senza remissione. Essere liberi significa appunto abolire i fini. L' innocenza del divenire, non appena ad esso si acconsenta, rappresenta il massimo della libertà. Lo spirito libero ama ciò che è necessario. E' intimo pensiero di Nietzsche che la libertà dei fenomeni, se è assoluta, senza incrinature, non implica alcuna specie di costrizione. Adesione totale ad una necessità totale, ecco la sua definizione paradossale della libertà. La domanda: 'libero da che cosa?' è allora sostituita da: 'libero per che cosa?'. La libertà coincide con l' eroismo. E' l' ascetismo del grand' uomo, 'l' arco più teso che esista'."

(Albert Camus - L' uomo in rivolta)


giovedì 28 aprile 2011

"Mi rivolto, dunque siamo"

"L' unica cosa che si può fare è creare piccole minoranze di rompicoglioni con un progetto in testa"
(Goffredo Fofi)

Meglio morire in piedi o vivere in ginocchio? Naturalmente, nel mondo giusto e perfetto, sarebbe meglio di gran lunga vivere in piedi. Peccato che il mondo perfetto non esista, e che sia necessario contrapporre sempre l' utopia alla realtà.
Lo schiavo di Camus, ad un tratto, decide di dire "no". Qualcosa, in quel preciso punto -magari di gran lunga meno nefanda od oggettivamente meno crudele di infinite altre già sopportate nella sua storia precedente di schiavo-, lo determina alla rivolta e quella sua rivolta non si limiterà al rifiuto del più recente sopruso umiliante impostogli, ma mirerà a rivoluzionare interamente la sua condizione stessa, rispetto alla quale, prima, opponeva sopportazione e pazienza.
La disperazione, la constatazione dell' assurdo, lasciano spesso che sia il silenzio a parlare, consentendo, pur senza intenzione, l' inazione paralizzata,  ma con il primo "no" la coscienza pare risvegliarsi, esplode alla luce, ritrova l' aderenza al valore -la libertà-, alla consacrazione del quale neppure l' estrema caduta  -l' eventualità della morte- può dissuadere.

Entro la società occidentale, però, lo spirito di rivolta è possibile soltanto nei casi in cui ad un' uguaglianza teorica si contrappongano, pur celate, grandi disuguaglianze di fatto.

"La libertà di fatto non s' è accresciuta proporzionalmente alla coscienza che ne ha preso l' uomo. Da questa osservazione si può dedurre soltanto questo: la rivolta è propria all' uomo avvertito, che abbia coscienza dei propri diritti. Ma nulla ci permette di dire che si tratti soltanto dei diritti dell' individuo. Al contrario, [...] sembra proprio che si tratti di una coscienza di sé sempre più estesa che la specie umana consegue nel corso della sua avventura.".

All' inizio del Cristianesimo s' è assistito ad una rivolta metafisica che è stata, però, resa vana, dalla resurrezione di Cristo e la promessa della vita eterna (utopia).

"Se nel mondo religioso non si trova il problema della rivolta, si è che in verità non vi si trova alcuna problematica reale, tutte le risposte essendo date in una volta. La metafisica è sostituita dal mito. Non ci sono più interrogativi, ci sono soltanto risposte ed eterni commenti, che possono allora essere metafisici. Ma prima di entrare nel campo religioso, ed anche per entrarvi, o appena ne esce, ed anche per uscirne, l' uomo è interrogazione e rivolta. L' uomo in rivolta è l' uomo che sta prima o dopo l' universo sacro, e si adopera a rivendicare un ordine umano in cui tutte le risposte siano umane, cioè razionalmente formulate. Da quell' istante, ogni interrogazione, ogni parola è rivolta, mentre nel mondo religioso, ogni parola è rendimento di grazie."

Camus è scrittore e filosofo politico, suo malgrado e, se pur volontariamente orfano di ideologie, crede nella trasformazione radicale del presente ad opera delle minoranze audaci, capaci di staccarsi dal dominio imperante, costituendosi in piccole controsocietà fraterne, solidali e ribelli.

"In quella che è la nostra prova quotidiana, la rivolta svolge la stessa funzione del 'cogito' nell' ordine del pensiero, è la prima evidenza. Ma questa evidenza trae l' individuo dalla sua solitudine. E' un luogo comune che fonda su tutti gli uomini il primo valore. Mi rivolto, dunque siamo."

(virgolettati gli estratti da "L' uomo in rivolta" di Albert Camus)


***

Io penso che Camus, spesso tacciato di immobilismo ed in grande polemica con Sartre, ci abbia trasmesso un pensiero arduo e di grande originalità, da cui trarre spunti continui di riflessione. Il suo disprezzo dell' assolutismo e l' assenza di ricette miracolose per la soluzione della condizione umana, nonché il netto rifiuto di ogni messianismo, aiutano a comprendere che, prima di ogni altra cosa, ogni nostro respiro deve rappresentare atto di rivolta e che ciò ci consente di essere.
E nella pietrosa Itaca, molti di noi potrebbero starci insieme.




mercoledì 27 aprile 2011

Neve

Lei è Neve, 1850 gr, nata il12 febbraio.

Non sta bene e spero che il suo veterinario me la guarisca. Ma, come un amico ha già fatto,  magari un pensiero affettuoso, seppur a distanza, può giovarle. Sognare non è, davvero, reato.



martedì 26 aprile 2011

Nel paese che non c' è

Agli amici ispiratori Luca e Disagiato

Io credo che ogni ragionamento, quando si rivela "circolare",  non possa che risultare autoreferente e, perciò, nel momento stesso in cui  sia esplicitato e concluso, all' atto pratico non riesce a convertirsi in un' azione utile.
Il ragionamento circolare ruota attorno a perni fissi. Esempio: Berlusconismo e Antiberlusconismo.
Ma sono perni relativi, che in sé non esplicano né le profonde origini, né l' evoluzione dei fenomeni.
Chi ha consentito il trionfo di Berlusconi, agli esordi, è giunto alla stessa scelta -com' è lapalissiano- da due sostanziali barricate contrapposte: una sotto il vessillo della malafede e l' altra sotto quello della buonafede. Quest' ultima accoglieva molti emuli un po' miserabili e ignoranti, i delusi e gli scontenti creduloni, qualche arrabbiato un po' cinico, mentre chi accogliesse, al contrario, la prima, non c' è bisogno alcuno di ripeterlo o sottolinearlo, ché ben lo si sa: non si tratta di tracciare giudizi morali, ma di prendere atto di oggettive esigenze, o convenienze, dell' elettorato.

Probabilmente, ciò che pensava Spinoza sugli affetti (che influenzano l' agire umano e derivano da molti fattori sinergicamente combinati, come i rapporti tra l' uomo ed i suoi simili e la natura, nonché il suo ambiente sociale in genere) è ancor oggi validissimo: l' uomo ha scarsissima cognizione e capacità interpretativa di ciò che sente e raramente è, pertanto, in grado di conoscere con obiettiva freddezza ciò che prova, sottraendo in tal modo a sé stesso la possibilità di agire secondo ragione.
Gli Italiani votano in modo emotivo, obnubilati dalle loro passioni.

Pertanto, ciò che mi piacerebbe capire, è non tanto dove possa condurci il nulla che Berlusconi -con l' ingenuità grossolana dei poveri di spirito e d' intelligenza di cui si ammanta- crede di poter riempire con la sua narrazione, ma, piuttosto, se sia davvero nelle finalità di quegli Italiani che l' hanno scelto in buonfede e che lo voteranno ancora, aspirare a qualcosa.

