venerdì 29 luglio 2011

Anatema 3 - Le cretine

Ho già confessato d' essere, talvolta, soggetta a gravi intollerenze intellettuali: ci sono argomenti molto particolari -perché nevralgici- rispetto ai quali non riesco a soprassedere né a rendermi mentalmente elastica. Anzi.
E poi, per esser precisa, non sono neppure soltanto questioni intellettuali: ogni mia azione è altamente connessa con il mio pensiero, sì da rendere ciascuna parola infarcita -SEMPRE- di lacrime, sangue, sudore, spazio fisico, dolore o gioia pura: il mio corpo è anche la parola, il pensiero vi è abbarbicato, come edera stritolante o teneramente avvolgente, in un unico atto orgasmico di vita, o di lacerante sofferenza.
Uno di questi è quel che io intendo per "essere donna" secondo un' ottica tutt' altro che personale o intimistica, naturalmente, ma bensì relativa sia all' ampia sfera del  genericamente umano, pur con le naturali caratterizzazioni del genere, sia a quella, un po' più spinosa ed insidiosa, dell' ambito culturale.
Non intendo, ora, osare un trattatello -di quelli noiosi- storico, sociologico, psicologico delle muliebri vicende trascorse fin dalla comparsa del Sapiens sulla Terra, né ricordare nefandezze, roghi, ingiustizie ed innumerevoli torti che gli Istituti umani, dalle Religioni, alla Politica, alla Cultura, hanno riservato alla Donna nei secoli: su questo son già caduti i veli, ciascuno di noi sa perfettamente quanto c' è da sapere e, se vorrà, lo tenga pure ben presente traendone tutte le dovute conclusioni. Se oserà, se potrà onestamente farlo...
Non m' interessa neppure vagamente, d' altronde, sottolineare il lapalissiano concetto che, in un mondo assatanato di sangue di vittime le vittime stesse abbisognino a loro volta di sacrificarne altre: noi umani non abbiam saputo fare di meglio, mai, e in nessun luogo; non, almeno, in ambiti diversi da quelli individuali e particolari, cioè irrilevanti ai grandi fini.

Perciò, dato che  motivi di metaforica nausea il maschilismo becero -ed anche quello inconsapevole ed aborrito dagli stessi ignari carnefici- ne han fornito praticamente tutti gli uomini di potere e cultura, -finanche i più dotati di intelligenza o accreditati di stima ed ammirazione- fin dalla notte dei tempi, io vorrei, almeno, che a capire l' ontologia dell'essere donna, senza macchia, senza paura, ma, soprattutto senza contraddizioni, fossero, almeno, le donne stesse. Cosa che non ancora e non sempre (oggi meno che negli anni '70), invece, è.

***

" Non si nasce donne, si diventa."
(Simone de Beauvoir)



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M' imbatto, talvolta, ricavandone disgusto, in intollerabili  esibizioni dialettiche di donne imbecilli.
Sono stata una femminista militante -non è nuova, l' ho scritto altre volte-, ho fatto la mia parte, non solo gridando slogan. C' ero. C' ero tutta. E, al tempo, la questione della "liberazione sessuale" e ciò che intorno vi gravitava, era fondamentale.
C' ero a parlare, a manifestare, a scrivere, ad essere, coerentemente, piuttosto impopolarmente, giacché è senz' altro vero che nessuna rivoluzione è mai stata indolore.
Ciononostante, sentivo, prima di tutto a livello istintivo, e con il cuore e l' anima, la profonda differenza d' approccio alle questioni femminili tra "Le deuxième sexe" di Simone De Beauvoir e "Porci con le ali" della Ravera o "Paura di volare" di Erica Jong, tanto per citare alcuni testi paradigmatci.
Nel primo, una seria analisi psicologica, storica, biologica; nei secondi, la provocazione, l' urlo, la sfida, anche sguaiati e scomposti, talvolta di gusto scabroso, nonché morboso.
Se un po' ho reso l' idea, è forse chiaro che io, per mia natura, aborro la volgarità ed il trivio (è in questo, e solo in questo, che si esaurisce tutto il mio dandysmo), ma allora erano necessari anche quelli per raggiungere la necessaria dissacrazione del muro di silenzio, dell' inerzia di abitudini consolidate nel pensiero, della pseudo-cultura imperante.

Oggi mi tocca rilevare la presenza di emerite cretine, che della nostra storia di faticose progressive legittime conquiste di civiltà e giustizia sociale non sanno nulla e non hanno capito assolutamente nulla, che confondono il "femminismo" (e lo virgoletto perché, da loro evocato è semplice eufemismo) con l' escortismo, che credono che scrivere disinvoltamente di mutande e seni, con tanto di immagini-spazzatura degne di viscidi guardoni esibizionisti ( argomenti che dovrebbero parare esattamente d o v e  ? -non so perché, ma mi sfugge proprio-) sia un vessillo di libertà emancipata, e lo trovo oggettivamente patetico.
A me dispiace -ma appena un po'- , per chi ci casca, che è, nella fattispecie,  quasi sempre maschio intelligente, e solitamente non troppo ingenuo in questioni però di tutt' altra natura (magari 'elevate'). Poi penso: "... affari suoi, s'arrangi, si renda critico, magari iper-critico, anche nelle basse vicende ormoniali, visto che sa esserlo in ben più alte elucubrazioni, o si confessi, con un po' di onestà intellettuale, che c' è una grande frattura tra ciò cui aspira la sua anima e ciò di cui s' accontenta e si delizia il suo basso ventre ..."

