lunedì 10 novembre 2014

Inquadratura.

Se c'è qualcosa che in tutta onestà non posso non riconoscere alla vita è la possibilità di meravigliare anche nelle condizioni più restrittive ed ostiche.
Ah sì, davvero, è dell'umano, connaturata ed automatica, la capacità di estrarre da impercettibili segni e dettagli microscopici ancora un altro motivo per attardarsi a respirare  anche nella più lucida delle disperazioni.

Succede che in mancanza  di verità oggettive, di sostanziali e corposi motivi, di possibilità progettuali, l'occulta parte di noi che ci abita misteriosamente e che dicono anima, s'ingegni nel tentare di fornirci un qualsiasi sollievo, scaldando un cuore fattosi freddo ed impietrito a suon di amarezza e dolori,  quasi come fosse esattamente quella la sua funzione: ricordarci d'amare.

Almeno così mi capita sempre più spesso, mentre mi trascino con spossatezza, fin dal primo mattino, nella mia alienazione generale, metropolitana ed esistenziale. Mi catturano così immagini banali, certo sfuggenti ai più nell'indifferenza di massima che ci rende, pur se invece umani, cose sterili ed ordinarie tra altre cose,  e quelle immagini mi riempiono il cuore di commozione, di malinconia e di tenerezza.
Come quella vecchietta che indossava pantaloni un po' ampi con la piega ben stirata ma leggermente più corti del dovuto -qualche centimetro-, talché  rimanevano visibili gli stivaletti che calzava, e gli stivaletti, sulla caviglia, risultavano decisamente troppi ampi per il suo smilzo piedino che pareva così naufragarci dentro.

Non so perché mai una cosa simile, apparentemente insignificante, mi muova alla voglia di piangere un pianto buono, pieno d'affetto, per qualcuno di cui non conosco assolutamente nulla e che non rivedrò, probabilmente, mai più.
So però che nella decadenza delle parole ormai svuotate di ogni verità, nell'ipocrisia generale dei rapporti che ho subito e subisco, il senso ed il bisogno di umanità, prepotenti e divoranti, in qualche modo devono manifestarsi, fosse pure per il tramite di un paio di scarpe larghe ai piedi di un umano sconosciuto.