E' solo questo il vero dilemma: quegli italiani che si sono avveduti d' essere incorsi in errore, hanno a cuore le sorti del loro Paese, sì da desiderare un' alternativa decisa?
Io non lo so, non ne sono sicura, data l'assenza quasi totale di un progetto alternativo e data la sostanziale immutabilità di un' opposizione paralizzata, la cui più grave colpa sta nell' ignavia di non aver saputo, agli albori di questa storia, risolvere il tanto deprecato conflitto di interessi.




domenica 24 aprile 2011

L' essere e il nulla - Libertà e responsabilità

Immagino che l' esposizione del racconto della mia vita, dei moventi e dei percorsi, più o meno consapevoli, che l' hanno determinata ad essere quel che è, ad un improbabile  sinceramente curioso interlocutore risulterebbe comunque incomprensibile, nonostante ogni mia profusione di sforzi dialettici.
Ciò che non si capisce, che non trova logica collocazione nella nostra coscienza e determina la nostra identità, non può mai venire trasmesso.
Non me ne lamento più: il vivere è, da qualsiasi parte lo si consideri, esperienza assurda, ma ciò non significa ancora nulla.
Il solo preambolo possibile è che ogni essere umano è condannato ad essere libero, sostiene sulle proprie fragili spalle l' intero peso del mondo e non esiste alcuna alternativa ad assumersene, interamente, la responsabilità.
Io ricordo d' aver detto ai miei genitori non una sola volta, da adolescente, durante quelle discussioni rabbiose e dolorose, ma imprescindibili alla conquista dell' età adulta, "Non vi ho chiesto io di mettermi al mondo", e d' averlo sentito dire più tardi da altri ragazzi ad altri genitori.
Invece, ed in realtà, la fatticità stessa dell' essere nati , anche quando malediciamo la vita, ci obbliga a realizzare la nostra presenza nel mondo, assumendocene tutta la responsabilità cui la libertà ci porta.

" Nondimeno il tipo di questa responsabilità è assai particolare. Mi si risponderà effettivamente che 'io non ho domandato di nascere', ma è un modo ingenuo di mettere l' accento sulla nostra fatticità. Io sono, in realtà, responsabile di tutto, tranne che della mia responsabilità stessa, perché non sono il fondamento del mio essere. Tutto accade dunque come se fossi obbligato ad essere responsabile. Sono 'abbandonato' nel mondo, non nel senso in cui sarei abbandonato e passivo in un universo ostile, come l' asse che fluttua sulle onde, ma invece, nel senso in cui mi trovo improvvisamente solo e senza aiuto, impegnato in un mondo in cui porto completamente la responsabilità, senza potere, per quanto io faccia, strapparmi, fosse anche solo per un momento, a questa responsabilità, perché il desiderio stesso di fuggire la responsabilità mi fa responsabile; farmi passivo nel mondo, rifiutarmi di agire sulle cose e sugli altri, vuole ancora dire scegliermi, ed il suicidio è un modo fra i tanti di essere-nel-mondo. Ciononostante ritrovo una responsabilità assoluta, per il fatto che la mia fatticità, cioè in questo caso il fatto della mia nascita, è direttamente inafferrabile ed anche inconcepibile, perché questo fatto della mia nascita non mi appare mai allo stato bruto, ma sempre attraverso una ricostruzione proiettiva del mio per-sé: mi vergogno di essere nato, o me ne meraviglio, o mi rallegro, o, tentando di togliermi la vita, affermo che vivo e assumo questa vita come cattiva. Così, in un certo senso, 'scelgo' di essere nato.Questa stessa scelta è integralmente affetta di fatticità, perché non posso non scegliermi; ma questa fatticità, a sua volta, non apparirà che in quanto l' assumo verso i miei fini. Così la fatticità è ovunque, ma inafferrabile; no incontro mai altro che la mia responsabilità, per questo non posso domandare 'perché sono nato?', maledire il giorno della mia nascita o dichiarare che non ho chiesto di nascere, perché questi diversi atteggiamenti verso la mia nascita, cioé verso il 'fatto' che realizzo una presenza nel mondo non sono altro che modi di assumere in piena responsabilità questa nascita e farla 'mia': qui ancora non incontro che me e i miei progetti, in modo che finalmente il mio abbandono, cioé la mia fatticità, consiste semplicemente nel fatto che sono condannato ad essere integralmente responsabile di me stesso. Sono l' essere che 'è' come essere il cui essere si problematizza nel suo essere. E questo 'è' del mio essere è come presente ed inafferrabile.
A queste condizioni, poiché ogni avvenimento del mondo non può rivelarmisi che come 'occasione' (occasione 'messa a profitto', 'mancata', 'trascurata' ecc.), o meglio ancora, poiché tutto ciò che ci accade può essere considerato come una possibilità, cioè non può apparirci che come mezzo di realizzare questo essere che si problematizza nel nostro essere, e poiché gli altri come trascendenze-trascese, non sono, anch' essi, che 'occasioni' e 'possibilità', la responsabilità del per-sé  si estende sul mondo intero come mondo popolato. E' così precisamente che il per-sé si coglie nell' angoscia, cioè come un essere che non è fondamento né del suo essere, né dell' essere degli altri, né degli in-sé che formano il mondo, ma che è costretto a decidere del senso dell' essere, in lui e ovunque al di fuori di lui. Chi realizza nell' angoscia la sua condizione di 'essere' gettato in una responsabilità che si ritorce persino sul proprio abbandono, non ha più né rimorsi, né rimpianti, né scuse: non è più che una libertà che si scopre da sola ed il cui essere risiede in questa scoperta stessa. Ma, [...] la maggior parte del tempo fuggiamo l' angoscia nella malafede."

(J.P.Sartre -l' Essere e il nulla)


sabato 23 aprile 2011

Incontro ravvicinato avvenuto oggi, lungo il Piave, in un bosco magico ( teatro sacro nella grande guerra dello spargimento del sangue di oltre trentamila soldati, italiani ed austro-ungarici.)


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della serie "Vorrei tanto essere una scoiattola"

giovedì 21 aprile 2011

Don't try

***
Mio piccolino, cucciolo, come profumi.Tu che sei il totale, grande amore, la pietà di donna, il paradigma della vita. Perché amarti tanto, scimmietta, perché. Che c' è, in fondo, di commovente, in queste piccole mani, questa boccuccia di gengivine rosa, questo slap slap da cagnetto e la fragranza del vellutino della tua pelle. Ma perché amarti in modo tanto violento, quando so che mi ucciderai. Odio l' amore.

***

Diffidare, in eterno, delle parole, e schiacciare con inesorabile pressione il ricciolo ferreo della memoria di passioni ormai incenerite. Rammentarlo. Non più provarci. Ogni misura è colma, gli stupidi sillogismi sono stracciati. Tua la colpa se hai confuso la luce con un riverbero: hai lasciato che l' attimo fosse, per sedare il bisogno ancestrale di sacralità che ti legasse alla terra. Ma gli amori che  hai tumulato nel cuore ritornano in un accordo, nella tua stanza segreta. Torna la vita nell' attimo eterno di un ricordo.





"Le coperte erano scivolate via e io guardai quella schiena bianca, le scapole appuntite sembravano lì lì per trasformarsi in ali."



Charles Bukowski

martedì 19 aprile 2011

Ingenua sapienza

Io devo confessare di amare, in genere, i filosofi -antichi e pre-moderni-, a causa di un innato sentimento materno che mi deriva dall' appartenenza al genere femminile.
Li amo per la loro ingenuità e nonostante la maggioranza di loro fosse irrimediabilmente e penosamente misogina, cosa che alimenta, tutto sommato, quell' istinto compassionevole e tendente al perdono che fa anch' esso parte -o ne consegue- dell' indole di donna. Come una mamma, sorvolo sui diffettucci, ché tanto, poi, l' esser misogini avrà avuto tristi effetti sulla loro stessa vita.
Può, un saggio, essere, al contempo, ingenuo?
Sì, lo può, anzi deve esserlo. Ingenuo, ovvero con idee che si generano, che nascono, da dentro.