Il punto davvero focale, che è questione passata in giudicato, è sempre stato e sarà sempre il solito: la donna e l' uomo devono attrarsi, piacersi, unirsi, amarsi, o fare il contrario, se a loro aggrada, ma mai e poi mai una persona di genere femminile deve sentire il suo essere donna come strumentale alla sua realizzazione di essere umano, spendendo le sue energie alla ricerca dell' approvazione, del piacere -o anche del dispiacere- di persona appartenente al genere maschile, perché, in tal modo, non fa che ridurre sé stessa ad un individuo gregario di un altro.
Per questo, dire che "Mi trucco per me, per piacermi", oppure "La chirurgia plastica aiuta l' autostima" è falso, è malafede, oltre che massimamente ingenuo.
Un' auto-stima che si nutra di cenni di approvazione basati sul gradimento sessuale è, quantomeno, indice di miseria e pochezza. Forse sarebbe bene pretendere molto di più, da sé stesse, soprattutto quel 'di più' invisibile ma pertinace che esalta di un individuo l' essere unico ed irripetibile che è.

Ma non era già chiarissima, tutta sta cosa?







mercoledì 27 luglio 2011

Anatema 2 - Stressing

Sorrido, per quanto amaramente, ogni qualvolta l' osservazione e la riflessione sulla vita animale ed umana mi conferma l' assoluta fragilità di ogni situazione e condizione, sia a livello sociale, sia -ed anche talvolta di conseguenza- a livello individuale.

"Bisogna farsi niente", meditava Simone Weil nella sua dura e dolorosa ricerca mistico-filosofica, ma, in realtà, lo sforzo riguarda soltanto l' accettazione di un' asserzione simile, perché noi niente, oggettivamente, già lo siamo come dotazione innata, se quel niente corrisponde a non essere 'qualcosa di speciale, qualcosa di più ed oltre', rispetto alla materia, alla meccanica del nostro organismo, ai neuroni ed ai circuiti dell' amigdala e dell' ippocampo, ai sistemi immunitario, endocrino, cardiovascolare e via di seguito...
Di cosa consti l' "anima", né se esista, nella nostra parentesi mortale non sapremo mai, comunque vadano le cose dopo.

***
Credo che sapersi niente sia l' autentica consapevolezza -spesso profondissimamente occultata-  di ciascuno di noi. In fondo l' abbiamo visto confermato mille volte nel corso della nostra esistenza: abbiamo perduto genitori, figli, amici, amanti, strappati a noi dalla morte, o dal distacco, ed abbiamo visto languire anche le idee e spazzare via i sogni, come succede alla sabbia sulla bàttima, e credo anche che la maggioranza dei nostri sforzi sia nel negarcelo ad ogni costo.
(In effetti, siam tutti molto più stoici di quanto non crediamo: non ci sono, in fondo, moltissime aternative.)
Spesso la lasciamo sedimentare e poi la sotterriamo nell' interiorità, illudendoci d' averla vinta, d' aver trovato un nesso, un senso, una scappatoia, un' illuminazione liberatoria.  Pia illusione.
E' inutile: non possiamo accettarlo, è troppo doloroso. Inumano.
Pur di negare il nostro esser niente, dopo l' invenzione di Dio, deifichiamo anche l' Uomo -poveretto- e ci prostriamo, all' occorrenza ed all' occasione e secondo la nostra indole, a Questo e a quello.
La tristezza che mi instillano certe piccole frivole animucce, un po' ottuse ed ingenue, occupate a cercare sempre aderenze presso altri esseri umani -che non son niente, come tutti noi- cadendo addirittura nel grossolano errore di rendersi parassiti!
Provo cordoglio per molte tristi situazioni, ma non così tanto come mi accade alla vista dello sciupìo di dignità.
E poi sono intollerante alla stupidità: mi provoca un' orticaria metafisica, mi fa star male.

***



Dicevo, dunque, d' essere talmente fragile, in quanto umana e in quanto 'me' ... da notare una flessione della memoria.
Dimentico.
Nomi, volti, date, termini tecnici.
Dimentico soltanto i dettagli, non la sostanza né il senso di un dialogo o di una lettura, o il ricordo del complesso di un evento.
Nella mia precedente professione la mia memoria era prodigiosa: ricordavo -dei clienti- dati fiscali, recapiti, molti dettagli anagrafici, le più irrilevanti richieste.
Giacché non è ancora deterioramento senile, mi arrovello da un po' a cercarne cause e senso.
E scopro che è colpa dello stress.
Io vivo sotto stress particolare  da almeno una ventina d' anni e generale da molti di più.

