- Suvvia, finiamola.
Finiamola con la mastodontica ipocrisia di lasciar intendere che i nostri intestini sentimenti, che la nostra coscienza più pura, che la nostra vera vera natura sono semplici ed elevate al contempo. Finiamola di addurre mille pretesti mollicci e friabili per acquietare le nostre più autentiche brame. Quelle ci lacerano le carni, mordendole da dentro, anelando alla manifestazione più oscena e senza più veli: è soltanto un certo retaggio ideologico ormai decadente che ci fa fingere d' aspirare alla bellezza. Noi non aspiriamo affatto alla bellezza. Noi aspiriamo alla sola crapula, estensivamente intesa.
- 'Bla, bla, bla...' Ma che hai? Di che parli..., datti una calmata, una buona volta. Riconciliati con il mondo. E chiudi sto cazzo di blog esistenzialistico e velleitario. Farai saltare i nervi ai Preziosi ed Elettivi, che già ti usano la cortesia di transitarci.
E poi, con chi ce l' hai?
Tu e quell' odioso plurale maiestatico ambiguo e supponente o -peggio del peggio- sarcastico., o -fin peggio del peggio del peggio- amaro. Vittimisticamente amaro.
Non lo sopporto. Ti odio.
Non sei né papa, né rettore, né regnante: non lo puoi punto usare. E se il tuo intento è, invece, ironico, sappi che non è manco simpatico.
In ogni caso, che c' è di male nel desiderare il benessere ed il piacere? Non ti ricordi che i contrari non possono conciliarsi?
Benessere e piacere non possono per loro natura contemplare il male: che vuoi fare: becero moralismo in linea con il peggior pensiero clericale di stampo medioevale?
- Ah, così l' hai intesa! Non avevo dubbi sulla tua incapacità di comprendere: sei afflitto da cecità intellettuale, da dozzinale benpensantismo.
D' accordo, allora: supponiamo che tu sia in buonafede -cosa che, nel nucleo, non è quasi mai possibile-. Provo a dirlo in altri modi.
Innanzitutto, almeno, smettiamola di ritenerci speciali, superiori, toccati dagli dèi. Smettiamola di pretendere equilibri impossibili in noi, di aspirare al sublime . Prendiamo atto, con onestà, d'appartenere ad una specie subdola e bugiarda nel dna.
E lo sai perché dovremmo? Perché con la scusa del "non siam perfetti" abbiamo autorizzato e costantemente autorizziamo ogni scandalosa contraddizione in noi.
- O bella! E perché dovrebbe poi mai essere "scandalosa" una contraddizione? Trattasi di contraddizione e basta. L' hai pur detto: siamo soltanto umani.
- Allora spiegami a che serve parlarci, se comunque ciò che ci comunichiamo è solo in parte ciò che pensiamo.
A che serve palesare un pensiero se il tuo interlocutore non lo sa recepire giacché non tenta di capirlo ma si limita a tradurlo nel suo linguaggio.
A che serve dirsi 'umanisti e filantropi' se è soltanto per gli agi fisici, per il denaro, per il potere personali che ci attiviamo.
A che serve dirsi credenti in Dio ma temere la morte, la povertà, il dolore.
A che serve avere amici teorici e sentirsi disperatamente soli.
A che serve la libertà se non si sa che farsene e la sola cosa che riempia di senso le nostre giornate resta la schiavitù del lavorare o del desiderare di poterlo fare.
A che serve l' immaginazione se ogni nostra scelta reale attira come carta moschicida l'inevitabile obolo di piccole e meschine viltà del vivere.
- Giudichi. Che ne sai degli uomini? Quel che supponi. Nient' altro. Ed allora è così che tu sei, per forza.
- So quel che fanno e che io non ho fatto. Ecco: basta questo.
E se non mi credi, poco importa. Vaffanculo.
- O bella! E perché dovrebbe poi mai essere "scandalosa" una contraddizione? Trattasi di contraddizione e basta. L' hai pur detto: siamo soltanto umani.
- Allora spiegami a che serve parlarci, se comunque ciò che ci comunichiamo è solo in parte ciò che pensiamo.
A che serve palesare un pensiero se il tuo interlocutore non lo sa recepire giacché non tenta di capirlo ma si limita a tradurlo nel suo linguaggio.
A che serve dirsi 'umanisti e filantropi' se è soltanto per gli agi fisici, per il denaro, per il potere personali che ci attiviamo.
A che serve dirsi credenti in Dio ma temere la morte, la povertà, il dolore.
A che serve avere amici teorici e sentirsi disperatamente soli.
A che serve la libertà se non si sa che farsene e la sola cosa che riempia di senso le nostre giornate resta la schiavitù del lavorare o del desiderare di poterlo fare.
A che serve l' immaginazione se ogni nostra scelta reale attira come carta moschicida l'inevitabile obolo di piccole e meschine viltà del vivere.
- Giudichi. Che ne sai degli uomini? Quel che supponi. Nient' altro. Ed allora è così che tu sei, per forza.
- So quel che fanno e che io non ho fatto. Ecco: basta questo.
E se non mi credi, poco importa. Vaffanculo.