Mi commuovono, i filosofi, perché sapevano ogni cosa sull' umana natura ed amavano sì tanto l' uomo da proporgli più di un valido modello di esistenza felice, compresi pure tracciati ed indicazioni dettagliate per la civile convivenza con i propri simili: stati e repubbliche ideali, gerarchie e valori.
Tra i tanti proposti, avremmo pur potuto sceglierne uno di adatto e soddisfacente e viver così senza troppe scocciature e sofferenze questa manciata di giorni dell' esistenza mortale, i quali, per chi non trascende, sono pure i soli di cui aver responsabilità e coscienza!

Invece no, non li abbiamo ascoltati, ed ora siamo nei guai. Naturalmente il modello perfetto non c' è mai stato, ma qualche solido puntello, cui poggiare il nostro assalto al futuro, ed evitare d' incasinare il mondo come invece abbiam poi fatto, avremmo dovuto difenderlo con  le unghie e con i denti.
Che so, qualche brandello di antica verità, piccole dosi di etica, un po' di buonsenso e lungimiranza, ...saggezza, insomma.
Ingenua sapienza.


Prendi quello sfigato, ma geniale, di uno Spinoza, ultimo degli antichi, primo dei moderni,  morto prima di saper nulla di evoluzionismo, rivoluzione scientifica, produttività agricola ed industriale, anatomia umana e neuroscienze: non era completamente moderna la sua intuizione che l' uomo è un essere capace di sviluppo e che è mosso da una pulsione di base che lo porta ad assumere il controllo sulla natura e migliorare la propria posizione attraverso il continuo incontro-scontro con i suoi simili? Il conatus era il centro della visione dell' uomo di Spinoza.

La sua enfasi sull' uomo -la cui bellezza non sta nello sfarzo o nell' apparenza, ma nell' armonia delle sue azioni, che devono tendere al suo sviluppo, per toglierlo dallo stato dell' aggressività ferina, inducendolo a stringere un patto con gli altri uomini e con lo Stato- mira a suggerirgli un percorso ideale e reale, che lo conduca alla felicità, che si realizza collettivamente amando i propri simili ed individualmente attraverso la comprensione della natura e delle sue leggi.
Come in Dante, anche per Spinoza Dio, o la Natura, corrisponde a sapienza e conoscenza.

***
 Questo scolio al Corollario della Proposizione 31, intanto, lo dedico al nostro premier ed alla politica italiana tutta:
"... questo sforzo di far sì che ciascuno approvi ciò che noi stessi amiamo o abbiamo in odio è, in realtà, ambizione; e perciò vediamo che ciascuno desidera per natura che gli altri vivano secondo il suo talento; e poiché tutti hanno ugualmente questo desiderio tutti sono ugualmente di ostacolo gli uni agli altri, e poiché tutti vogliono essere lodati o amati da tutti, tutti si odiano a vicenda"


lunedì 18 aprile 2011

Folle - masse - media e politica. -5-

(segue post -1- in data 30/3/2011, -2- in data 1/04/2011, -3- in data 6/04/2011, -4- in data 12/04/2011 )

Propaganda e comunicazione politica non sono sinonimi: la prima non consente alcun contraddittorio mentre la seconda dovrebbe implicare la presenza di voci pluralistiche, che abbiano pari opportunità di accesso ai canali di comunicazione.

Trent' anni dopo le intuizioni di Le Bon, Cachotin, in un suo libro circolato in pochissime copie e ripubblicato nel secondo dopoguerra, spiegava l' efficacia della propaganda in base ai principi della riflessologia di Pavlov.

[L'esperimento più significativo in questo senso è quello che è passato alla storia come "Il cane di Pavlov". In questo esperimento Pavlov fa precedere all'azione di dare del cibo a un cane il suono di un campanello; nella prima fase dell'esperimento Pavlov fa suonare il campanello e non rileva nessuna secrezione salivare nel cane, in seguito gli fornisce la carne e lo stimolo viene attivato; nella fase successiva il campanello viene fatto suonare mentre al cane viene dato il cibo. Infine nella terza fase viene rilevato uno stimolo salivare già al solo suono del campanello: il cane associa al suono del campanello l'arrivo del cibo e ciò provoca in lui una secrezione salivare, l'acquolina in bocca, appunto. Il campanello diventa quindi lo stimolo condizionato, di ciò che solitamente avveniva solo per stimolo diretto (incondizionato). Dopo molti esperimenti sui processi digestivi, Pavlov intuì come alcuni stimoli che non sono direttamente collegati al cibo, possano generare secrezioni salivari note comunemente come "acquolina in bocca"; poté quindi dimostrare che il cervello controlla i comportamenti non solo sociali, ma anche fisiologici.

 (Tratto da Wikipedia)]

Stesso processo, secondo le idee diffuse negli anni Trenta e Quaranta, muoveva il messaggio comunicativo di massa, ("teoria ipodermica"): esso era lo stimolo che, adeguatamente e correttamente trasmesso, provocava la reazione desiderata.

Con una certa tendenza alla banalizzazione, verso la fine degli anni Cinquanta il libro " I persuasori occulti" di Vance Packard, insegnante di giornalismo all' Università di New York,  ebbe un successo strepitoso. La tesi lì sostenuta -cui gli americani, molto sensibili al sospetto d' essere "eterodiretti", guardarono con particolare stato di allarme- era che fossero all' opera forze occulte, che si avvalevano di tecniche proprie della psicanalasi, della psichiatria, delle ricerche motivazionali, finalizzate a manovrare ed indurre i consumi, la politica, i meccanismi mentali.
E' la tesi del complotto, che però non può avere, invece, l' efficacia tanto paventata a livello di massa: sarebbe una semplificazione abbastanza ingenua.
Il dibattito successivo, infatti, ha convincentemente dimostrato che il processo di persuasione "occulta" può funzionare nel modo da Packard descritto soltanto in particolari situazioni di incertezza e crisi e che esso può pertanto agire similmente ad altri meccanismi da ricondurre nell' ambito della teoria della razionalità limitata, come l' autoinganno o la dissonanza cognitiva.

Altri studi,  riprendendo la concezione interattiva di Gabriel Tarde, dimostrano come esista, oltre all' influenza delle maggioranze, anche un' influenza delle minoranze attive (avanguardie artistiche, movimenti vari, come quello ecologista e femminista).
A partire dagli anni Settanta, quest' ultimo fenomeno indica che un ciclo intero della comunicazione s' è chiuso e che si stava aprendo il nuovo ciclo della comunicazione politica.

La comunicazione politica, come già si è detto, potrà distinguersi dalla propaganda, nel  momento in cui i canali di trasmissione del sistema possano godere di un' arena relativamente pluralistica e sufficientemente in grado di raggiungere la maggioranza della popolazione.
Se è necessaria la presenza di un giornalismo indipendente, è pur vero che quell' arena non può essere costituita dalla stampa, che resterà comunque un terreno d' élite, rivolto ad un pubblico ristretto.
E' solo la televisione che può aspirare di coinvolgere le platee gigantesche dell' elettorato.