E "sotto stress le ghiandole surrenali secernono il cortisolo, uno degli ormoni rilasciati dal corpo in caso di emergenza. [...] La produzione cronica di cortisolo (e relativi ormoni) può provocare disturbi cardiovascolari, pregiudicare la funzionalità del sistema immunitario, peggiorando diabete e ipertensione, e in alcuni casi perfino distruggere i neuroni dell' ippocampo, a scapito della memoria." (D. Goleman,Intelligenza sociale)

Diciamo anche, che, in più, l' ambiente metropolitano -che detesto ferocemente- fornisce stressors in aggiunta ai ben più gravi strettamente personali, di cui la mia amigdala, ipersensibile, ha particolare percezione. Il rumore costante del traffico della mia città di meno di 200.000 abitanti (che non ha nulla a che vedere, comunque, con quello di una megalopoli), per esempio, erode -e lo sento chiaramente- l' equilibrio del sistema nervoso come un moderno supplizio di Tantalo, e la considerazione che se non fossi così povera potrei gestire un agriturismo sulle crete senesi (è troppo, lo so, ma mi si consenta l' escursione nell' immaginario. Che io sia un' ottima cuoca ed ami  la vita un po' frugale ed essenziale è assolutamente vero, però...) lasciando accarezzare i miei organi percettori dal soave fruscìo causato dal vento alle cime di un paio di cipressi, aumentano stizza e - di nuovo- stress.

La verità è che senza "alleati biologici",  nell' esistenza una come me non ce la può fare proprio.

Un' amicizia attiva e sincera, un compagno di vita che sappia amare, un congiunto affettuoso: loro, sarebbero necessari -farmaci salva vita- a noi malinconici rappresentanti del niente.
Non si sfugge: dovrebbe essere l' amore il linguaggio universale degli umani.

Ma giusto ieri ho scagliato il precedente anatema...




martedì 26 luglio 2011

Anatema 1

Lo scriverò in prima persona, per non offendere la sensibilità di nessun altro né scalfire il suo orgoglio (che tanto gli è necessario: mille volte di più della sostanza di un sentimento) operando generalizzazioni di cui non mi arrogo l' autorevolezza.
Sì, ma cosa?
Il mio anatema personale al più gettonato degli idoli dozzinali.
L' anatema dell' amante - quello incorporeo, participio presente- me, o, se risulta più chiaro, in genere l' anatema dell' Amore.

Toglici immaginazione ed ormoni e non resta assolutamente nulla. Gli ormoni si chetano e si assopiscono, l' immaginazione sfuma ed evapora, asfissiata dall' abitudine. Il primo è un evento biologico, il secondo una terribile colpa, e quando non va esattamente così, comunque almeno uno dei due abbandona il campo.
Sì, diceva bene il filosofo dalle spalle larghe, Amore è un dio, che tenta di mettere in contatto il mortale con la Bellezza, ma forse è la Bellezza che non è affatto generale aspirazione prioritaria.
La vera aspirazione sentimentale resta il desiderio di qualche rocambolesco paradiso di sensi ed anime, preferibilmente frustrato e frustrante, subito seguito dal surrogato povero del piacere, che è la quieta rinuncia e l' adeguamento ad un sonnacchioso, pallosissimo ménage in confortante utilitaristica sicurezza.

Undicesimo: non nominare Amore invano.




giovedì 21 luglio 2011

Universale filantropia

Per catturare la sua preda, Peleo deve, innanzitutto, indovinarne i movimenti ed assecondarvi i propri, anche con immane sforzo ed indicibile sacrificio. Mentre Teti, infuriata dalla di lui imboscata, si trasforma in acqua, fuoco, leone e seppia, egli non demorde, fino a vincerla, attraverso l' ammirazione che in lei scaturisce alla constatazione di tanto coraggio e forza.

La nostra anima -pur forse eterna-  è dunque coinvolta strettamente con le trasformazioni dei corpi nel tempo in un ciclo incessante e sempre variabile.

Per raggiungere uno scopo, di conseguenza, è necessaria una grande saggezza che presupponga la capacità di confrontarsi con le infinite variabili della realtà.
Comprendere il rapporto tra tempo e vita significa capire anche che sia l' uomo sia la natura soggiacciono allo stesso principio universale delle vicissitudini.
Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume.