Paradigmatica può risultare l' osservazione dei duelli televisivi durante le elezioni politiche americane dopo il 1960 (dal 1952 al 1960 il tempo televisivo doveva essere comprato e pagato dai partiti per i loro candidati e costituiva un costoso strumento propagandistico  da affiancare ad altri più tradizionali).
Il faccia a faccia tra Nixon e Kennedy fu visto da una platea stimata tra i 65 ed i 70 milioni di spettatori e fu decisivo per le sorti della campagna elettorale: sino a quella serata Nixon appariva in testa ai sondaggi, ma il pronostico si ribaltò in quella e nei tre successivi dibattiti.
Kennedy fu più abile comunicatore, più giovane, più attraente, più affascinante. E vinse, a prescindere dai contenuti.
Otto anni dopo Nixon si prese la rivincita. Era considerato politico abile, ma infido, un eterno secondo, un po' antipatico, privo di umorismo e calore umano,  ma il suo staff comprese che " non c' era bisogno di un n uovo Nixon, bastava un nuovo stile televisivo".

Come scrisse Daniel Boorstin ( lo stesso che definiva "pseudoeventi" ciò che, pur non essendolo, diventa evento nei media, che in questo modo "costruiscono" la realtà), lo pseudoevento umano ha per protagonista una persona che può essere "né buona né cattiva, né importante né insignificante", e ciò che conta è che i media possano fornire di essa un' immagine che soddisfi "le nostre esagerate speranze di umana grandezza".
Come dire: "una nuova specie di vacuità umana".

Nel perfezionamento di un tale sistema, si sviluppano tutta una serie di altri strumenti, alcuni dei quali molto sofisticati, che hanno un diretto rapporto con la psicologia collettiva e con i fini della comunicazione politica.
I sondaggi, ad esempio.
Secondo molti commentatori essi rischiano di distorcere il processo di rappresentanza democratica, dal momento che, lungi dal rimanere un semplice mezzo tecnico di previsione del comportamento degli elettori, vengono trasformati a loro volta in pseudoeventi mediatici.
Secondo le osservazioni, infatti, la previsione anticipata della vittoria di un candidato, fatta a distanza di qualche tempo dalle elezioni può produrre due effetti opposti: il band wagon (la vittoria nelle presidenziali del 1980 di Reagan su Carter annunciata quando i seggi sulla costa occidentale erano ancora aperti), che induce gli elettori indecisi a saltare sul carro vincente, oppure il suo contrario, l' underdog (la vittoria nelle presidenziali di Truman nel 48,contro il suo avversario Dewey, nettamente in vantaggio) in cui un settore importante di essi si schiera a sostegno del perdente.

Tutto ciò produce molti effetti perversi, come il crescente aumento delle "politiche simboliche", tese soltanto ad ottenere effetti sull' opinione pubblica (rassicurandola, ma anche drammatizzando un problema per ottenere mobilitazioni), evitando in ogni caso di affrontare e risolvere concretamente i veri problemi sociali.

Questi logoranti giochi politici hanno un prezzo ben preciso e, direi, ai giorni nostri ben visibile: alla lunga il risultato è il calo di partecipazione politica della popolazione ed il ritirarsi dei cittadini dalla scena.
(elaborazione scritti di Carlo Marletti)

***

Siamo portati a credere, mi pare, che la diffusione di Internet possa far ben sperare in una drastica riduzione dello strapotere televisivo.
La mia opinione è che non sarà affatto la tecnologia dell' algoritmo a portare a forme di democrazia diretta, anche se rimane una sfida appassionante. Io temo che l' Uomo, al solito, finirà per usarla male e sono convinta, soprattutto, che egli abbia bisogno di sapersi in luoghi fisici, ove poter toccare i suoi simili, e riconoscerli nella loro realtà.

Quando ci penso, continua a risuonarmi, nella testa, Also sprach Zarathustra, e mi inquieta l' idea che la tecnologia possa diventare cattiva.
E magari mi sbaglio, ché pure questo potrebbe essere l' effetto di un occulto persuasore.



 

venerdì 15 aprile 2011

Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice

Sono fortemente convinta che non ci sia nulla di più nobilitante, nella società attuale, dell' "impopolarità e dell' invisibilità" e che il nocciolo autentico della libertà di un individuo possa essere preservato soltanto nella misura in cui egli sappia provare la più completa indifferenza verso la pubblicizzazione sia di sé stesso, sia di ciò che pubblico lo è gia ed  in sovrabbondanza viene detto, ri-detto, stra-detto, in una escalation -un po' nevrotica, ossessivo compulsiva, ma di genesi automatica, cioè indotta- di tentativi di dirlo di più e meglio.
Per quanto esibizione -talvolta- di sagacia, buon quoziente intellettivo, discreto acculturamento, abilità dialettica, raramente riesco a scorgere, in ciò che leggo, aderenza con un generico principio di umanità compartecipata, e, soprattutto, tesa ad un principio di utilità reale, che giunga a produrre effetti concreti su chi ha estremo bisogno -come i derelitti ed i diseredati- d' aiuto.
A me, questo narcisismo imperante fa un po' schifo.

Scrittori, giornalisti, blogger e chiunque rivolga le proprie considerazioni ad un pubblico, più o meno identificabile e più o meno vasto, quasi sempre vogliono o devono anteporre al loro messaggio un' esplicita od implicita asserzione di appartenenza, naturalmente dai risvolti  sempre velleitari.  
"Sono di sinistra, sono di destra, sono di centro, sono ateo, sono agnostico, sono credente, sono uomo, sono donna, faccio questo mestiere, ho famiglia, leggo questo, non leggo quello, ho un figlio così, sono infelice, sono povero, sono precario, nella mia casetta in campagna, dr, dr.ssa, un mio scritto, il mio amico (sempre accreditante) ..."
Ciò li rende, che piaccia loro o no, delle marionette. Schiavi di cliché di cui non sospettano la pervasività e, soprattutto -cosa che li caratterizza in modo tragicomico- da cui si ritengono immuni.
Un sistema, un altro sistema, inglobati insieme nel più vasto Sistema concepito dalla stessa logica. E la logica è:
-Parla, parla, che ti passa... parla pure, sfogati, urla, impreca, inveisci, illuditi di punzecchiare con il fioretto spuntato della tua penna, con quei polpastrellini esili che non conoscono i calli del carpentiere e le ustioni del minatore..., sfinisciti di parole, amoreggia con esse, illuditi pure di stordire d' effetti e suoni le storture del tuo tempo, tanto lo sappiamo bene che  "la politica e il fato dell'umanità vengono forgiati da uomini privi di ideali e grandezza. Gli uomini che hanno dentro di sé la grandezza non entrano in politica."
Né vi si infiammano troppo -aggiungerei io-, quand' è palese che essa non ha a cuore il bene di chi dovrebbe servire.

Meno male che è esistito un uomo come Albert Camus, che ha avuto il fegato di estraniarsi da qualsiasi etichetta e da qualsiasi tentativo di strumentalizzazione, e meno male che la gragnuola di accuse dalle barricate di sinistra e da quelle di destra non l' hanno placato, ma soltanto amareggiato.

D' altronde è questa la predestinazione dello "straniero", e forse pure, in nome del diritto all' utopia, la sua missione nel mondo.


" [...]
Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga. Erede di una storia corrotta in cui si fondono le rivoluzioni fallite e le tecniche impazzite, la morte degli dei e le ideologie portate al parossismo, in cui mediocri poteri, privi ormai di ogni forza di convincimento, sono in grado oggi di distruggere tutto, in cui l’intelligenza si è prostituita fino a farsi serva dell’odio e dell’oppressione, questa generazione ha dovuto restaurare, per se stessa e per gli altri, fondandosi sulle solo negazioni, un po’ di ciò che fa la dignità di vivere e di morire. Davanti ad un mondo minacciato di disintegrazione, sul quale i nostri grandi inquisitori rischiano di stabilire per sempre il dominio della morte, la nostra generazione sa bene che dovrebbe, in una corsa pazza contro il tempo, restaurare fra le nazioni una pace che non sia quella della servitù, riconciliare di nuovo lavoro e cultura e ricreare con tutti gli uomini un’arca di alleanza. Non è certo che essa possa mai portare a buon fine questo compito immenso ma è certo che, in tutto il mondo, è già impegnata nella sua doppia scommessa di verità e di libertà e che, all’occasione, saprà morire senza odio. Per questo merita quindi di essere salutata e incoraggiata dovunque si trovi e soprattutto là dove si sacrifica. È su di essa, comunque, che, certo del vostro assenso profondo, vorrei far ricadere l’onore che mi avete fatto.

Nello stesso tempo, dopo aver proclamato la nobiltà del mestiere di scrivere, avrei ricollocato lo scrittore al suo vero posto, non godendo lui di altri titoli all’infuori di quelli che divide con i suoi compagni di lotta, vulnerabile ma ostinato, ingiusto e appassionato di giustizia, costruttore della sua opera senza vergogna né orgoglio al cospetto di tutti, diviso sempre fra il dolore e la bellezza votato infine a trarre dalla sua duplice esistenza le creazioni che ostinatamente tenta di edificare in mezzo al moto distruttore della storia. Chi, dopo tutto ciò, potrebbe attendere da lui soluzioni bell’e fatte e belle morali? La verità è misteriosa, sfuggente, sempre da conquistare. La libertà è pericolosa, dura da vivere quanto esaltante. Dobbiamo marciare verso questi due obiettivi, con fatica ma decisi, ben consci dei nostri errori in un così lungo cammino. Quale scrittore dunque oserebbe, in buona coscienza, farsi predicatore di virtù? Quanto a me devo dire una volta di più che non sono niente di tutto questo. non ho mai potuto rinunciare alla luce, alla felicità di esistere, alla vita libera in cui sono cresciuto. Ma benché questa nostalgia spieghi molti dei miei errori e delle mie colpe, essa mi ha aiutato senza dubbio a comprendere meglio il mio mestiere, mi aiuta ancor oggi a tenermi, ciecamente, vicino a tutti quegli uomini silenziosi che non sopportano nel mondo una vita che per loro è fatta soltanto del ricordo o del ritorno di brevi e libere gioie.
[...]"

(Albert Camus - Discorso di accettazione del premio Nobel - 10 dicembre 1957)

 
 

mercoledì 13 aprile 2011

Carmina

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.

Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
(Catullo)

Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.
Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato.

  ***
Ὲρέω τε δηὖτε κοὐκ ἐρέω,
καὶ μαίνομαι κοὐ μαίνομαι.
(Anacreonte)

Amo e non amo,
sono pazzo e non sono pazzo.
(Frammento 46, Gentili)







Viviamo per amarci, Lesbia,
e le chiacchiere invidiose
alla malora!
I soli sorgono e tramontano
ma il nostro,
una volta consumato nel suo giro,
ci addormenta in una notte inesauribile.
Dammi mille baci e poi cento,
e, dopo, mille e cento altri
e mille dopo questi e, dopo, cento
e quando saremo sazi di contarli,
continuiamo senza ordine
perché il maligno non ci invidi
nel vederci tutto un bacio.





martedì 12 aprile 2011

Folle - masse - media e politica. -4-

(segue post -1- in data 30/3/2011, -2- in data 1/04/2011, -3- in data 6/04/2011)



Come ogni altro nuovo strumento, la televisione, entrata in scena a metà Novecento, inizialmente fu considerata una novità tecnica, un perfezionamento degli altri elettrodomestici in uso, di cui da alcuni anni si prevedeva la futura diffusione. Già dal 1907, infatti, il francese Édouard Bélin aveva effettuato i primi esperimenti di trasmissione delle immagini; in Inghilterra le prime trasmissioni sperimentali televisive risalgono al 1927; la Germania iniziò addirittura trasmissioni regolari di programmi nel 1935. Si trattava ancora, comunque, di una tecnologia rudimentale, ed il numero di apparecchi non superò mai complessivamente i mille.
Il vero debutto mondiale del mezzo coincide con l' inizio della programmazione negli Stati Uniti nel 1947.
Fu un successo senza pari nella storia dei media. In pochi anni la TV conquistò la metà del popolo americano, per diventare poi, in un crescendo senza arresti, mezzo universale.

E' stato Marshall McLuhan ad aver per primo intuito che la televisione -questo grande occhio innestato nella mente che guarda la realtà in modo del tutto diverso da quello che potrebbero i nostri propri occhi- avrebbe prodotto una sorta di mutazione del sensorio collettivo.
Le tesi di McLuhan -che amava parlare per aforismi, allusioni e frase apodittiche- alimentarono accesi dibattiti tra i sostenitori (per i quali egli era il profeta dei media, "il Freud dei mezzi di comunicazione") ed i detrattori, che lo consideravano un impostore ed un ciarlatano. In realtà, né gli uni, né gli atri, potevano dire con certezza di aver dato corretta interpretazione delle sue teorie. (Understanding media, 1964, il suo primo scritto importante).
Per McLuhan (appassionato di letteratura e scienze sociali, ma con una formazione di ingegnere -cosa che spiegherà i suoi riferimenti alla termodinamica, quando parlerà di una  distinzione tra mezzi caldi e mezzi freddi-) ogni nuova tecnologia è un medium che amplia la facoltà che ha l' organismo di manipolare l' ambiente, appropriarsene, ed incorporarlo: la ruota è l' estensione del nostro piede, il libro lo è dell' occhio, gli indumenti della pelle, il circuito elettrico del sistema nervoso centrale. L' estensione di un qualunque nostro senso ha come conseguenza la modifica del nostro modo di agire, di pensare, di percepire il mondo.

I media, per analogia, hanno conseguenze sociali che vanno  oltre anche gli effetti persuasivi delle comunicazioni di massa: "più che inculcare messaggi ideologici e veicolare contenuti condizionanti [...] hanno la capacità di alterare i frames percettivi, le coordinate di interrelazione tra la realtà fisica e sociale" (Bettetini,1997)

***
Trovo che la teoria dei mezzi "freddi" e dei mezzi "caldi" (ispirata, come già accennato, ai principi della termodinamica), sia particolarmente interessante.
I mezzi "caldi", ad esempio stampa e radio, densi di informazioni,  non lasciano molto spazio che il pubblico debba completare attraverso una partecipazione.
La televisione -sostenne Luhan, e come molti studiosi umanisti davano per scontato ma senza intuirne la rilevanza- , mezzo "freddo",  funzionando in base allo scannering (scomposizione elettronica delle immagini che lo spettatore deve ricomporre) fornisce un messaggio incompleto che necessita di coinvolgimento ed integrazione da parte del fruitore, sì che "con la TV lo spettatore è lo schermo".
Se la radio, per esempio, come altri mezzi "caldi", ha l' effetto di acutizzare un senso ( in questo caso l' udito: siamo "tutto orecchi"), la televisione è "sinestesica", cioè coinvolge in una fruizione d' insieme più sensi (occhio-orecchio, in particolare). I mezzi "freddi" abbassano la soglia di significatività trasmettendo segnali che impongono una collaborazione dello spettatore per ricercare i sensi dei messaggi.
***