Comprendere questo consente anche di assaporare la molteplicità della bellezza del mondo, dell' esistenza.
Eppure, ciò è anche quanto di più difficile noi umani si possa riuscire a fare. Di certo, lo è per me, anche se so che è il solo modo di vivere davvero, senza colpevoli omissioni ma anche senza subire irreparabili perdite.
Riallacciare il rapporto con la Natura facendo sì che le condizioni oggettive di esistenza che i tempi moderni ci impongono non ce ne stacchino totalmente, riuscire ad armonizzare nel contempo uno sguardo microscopico ed una vista ampia e generale, e sapere che anche gli individui funzionano, in sostanza, secondo le stesse regole di molteplicità e variabilità di qualsiasi altra forma universale, capire che nessun aspetto dell' esperienza terrena può fagocitarne un altro: ciò può permettere di conquistare serenità, dopo lungo, lungo esercizio.

"Il vincolo per Platone è bellezza o armonia in ciascun genere, per Socrate virtù e grazia d' animo, per Timeo dominio sull' anima, [...] per me tristezza ilare, ilarità triste".  (G.Bruno, De Vinculis)

Universale filantropia: ecco ciò di cui abbisogna il mondo, in generale, e chiunque di noi provi il disagio del vivere, in particolare.
Un solo vincolo ci conduce inesorabilmente verso il fanatismo e condanna alla pochezza morale ed intellettuale.
Non sono stata capace di amare una sola volta e per sempre, di fare una cosa esclusiva e determinata-seppur fosse eccellentemente-, di percorrere un' unica strada maestra, di preferire uno stile di vita all' altro: ciononostante le forme possibili restano infinite ed io non ho ancora fatto nulla.
E me ne compiaccio, in fondo, pur se così affaticata. Amo la vita d' amore non morboso, molteplice e reiterato.

***

La natura asinina dei nostri politici è disarmante, la loro vergognosa incapacità tattica e logica, nonché passionale, ha qualcosa di oramai spiazzante, e l' intero sistema di potere mondiale prescinde completamente da qualsiasi considerazione umanistica.
Per questo, stiamo vivendo (ma ne morremo?) la peggiore crisi di civiltà della Storia.

Alla luce del grave -forse irreparabile- distacco che ormai è evidente tra la casta politica italiana ed i cittadini -ivi compresi coloro che la sostenevano-, appare chiaro che tra i suoi esponenti non solo nessuno sappia esercitare la filantropia ed amare il proprio Paese, ma difetti anche dell' intelligenza e della prudenza per comprendere che la misura, ormai, è davvero colma, tanto da proiettare lo spettro della rivolta civile.
"Non importa [...] chi un tempo mi avvinceva a sé con la stima del suo sapere; poi, cancellata la stima da una maggior consapevolezza, sono subentrati vincoli di disprezzo e di sdegno". (ibidem)
E allora, asini, sono guai...

martedì 19 luglio 2011

Circe

...una filosofia che prescinda dalla vita, dalla biografia, per Giordano Bruno non potrà toccare mai la verità... : ho concluso così il post precedente, perché credo profondamente in questa affermazione.

Non sono mai riuscita, infatti, a pensare in buonafede -cioè onesta- una sola asserzione di filosofo, o teologo, o intellettuale, o uomo della strada, o uomo della Rete, che non sia strettamente allacciata alla sua personale esperienza della vita e del mondo ed avvalorata dalle sue precedenti, presenti o conseguenti azioni.
E per amare -genericamente- qualcosa o qualcuno io ho bisogno sia dell' assoluta certezza della sua sincerità, sia della verifica della fondatezza delle sue intenzioni, di cui egli stesso potrebbe essere all' oscuro. Ogni cosa a me diretta, verbo o scritto, pertanto, mi lasciano cautamente circospetta e mi inducono alla sospensione del giudizio, in attesa della riprova che soltanto la realtà vissuta può dare.

Ebbene, la 'riprova' avviene sempre, in un modo o nell' altro, ed estrapola ogni verità.
Che sia la defezione nel momento del bisogno di colui che si dichiarava amico, la degenerazione in noia ed abitudine di ciò che si credeva grande amore, la dimenticanza che lascia affievolire fino alla loro totale dissolvenza momenti vissuti o condivisi creduti assoluti e forse anche potentemente simbolici, il velo di silenzio e di inerzia che vanifica una dichiarazione di stima che pareva sincera, ed infinite altre situazioni, ciò che è certo è che la vita, compiendosi, decreta fugando ogni dubbio.
Che sia anche doloroso non è affatto rilevante.

***

Ma è storia antica, pare che l' uomo non possa cambiare: la falsità, o la stoltezza -la natura asinina-, sono le principali caratteristiche umane, da sempre e, da sempre, pochi sapienti hanno cercato di equilibrare invano la decadenza cui una moltitudine rozza e sciocca ha condotto e rappresentato l' umanità.

Dosso Dossi


Analizzando il suo tempo storico Giordano Bruno fa dire alla maga nel Cantus Circaeus , adottando un' analisi in chiave fisiognomica, che gli uomini sono "animi ferini celati sotto scorza umana", e si chiede: "è forse giusto che un' anima bestiale viva nel corpo di un uomo come in una tana oscura ed ingannevole? Dove sono le leggi che governano le cose? Dove il lecito e l' illecito per la natura?"
Ella osserva come tutto sia capovolto: incapaci che comandano, asini che hanno il potere di colpire i meritevoli,  e poi un mondo retto sull'inganno, su imposture e falsità.
(attuale il Nolano, nevvero? n.d.r.)
La natura, dunque, ha confuso in un solo sembiante uomini e bestie, e Circe prega il padre Sole e gli altri dèi di ripristinare un ordine, una verità. "Per i volti menzogneri che distribuiscono inganni, per l' alta potenza dei custodi che sono presidio della natura, vi scongiuro strappando da ciascun individuo di specie bestiali le sembianze umane, fate sì che questi esseri si mostrino nelle loro figure esteriori e veritiere."

A differenza di Alberti e Campanella, che rinviano al momento della morte o del Giudizio Universale la caduta delle maschere degli uomini, Bruno mirava, con la sua opera, a ripristinare ordine e giustizia nel suo tempo, vero obiettivo della sua filosofia.

***

Con grande umiltà, io sento che tutta la mia infelicità, l' infelicità che mi deriva dal mondo e dai miei simili, e che segna la mia strana vita, ha a che fare con gli effetti dell' eterno Teatro che è la vita degli uomini, e con le innumerevoli maschere che essi non hanno ancora smesso di indossare, e capisco perché la storia del Nolano mi abbia sempre tanto emotivamente coinvolta e perché l' indignazione per il suo assassinio sia sempre stata così netta ed impetuosa. Anche se ...





lunedì 18 luglio 2011

L' ultimo Mercurio alato, ovvero Giordano Bruno, il Nolano -bestie, uomini, eroi-

Egli non aveva bevuto le acque del fiume Lete, come l' asino Onorio della Cabala, e ricordava perciò perfettamente anche quale animale fosse stato immediatamente prima d' essere Giordano Bruno: un superbo cigno. Così, ermeticamente, contribuiva alla scelta del proprio destino di carne e spirituale.

Salvador Dalì


"Come dunque accade che queste anime particolari diversamente secondo diversi gradi d' ascenso e descenso vegnono affette quanto agli abiti et inclinazioni , cossì vegnono a mostrar diverse maniere et ordini de furori, amori e sensi: non solamente nella scala de la natura, secondo gli ordini de diverse vite che prende l' anima in diversi corpi, come vogliono espressamente gli Pitagorici, Saduchimi et altri, et implicitamente Platone et alcuni che più profondano in esso; ma ancora nella scala de gli affetti umani, la quale è cossì numerosa de gradi come la scala della natura, atteso che l' uomo in tutte le sue potenze mostra tutte le specie de lo ente."  (Giordano Bruno, Furori)

Bruno aveva una concezione della vita universale, cosa che gli arrecò non pochi grattacapi nel tentativo di spiegare una determinata specificità dell' anima umana: se "forma" e "materia", "atto" e "potenza", "anima" e "corpo" sono unum et idem, dato che la materia è essa stessa vita, ci deve essere una differenza di grado da cui scaturiscano, simultaneamente, altri principi, come il libero arbitrio e il merito.
Questo scarto afferma alfine un primato del principio spirituale sul principio materiale in cui si palesa però una contraddizione con la concezione della "materia primiera del tutto". 
Consapevole degli elementi aporetici interni alle sue posizioni, Bruno secolarizza inferno e paradiso realizzandone la loro prospettiva direttamente a livello del corpo, in cui l' anima riceve il castigo o il premio nella vita in un eterno e quotidiano Giudizio Universale.
Perché le anime -dice il Nolano- non sono tutte uguali: esiste una fondamentale differenza tra le anime dei bruti e quelle degli uomini. Le prime, senza alcuna memoria individuale, si dissolvono nel seno della Vita universale nell' eterna vicissitudine a nuovi composti; le seconde, esaurito il loro ciclo, conservano memoria e identità.

Ed ecco lo specchio:
"Il spirito, poi, [...] quanto al suo essere particolare et individuale, intendono et intendo che si produce di nuovo come da un specchio grande e generale, il quale è una vita e rappresenta una imagine et una forma per divisione e moltiplicatione di sopposti parti resulta il numero delle forme, di sorte che quanti sono fragmenti del specchio, tante sono forme intiere, così in ciascune di quelle come era in tutto, le quali forme non patiscono divisione o recisione, come il corpo." (Giordano Bruno, Processo)

Nessuna differenza, quindi, fin qui, tra l' anima umana e quella dei bruti nell' universalità dello spirito, se non a causa di un privilegio che non trova riscontro in cause naturali e questo privilegio, in ultima analisi, è la capacità di conservare i ricordi -effettivo fondamento dell' identità  e dell' immortalità dell' anima individuale-.
In realtà, questa distinzione è insensata e insostenibile, ma necessaria alla rappresentazione che G. B. vuole fornire nel suo teatro della Vita: egli ha bisogno di spiegare il furore eroico, ossia un' esperienza che rimane tuttavia  profondamente umana in cui l' uomo esprime ogni sua potenzialità pur nella sua ontologica ed irrimediabile limitatezza, attraverso la lunga sequenza di cadute, sconfitte, vittorie, luci ed ombre, come succede ai "nove illuminati" dei Furori. " ... or vedenti, or ciechi, or illuminati [...]son rivali ora nell' ombre e vestigii della divina beltade, or sono al tutto orbi, ora nella più aperta luce pacificamente si godeno" fino a quando vengono "illuminati da la vista de l' oggetto in cui concorre il ternario delle perfezzioni, che sono beltà, sapienza e verità, per l' aspersion de l' acqui che negli sacri libri son dette acqui de sapienza, fiumi d' acqua di vita eterna".