Ma quali sono gli effetti di raffreddamento o riscaldamento in una cultura?
McLuhan cita qualche esempio storico.
L' introduzione nel Giappone feudale (società fredda e poco specializzata) del denaro (strumento caldo, con alto livello di informazione) ha sconvolto le gerarchie sociali preesistenti.
L' introduzione di asce d' acciaio al posto di asce di pietra (la cui fabbricazione era prerogativa dei maschi e costituiva, quindi, un loro status), ha provocato lo sconvolgimento della cultura aborigena astraliana.
L' esistenza di Hitler come dittatore fu resa possibile dalla radio, che diventò "una subliminale stanza degli echi" che risuonavano "di cori tribali e di antichi tamburi", in un Paese che ancora oscillava tra settori pre-moderni e forme di specializzazione ed organizzazione burocratica.
Nel suo "La galassia Gutenberg", descrivendo le principale tappe percorse dall' umanità nello sviluppo dei media, egli osserva che dalla comunicazione orale -unico medium disponibile delle società arcaiche e tribali la storia diventa possibile soltanto con l' adozione della scrittura, e le società, lentamente, subiscono un progressivo riscaldamento.
L' "uomo gutenberghiano" fa nascere il lettore solitario e ciò fa venir meno la circolarità della comunicazione orale, riduce fortemente la gestualità, l' importanza dell' ascolto ed i suoi effetti socializzanti, l' uso della memoria, dato che i ricordi vengono deposti nei cataloghi, nelle biblioteche, negli archivi.
L' introduzione delle tecnologie elettriche (estensione del sistema nervoso complessivo) pare inflettere la curva storica. Con la televisione pare avvenga il ritorno ad una cultura orale, gestuale, uditiva.
E' così che nasce il villaggio globale.
In una interpretazione sommaria e superficiale si potrebbe ritenere che nella metafora mcluhaniana del villaggio globale esistano elementi di ottimismo, che, in forza della facoltà insita nello strumento televisivo  ad annullare le distanze, possano favorire progresso e benessere generali.
Al contrario, invece, esso rappresentava motivo di preoccupazione e tensione morale per McLuhan.
D' altro canto, se la radio, mezzo caldo, ha reso possibile il totalitarismo di Hitler, la televisione, mezzo freddo, può favorire il sorgere di una nuova forma di terrorismo che si giova del rapporto con i media.
"Senza televisione" afferma McLuhan "non vi sarebbe terrorismo. Potrebbero esserci le bombe, potrebbe esserci l' hardware, ma il nuovo terrorismo è software, è elettronica. Perciò senza elettronica niente terrorismo."  Il terrorista che compie un attentato,  di cui la televisione e i giornali non possono evitare di parlare, godrà dell' "immensa estensione del sistema nervoso collettivo" per far giungere il suo messaggio ovunque.

McLuhan, comunque, anche se consapevole dei rischi del mezzo, non considerava possibile il pericolo della videocrazia.
In un' intervista, a chi gli chiese che cosa ne pensasse dei politici che credono di poter usare la televisione per la propria propaganda e per i propri scopi rispose: "Sono così stupidi che non c' è nessun rischio a lasciargliela usare [...] La gente sicuramente si annoierà e non guarderà questi programmi. E la loro fatica sarà un boomerang contro loro stessi."

(elaborazione da scritti di Carlo Marletti)

Clamorosamente, su questo, ha sbagliato...



(Segue)

lunedì 11 aprile 2011

Diverso DOC

"Nulla è più terribile della diversità", con sofferta cognizione di simile dolore, scrisse in versi Pasolini.

E certamente nessuno che non appartenga, per questa o quella ragione,  questo o quell' attributo, questa o quella casualità natale, in qualche suo particolare -anche pure sotterraneo-, modo alla piccola bolgia dei diversi, può comprendere appieno la pervasività di simile consapevolezza.
Perché certa diversità è un destino atroce.

E la diversità si struttura in strati, via via più profondi, i quali, quanto più dimorano nelle profondità abissali di una certa psicologia -vuoi come reazione a ciò che una persona ha oggettivamente subito nella sua storia, vuoi per la sua originale interpretazione della vita e dei suoi simili- tanto più, in superficie, parrebbero assenti, sì che -con ogni probabilità- chi pensa di conoscerci bastevolmente non ha invece la benché più pallida idea di chi noi siamo.
Qualcuno di noi può apparire o sentirsi diverso, o per caratteristiche lapalissiane -come avere una malformazione fisica, oppure un deficit cognitivo o comportamentale, od una qualsiasi altra dissonanza  visibile e riscontrabile rispetto al cosiddetto range di normalità (compresi status sociale o capacità di integrazione)-, od anche per le restanti invisibili ragioni del profondo che dimorano nei sensi, nei raccordi tra i pensieri, nell' interpretazione di ogni atto o fatto esterni a lui.

Ebbene, sono queste ultime i veri chiodi della croce del diverso. Il diverso profondo, il diverso abissale, il diverso DOC, il predestinato al dolore che lo rende perduto nel mondo ed a questo incomprensibile.
Non guardare, ed anche pure vedere, le immagini del mondo come tutti gli altri le recepiscono, non udire gli stessi limpidi suoni ma percepire anche i ronzii, non dare od attendere amore secondo i comuni concordati  presupposti...

Che deve fare colui che sa che cosa si annidi , in realtà, nella sua stessa anima?
Può solo vivere o morire, come tutti, ma per vivere non può che obbedirsi fino in fondo.
Per una considerevole parte della sua esistenza può negare la sua natura di lupo  -perché quel marchio di Demian brucia come se fosse stato impresso a fuoco nelle carni con ferro rovente e la sua esibizione lo imbarazza ed offende il suo pudore- e potrà sembrare bianca pecora del mite gregge.
Solo per poco.
Poi deve abbandonare, fuggire, cercare il suo intimamente odiato e dispotico altrove. Lui, il diverso DOC, lo fa senza compiacimento, spesso con la morte nel cuore. Lascia chi ama, sapendo che lo rimpiangerà in eterno, ma certo soltanto che il restare sarebbe atto d' ipocrisia suprema, e spera, fortissimamente spera, che nessuno mai gli chieda ancora d' essere da lui amato, perché almeno la maledizione s' interrompa






Oh, sì... "Madame Bovary c' est moi"

mercoledì 6 aprile 2011

Folle - masse - media e politica. -3-

(segue post  -1- in data 30/3/2011 e -2- in data 1/04/2011)

In America. Allarmismi e psicologia.

Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, fondatori della Scuola di Francoforte trasferitasi a New York con l' avvento della dittatura nazista, asserivano che la pubblicità commerciale in America non è diversa dalla propaganda nazista in Europa, perché "film, radio e settimanali costituiscono un sistema", il cui risultato è "l' inganno totale delle masse". Goebbels aveva già identificato la pubblicità come l' art pour l' art, réclame di sé stessa, pura esposizione del potere sociale.
Naturalmente, essi sapevano perfettamente che il controllo dei mezzi di comunicazione di massa non è in sé sufficiente a porre qualche aspirante dittatore al potere ad esercitare il totale dominio: deve concorrervi anche qualche altro elemento sociale importante che, nella fattispecie, può essere individuato in ciò che Marx, nella sfera economica, aveva individuato nella società industriale capitalistica che trasforma persone e beni in merce, e che può essere esteso, secondo i capiscuola francofortesi, anche alla sfera culturale.
La cultura, infatti, che altro non è che l' insieme dei beni spirituali, una volta trasformata essa stessa in industria, comporterà il livellamento delle coscienze, la loro banalizzazione, la dissolvenza dell' apporto di ciascuna identità, il dilagante conformismo.
Ecco che il singolo, frustrato ma bisognoso di identificazione, diventerà più facilmente vittima di possibili manipolazioni della società di massa, identificandosi con qualche uomo-forte, con un capo.