"Il furioso è simile a quel giocatore che, impegnatosi in una partita mortale e senza speranza di vittoria, ottiene un risultato eccezionale, che è, simultaneamente, uno scacco irreversibile -secondo quella dinamica dei contrari che anima, come una leva fondamentale, ogni aspetto della realtà in un moto senza fine. Bruno visse l' esperienza del furore dandone una testimonianza straordinaria; ma proprio perché la descrisse comprendendola, dimostrò che egli era in grado di andare oltre, spezzando i confini dell' umanità. Sapeva di poterlo fare - e lo fece- perché guardando a fondo dentro di sé imparò a ricordare, ricordava le altre vite che aveva vissuto; e, a differenza del furioso, ricordando comprese di avere un destino che, sottraendosi all' oblio, si differenziava da quello di tutti gli altri 'fragmenti' del grande 'specchio' universale, i quali, ritornando donde sono partiti, dimenticano ciò che sono stati, quello che hanno fatto. Lo comprese perché interrogò la sua vita trasformandola nel vero banco di prova di sé stesso e della sua missione. E' il ricordo, la memoria, la prova 'sperimentale' della natura 'mercuriale' che Bruno scoprì di avere, ritrovando dentro di sé tracce di quello che era stato. In Bruno la memoria era ben più di un' arte, per quanto importante: era la via attraverso cui l' uomo riconosce, e assume dentro di sé la propria natura di Mercurio." (Michele Ciliberto, Giordano Bruno, Il teatro della vita)

Una filosofia che prescinda dalla vita, dalla biografia, per Bruno non potrà toccare mai la verità.

 

giovedì 14 luglio 2011

Incontrando solitudini

Non mi par sia vero che, nell' esistenza, il merito ed il valore siano, prima o poi, riconosciuti. E', anche questa, una delle tante promesse messianiche di cui gli umani hanno bisogno per superare la disperazione delle loro misere esistenze e delle loro sempiterne frustrazioni.
Potrei affermare anzi, senza tema di smentita e forse con ampio consenso (naturalmente tacito, perché qui, da me, vige uno spontaneo austero laconismo) che, semmai, l' equazione si realizzi al contrario, vale a dire che successo, benemerenze, popolarità spicciola, simpatie istintive, siano ispirate innanzitutto dalla mediocrità e, subito dopo, dall' ovvietà.
Ciò è dimostrato ampiamente anche dalla compagine politica nostrana, ma è cosa che viviamo costantemente fin nelle più piccole vicende personali e nei rapporti infraumani.

Quanto più un concetto espresso possa dirsi ovvio e banale, tanto più incontrerà ovazioni, commossa gratitudine (nei confronti di chi dà voce a pensieri che ci appartenevano ma non abbiamo avuto modo, capacità o voglia di esprimere, anche perché inconsciamente consapevoli della sua elementarità), entusiastico fideismo: pare che il suggello costituito dall' emersione attraverso la scrittura o l' espressione orale di una sciatteria qualsiasi, di un concetto dozzinale un po' moraleggiante, di un fatterello -tutto sommato-  marginale, sia sufficiente, per la massa, a nobilitarli inducendola ad amare appassionatamente questi sedicenti oracoli di nulla.
Nei blog, poi...
I danni del populismo! Ove si soprassieda a quelli, ben tristemente noti e di immane portata, che hanno contrassegnato la politica mondiale del Novecento o, anche solo in casa nostra, il gradimento accordato dalle persone semplici al mito berlusconiano, basta osservare i comportamenti sociali qualunque e quotidiani, gli scambi da bar e all' edicola, le conversazioni estemporanee e leggere degli incontri casuali, qualsiasi altra occasione non sospetta di aggregazione, per rilevare quanto sia importante, per le singole persone, convenire  su qualcosa, a tutti i costi ed a prescindere da.
Osservare che non ci sono più le stagioni di mezzo, che i politici son tutti dei manigoldi, che le suocere rompono le palle,  oppure commentare notizie di gossip -anche becero-, cadere con voluttà nel tranello dei giudizi stereotipati bello-brutto, buono-cattivo, giusto-sbagliato, dà una sorta di ebbro piacere di appartenenza  cui difficilmente ci si sottrae.

Insomma, la moltitudine è di bocca buona, con tendenza all' ipocrisia, seppur non sempre grave, né sempre consapevole. E lo è in tutti i campi, dalla cultura all' Arte, dalla politica alla religione: ha bisogno di specchi e riconoscimento, cosa che spesso obnubila la capacità di giudizio e l' onesta critica, nonché -alla resa dei conti- la vera crescita personale che deve necessariamente essere condotta in perfetta, se pur stoica e pesante, solitudine. La moltitudine si accontenta, ma, soprattutto, essa non è, se non in una vaga idea totalmente inconsistente, ed il singolo, quando s' adopra per esservi compreso, non ne ricaverà che un effimero sentimento di comunione privo di vera sostanza ed effetti.

A me piace oltre ogni immaginazione confrontar solitudini: è proprio lì, nel non-luogo in cui non ci si può riconoscere che riconosco un altro umano, profondamente, ed è lì che lo amo davvero, nella reciproca mestizia che dà la vicinanza di accettare la fatale, insuperabile distanza.

Riconosco il mio simile perché, come me, è irraggiungibile ed incomprensibile. Anche se le solitudini che si guardano altro non possono condividere che lo stesso rimpianto di non potersi raggiungere. E' già importante che lo ammettano, senza pietosi infingimenti.

***

" L' uomo grigio baciò il fango, montò sulla riva senza scostare (probabilmente senza sentire) i rovi che gli laceravano le carni, e si trasse melmoso e insanguinato fino al recinto circolare che corona una tigre o un cavallo di pietra [...]
Il proposito che lo guidava, non era impossibile, anche se soprannaturale. Voleva sognare un uomo: voleva sognarlo con minuziosa interezza e imporlo alla realtà. [...]
Sul crepuscolo dello stesso giorno, sognò questa statua. La sognò viva, tremula: non era un atroce bastardo di cavallo e di tigre, ma queste due veementi creature ad un tempo, e anche un toro, una rosa, una tempesta. Questo molteplice iddio gli rivelò che il suo nome era Fuoco, che in quel tempio circolare (e in altri eguali) gli erano stati offerti i sacrifici e reso il culto, e che magicamente avrebbe animato il fantasma sognato, in modo che tutte le creature, eccetto il Fuoco stesso e il sognatore, l' avrebbero creduto un uomo di carne e di ossa.
[...]
Non essere un uomo, esser la proiezione del sogno di un altr' uomo: che umiliazione incomparabile, che vertigine!
[...]
Poiché si ripeté ciò che era già accaduto nei secoli.
Le rovine del santuario del dio del fuoco furono distrutte dal fuoco.
In un' alba senza uccelli il mago vide avventarsi contro le mura l' incendio concentrico. Pensò, un' istante, di rifugiarsi nell' acqua; ma comprese che la morte veniva a coronare la sua vecchiezza e ad assolverlo dalle sue fatiche. Andò incontro ai gironi di fuoco: che non morsero la sua carne, che lo accarezzarono e inondarono senza calore e senza combustione. Con sollievo, con umiliazione, con terrrore, comprese che era anche lui una parvenza, che un altro stava sognando."

(Jorge Luis Borges,Finzioni)


martedì 12 luglio 2011

suggestione d' estate

Charles Baudelaire


 Elevazione


dedicate a Fabio





Al di sopra degli stagni, al di sopra delle valli, delle montagne, dei boschi, delle nubi, dei mari, oltre il sole e l'etere, al di là dei confini delle sfere stellate, spirito mio tu ti muovi con destrezza e, come un bravo nuotatore che si crogiola sulle onde, spartisci gaiamente, con maschio, indicibile piacere, le profonde immensità.
Fuggi lontano da questi miasmi pestiferi, va' a purificarti nell'aria superiore, bevi come un liquido puro e divino il fuoco chiaro che riempie gli spazi limpidi.
Felice chi, lasciatisi alle spalle gli affanni e i dolori che pesano con il loro carico sulla nebbiosa esistenza, può con ala vigorosa slanciarsi verso i campi luminosi e sereni;
colui i cui pensieri, come allodole, saettano liberamente verso il cielo del mattino; colui che vola sulla vita e comprende agevolmente il linguaggio dei fiori e delle cose mute.