In America, però, dall' insediamento di Roosevelt, la comunicazione seguì un andamento diverso da quello della propaganda nazista. La differenza può essere sintetizzata nel carattere "pluralistico" del potere, oltreché nella disponibilità di fonti di informazione e comunicazione assai maggiore di quelle disponibili in Europa.
Anche lo stile comunicativo è diverso: ad analizzare le arringhe gesticolanti, aggressive e rabbiose di Hitler davanti a folle oceaniche e, per contrasto, i discorsi accanto al caminetto, appassionati ma pacati, di Roosevelt, trasmessi alla radio e seguiti da milioni di famiglie, lo si può cogliere perfettamente.
Il continuo richiamo alla vita privata, agli affetti, il "lieto fine", che favorisce l' ottimismo conflittuale, tipici della produzione cinematografica americana, diffondevano "un' immagine della società  che tende a favorire orientamenti politici di tipo riformistico" (Franco Rositi).
Come osserva, però William Kornhauser, nel suo trattato The politics of mass society, la società di massa è sempre a rischio d' impatto con i totalitarismi, proprio perché essa, causando la frammentazione sociale, può lasciare spazio ad organizzazioni estremiste che sfruttano la condizione di isolamento dei singoli spingendoli alla mobiliazione.

Senza vero senso di appartenenza una società diventa vulnerabile.

Nella società di massa, uno dei grandi pericoli è l' effetto che può essere ottenuto con la circolazioni di voci allarmistiche ed il conseguente dilagamento della paura.



Arcinoto è il caso della trasmissione radiofonica in cui Orson Welles, nel 1938, sceneggiò un noto romanzo di fantascienza, "La guerra dei mondi", in cui si narrava l' invasione della Terra da parte di marziani dalle bellicose intenzioni per il Pianeta. Siccome lo speaker, nella trasmissione, fingeva di effettuare la radiocronaca in diretta dell' evento catastrofico -con interviste a polizia e a testimoni oculari, nonché appelli alla popolazione provenienti da sedicenti autorità governative-, successe che, nella realtà,  migliaia di persone, terrorizzate si riversarono sulle strade o intasarono le centrali telefoniche con richieste disperate di istruzioni ed aiuto.
Vari feriti, un caso di suicidio: su un' audience di sei milioni di spettatori, oltre un milione e duecentomila ebbero criso di ansia e di panico.
Ma com'è possibile perdere in questo modo, ed in massa, la testa?

Si trattava, in quel preciso momento storico, di una sorta di reazione del senso comune a motivi generali di apprensione: fine anni Trenta, paura di un conflitto mondiale, insicurezza e preoccupazione dopo un decennio di crisi economica, sensazione di essere in balia di eventi incomprensibili e ingestibili.

I media, possono , logicamente, essere usati anche per ottenere mobilitazioni di massa a sostegno della democrazia. Gli studios americani sfornarono decine di film il cui scopo era quello di far identificare la gente comune con il destino della nazione in guerra, attraverso un misto di sentimentalismo ed eroismo. Gli attori si mobilitarono raccogliendo fondi ed offrendo shows per le truppe, gli speakers radiofonici offrirono una sorta di diretta costante con il fronte, comparvero le ragazze-calendario e si arruolarono pure gli eroi dei fumetti, seppur figurativamente.
Churchill ebbe a riconoscere l' efficacia straordinaria nel fornire motivazioni ai combattenti e mantenerne alto il morale.

Ma c' è l' altra faccia della medaglia.
Il 1949 era stato l' anno della paura americana: vittoria dei comunisti in Cina e disponibilità della bomba atomica per l' Unione Sovietica.
Fu così che si rese possibile il fenomeno del maccartismo, una sorta di "caccia alle streghe" basata su presupposti del tutto infondati, che prese di mira gli intellettuali ed esponenti politici progressisti.
La manovra politica, nata a partire dal 1950, ordita dal senatore Joseph Raymond McCarthy, a capo di una commissione d' inchiesta contro alti esponenti della politica, della cultura, dello spettacolo, tutti  in sospetto di intrattenere rapporti con i comunisti, rovinò o stroncò molte carriere.
La stragrande maggioranza delle accuse era totalmente inventata, priva di qualsivoglia prova: calunnie e falsificazioni che, però, grazie alla grande abilità di Mc Carthy nel suscitare paure di massa e brividi nelle folle paventando la fine della civiltà occidentale, fece sì che l' America accettasse la "grande bugia".

" L' enormità della menzogna, la sicurezza con cui veniva profferita, le allusioni a documenti e prove che non venivano esibiti ma restavano simbolici, esemplificati da una cartella nera zeppa di fogli che il senatore lasciava sempre bene in vista e da cui traeva ogni tanto qualche carta, per sventolarla davanti agli interlocutori, fecero sì che le accuse di complicità con i comunisti rivolte a personaggi come George Marshall o Dean Acheson, fossero creduti da molti, a cui sembrò verosimile che persino Truman fosse prigioniero dei rossi o che Eisenhouer avesse per loro delle simpatie. Mc Carthy conosceva bene la logica della diffamazione attraverso i media e sapeva che mille smentite nelle pagine interne di un giornale non pesano mai come un' accusa messa anche una volta sola con grande evidenza in prima pagina." (Carlo Marletti)

In questa operazione, il maccartismo anticipa le strategie odierne di comunicazione politica denigratoria, riuscendo a mobilitare l' odio ideologico per ottenere il consenso: cinquant' anni dopo Clinton subirà un tentativo di impeachment sotto la regia di uno scandaletto a sfondo sessuale davvero discutibile.

(elaborazione scritti di Carlo Marletti)

(segue)





lunedì 4 aprile 2011

Mal sottile di primavera: antiche lacrime, in disordine sparso.

Anch' io ne sono pur certa - amico Svevo- che vita sia malattia.
Malattia, con qualche sussulto di effimero benessere, guizzante e veloce come una serpe d' acqua.
Tutto il resto, ed in particolar modo la ribellione accorata e decisa degli ottimisti, degli speranzosi, degli esaltati e degli integralisti, è narrazione, fantasia, spire di fumo.
Bisogna pur provare ad essere felici, di quando in quando -ne convengo-, e la cura è antica e permanente: fuoco fatuo di passioni, crepitìo di emozioni, illusoria indulgente ricerca di un nucleo permanente di bellezza, di bontà, quasi casualmente e senza consapevolezza deposti dall' impollinazione cosmica in quell' umilissima corolla di fiore lacustre, in quel bruco, in quel cucciolo ...

Oltre a ciò, mi è rimasta la simpatia commossa verso le poche intelligenze ammantate d' umiltà che talvolta incontro, ed alle quali sono grata.

***
Non si sarà mai visto tutto, il peggio è in sovrabbondanza e Bene e Male sono invenzioni oziose: non c' è battaglia tra i due; essi sono i pilastri di una stessa realtà.
La capacità di angoscia degli umani non sa colmare misure: noi sappiamo soffrire in modo indicibile.
E ne abbiamo, d' altro canto, ben donde. 
Oscenamente -è la mia opinione-, perché l' ostinazione e l' obbligo al dolore sono osceni, così come lo è la sciocca determinazione a desiderare incessantemente un altro domani.
E c' è chi, invece, ha pensato alla sofferenza come un suggerimento all' annullamento, alla de-creazione, per assurgere a puro spirito, per lasciare agire il suo Dio: a conti fatti, per la mia spregiudicatezza atea, questo prototipo di  Dio non mi disturba in nulla.
"Se pensassi che Dio mi invia il dolore con un atto della sua volontà e per il mio bene, crederei di essere qualcosa, e trascurerei l' uso principale del dolore, che è d' insegnarmi che sono niente, Non si deve dunque pensare nulla di simile. Ma è necessario amare Dio attraverso il dolore (sentire la sua presenza e la sua realtà con l' organo dell' amore soprannaturale, l' unico che ne sia capace, così come si sente la consistenza della carta attraverso la matita).
Allo stesso modo lo spettacolo della miseria degli uomini m' insegna che essi sono niente e, a condizione che io mi identifichi con loro, che io sono niente. In quanto creatura.
Debbo amare d' essere niente. Come sarebbe orribile se io fossi qualcosa. Amare il mio nulla, amare d' essere nulla. Amare con la parte dell' anima che si trova dietro il sipario, perché la parte dell' anima che è percettibile alla coscienza non può amare il nulla, ne ha orrore. Se essa crede di amarlo vuol dire che ama qualcosa di diverso dal nulla.
La sventura estrema che colpisce gli esseri umani non crea la miseria umana, la rivela soltanto.
Dobbiamo alleviarla, quando possiamo, unicamente per questa ragione. Dobbiamo evitare di cadere in essa ovvero di uscirne quando possiamo, perché essa deve venire dal di fuori, essere subita. E dobbiamo amare come noi stessi, nelo stesso modo con cui amiamo noi stessi, l' essere umano che il caso mette in nostro potere di aiutare.
Considerarsi (in quanto essere fenomenico) semplicemente ed esclusivamente come una piccola parte dell' unverso."
(Simone Weil - Quaderno VI)

Inanellare respiri su respiri e battere le palpebre sul mondo, come se ci meravigliasse ancora...

***


E' stato ieri, io credo, ai Mulini di Cervara.
Osservavo l' acqua da un ponticello. Piccoli flutti, graziosi percorsi, accenni di minuscoli gorghi, increspature tremanti. Le invidiate paperelle...
E' sorprendente: l' acqua che scorre chiama, come un magnete attira, ha promesse indefinite, qualcosa di vicino e lontano, qualcosa di buono. Il mio sangue, chiaramente, lo sapeva,  e vi tendeva, deliziato.
Oh, ma cos' erano quelle voci...







venerdì 1 aprile 2011

Folle - masse - media e politica. -2-

(segue da post -1- pubblicato in data 30/03/2011)

René Magritte - La grande guerra
Come accennato nel precedente post a tema, "La psycologie des foules" di Gustave Le Bon pur con i molti limiti scientifici e l' indubbia influenza del carattere reazionario delle idee dell' autore, fu uno dei testi sacri dello studio della psicologia delle masse e contiene intuizioni di grande lucidità e rilievo, alcune delle quali validissime ancor oggi.
Il modo in cui reagiscono le masse (per loro natura impulsive e mutevoli) dipende dalla semplicità delle idee propagandate e dall' esagerazione con cui vengono proposte, meglio se facendo leva sui sentimenti.

"E' essenziale presentare le cose in blocco, senza mai indicarne la genesi".
Alle folle piacciono gli effetti mirabolanti, piace la tragedia, piace la morbosità: un grande delitto, una grande impresa, una grande speranza, una grande vittoria. Sanno potenzialmente essere criminali o sante. La folla soffre di psicosi da grandeur e, sull' onda di una forte impressione, può fare qualsiasi cosa, arrivando anche agli estremi sacrifici o all' eroismo.
E' "il capo", che la conduce oppure anche che la rende prona ed indifferente. Comunque sia, la folla si riconosce sempre in un capo, fisico od ideale. Ma perché lo fa?
Secondo l' analisi della psicologia di massa, questo può essere osservato in modo paradigmatico nei momenti di crisi e tensione della storia, quando irresolutezza ed incertezza inducono al bisogno di trovare vie d' uscita.

Naturalmente, perché le folle possano sperare nella soluzione delle loro ansie ed incertezze, bisogna saper convogliare l' odio e la frustrazione in qualche direzione; bisogna, cioè, inventare il nemico simbolico.
Solo così il meccanismo può funzionare: contrapponendo il Bene al Male, la civiltà alla barbarie, una propaganda all' altra.

"Creare la fede -si tratti di fede religiosa, politica o sociale, di fede in un' opera, in una persona, in un' idea- ecco soprattutto il compito dei grandi capi [...] Dare all' uomo una fede significa decuplicare la sua forza. I grandi avvenimenti della storia furono spesso opera di oscuri credenti che nient' altro possedevano oltre la fede."


Le comunicazioni di massa del Novecento si sono basate interamente su presupposti di semplificazione, spettacolarizzazione e personalizzazione, sia nei sistemi totalitari, sia in quelli democratici.
Nella propaganda fascista e nazista, il risentimento sociale che la Grande Guerra aveva  prodotto negli ex-combattenti e nei ceti medi impauriti dall' inflazione e dall' indebolimento dei tradizionali valori, venne artatamente sfruttato per ottenere la nazionalizzazione delle masse.
I nuovi attori politici, borghesi o "plebei", erano assi della guerra aerea, polemisti, scrittori (Hermann Goering, D' Annunzio) e, più tardi, i  "caporali", come Mussolini ed Hitler. Con essi nasce l' uso simbolico della violenza.
La classica interpretazione data da Karl Mannheim dell' uso dei simbolismi politici, rimane molto convincente.
Nel definire il periodo di crisi europea tra le due guerre egli parla di "insicurezza non organizzata".

"E' lo stadio della generale sperimentazione psicologica ed emotiva, e del declino della nostra fiducia nelle istituzioni, nei costumi, nelle tradizioni [...]. In questa generale sperimentazione l' individuo incapace di riorganizzarsi può perire, ma per il complesso sociale esso significa la possibilità di una scelta di nuovi modelli di condotta e di nuovi tipi rappresentativi dominanti. [...] Il clima di insicurezza generale porta le masse a fissarsi su dei simboli, che hanno la funzione di sostituire soggetti e attività reali, al punto che diventa possibile "indurre la gente a lottare per fini simbolici come se fossero primari", così che invece di burro essa desideri il prestigio della nazione."


Hitler e Mussolini, pur se il consolidamento politico del loro successo ebbe poi sorti diverse, utilizzarono entrambi le campagne terroristiche per incutere paura ed allarmismo nella popolazione e far sì che essa richiedesse legge ed ordine ai suoi stessi capi, che, in tal modo, potevano rivestire il ruolo dei salvatori.
La Storia ha poi dimostrato, però, che il nazismo ha potuto contare su un largo consenso di massa soltanto al prezzo di scatenare il peggiore e più sanguinoso conflitto che si sia mai visto in Europa, e che un regime totalitaristico basato soltanto su minacce esterne simboliche e campagne contro i nemici interni, dura relativamente poco tempo.
Ma con lo stalinismo, durato oltre settant' anni, qualcosa, nello sfruttamento propagandistico delle comunicazioni di massa, cambiò: avvenne l' introduzione su larga scala del "grande fratello" e dell' inganno politico attraverso l' uso della doppia verità.

Se nel fascismo e nel nazismo esisteva un certo irrazionale -diciamo- estetismo nello strumento della violenza politica, nello stalinismo, al contrario, si realizza pienamente ciò che la psicologia collettiva già aveva enunciato, e cioè che nelle comunicazioni di massa risultano spesso molto più convincenti per persuadere le folle la standardizzazione, la volgarità e la banalità.
La "doppia verità" è quella tecnica che consiste nel diversificare ciò che può essere detto alle masse e ciò che invece può essere comunicato agli iniziati che abbiano dato prova di accettare integralmente la concezione machiavellica della storia e di aderirvi in pieno.
L' uso stalinista  della doppia verità ha avuto, paradossalmente, la più ampia efficacia sulle masse esterne all' URSS e sugli intellettuali occidentali. Quanti intellettuali democratici in visita all' URSS dagli anni Trenta ai Settanta non sospettavano minimamente il degrado totalitario effettivo che vigeva in quel sistema?
La finzione letteraria celeberrima di Orwell, con il suo 1984, spiega perfettamente quanto sia letale non rendersi conto di quali terribili manipolazioni possano essere rese possibili dalla propaganda, tramite le comunicazioni di massa.

(elaborazioni da scritti di Carlo Marletti)



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Ancor oggi, ancora noi, cittadini liberi di liberi Stati, non dobbiamo, mai e poi mai, perdere la memoria

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(segue)