venerdì 8 luglio 2011

Harvest

Mi ha sempre affascinato la duplice natura del vento: invisibile ed implacabile, aristocraticamente indifferente, fugace, inafferrabile.
E' l' innamoramento tragico del fuscello consapevole della forza inesorabile che lo sovrasterà.
Il vento dalla punta della Dogana e l' improvviso acquazzone estivo, i masegni scivolosi. A quindici anni tu ed io eravamo due tipe. Tu portavi scialli variopinti ed orecchini antichi, come una gitana, e ti smaltavi le unghie di verde. Odiavi i tuoi capelli sottili ed irrimediabilmente  lisci: rovesciavi la testa, la scuotevi istericamente, come un cane bagnato, per farli arruffare ed invidiavi bonariamente i miei lunghi riccioli naturalmente ribelli. Cara Adriè, il vintage l' hai inventato tu, in tempi non sospetti: il pastrano nero ed il cappellaccio, gli zoccoli di legno, le borse  flaccide di stoffa con perle e ricami, i profumi speziati. Mi instillavi il desiderio di esotismo romantico e forse ciò che per te altro non era che forma per me diventò destino dell' anima. Così io...
Io, che non avevo le tue cose, che non possedevo una soffitta tutta per me in cui ospitare gli amici, che la musica l' ascoltavo alla radio perché chiedere un registratore a cassette, o un giradischi, a mio padre, operaio metalmeccanico alla Montedison, non avrei osato mai e poi mai, che amavo studiare mentre tu arrancavi svogliata, che vivevo gli amori giovanili con passione esagerata mentre tu odiavi e disprezzavi gli uomini, io, un po', delle nostre differenze cominciavo a sospettare, ed a soffrirne.
Ma tu mi hai sempre detto "No, io sono come te, sono come te. Noi siamo uguali. Uguali, credimi. Anch' io mi sento offesa dal mondo, anche a me loro -gli istituzionalizzati- non piacciono, e non me ne importa nulla del denaro -che però ho, n.d.r.- e vorrei una vita originale, che sia la mia e soltanto la mia".
Era bello crederci. Al crepuscolo, nel parco deserto, tu ed io sull' altalena, spingendo con tutte le forze per salire fino al cielo, cantando felici Harvest.


Solo ora mi rendo conto che, perfino da poco più che fanciulle, forse il tuo amore era pudicamente saffico ma pur sempre irrimediabilmente egoista. 
I nostri caratteri e temperamenti erano così antitetici che tuo marito, in uno dei suoi esasperati sfoghi di rabbia, ti disse: "... bene, sì, esci con lei... e chissà che almeno tu non riesca a morenizzarti un po'..."

Ma, per quanto ormai perduta, il ricordo della nostra antica e stridente amicizia non mi abbandona e talvolta, nel gelo della tristezza, mi riscalda ancora. 
E perdona, se puoi, la mia rigida intransigenza.

mercoledì 6 luglio 2011

Assenso e negazione


Cosmo. Altrove. Fuga ideale.


Ma che consolazione si pùò mai trarre dal conoscere la generica appartenza di ciascuno di noi alla grande famiglia umana, composta dall' insieme di creature profondamente diverse le une dalle altre e, nel contempo, perfettamente simili nella sostanziale fragilità?

Mi piacerebbe formulare la domanda ai grandi Romantici ed ai Filantropi della Storia.
Ma ciò su cui converremmo alla fine forse sarebbe: nessuna.
La nostra condizione di solitudine è irrisolvibile, le fratture tra sensi e spirito, con cui tentiamo ugualmente di approcciare le nostre rispettive esistenze, insanabili, la profonda distanza tra uomo e uomo incolmabile, perché nulla, neppure l' amore -sempiterno morente-, ha la forza di colmarla.

Così, si vive immersi in un' esistenza verso cui provare talvolta assenso e talvolta negazione.
Condannati alla lacerazione, eterni Prometeo.

"Giace il mondo in frantumi,/ lo amammo molto un tempo,/ adesso anche il morire / non ci fa più spavento.

Il mondo non va disprezzato,/ screziato e selvaggio egli è,/ malie antichissime spirano/ ancora attorno a sé.

Vogliamo separarci/ grati del suo gran gioco;/ ci dette gioia e pena/ ci dette molto amore.

Addio mondo, rifatti/ bello e smagliante,/ noi siamo della tua gioia/ e della pena sazi."

(H.Hesse)


... scusate, ma quest' estate va così...



domenica 3 luglio 2011

Guardati dalle idi di luglio

Si avvicinano le idi di luglio.

Chissà se questo processo di  pietrificazione arriverà allora al suo perfetto compimento...
Poi -se ci sarà un poi-, questa farfalla di marmo dalle ali cristallizzate conoscerà alfine, tutta intera, l' insostenibile pesantezza dell' essere e vi si adagerà per tutta la sua irrilevante eternità.
Oggi, e sempre più, ogni parola scende come lacrima corrosiva, in un idioma incomprensibile che non è più linguaggio, la cui funzione è più che mai oscura ed il cui fine pare ultraumano. Forse è così che discorre la morte.

Adeguarsi,
non le è stato possibile.

Provare a farsi amare, rendersi appetibile, simpatica, affabile ed un po' banale, come tutti, sarebbe stato un suicidio da noia auto prodotta, una gigantesca mistificazione.
C' è chi non riesce a soprassedere alle proprie stesse intuizioni e allora... perdonatela, se vi aveva dato l' idea di saper volare, ma lei del volo aveva soltanto la speranza, ed un ancestrale rimpianto: troppi libri, troppi sogni, troppa ingenuità, troppo amore compresso ed inesprimibile, alla perenne ricerca di parole non ancora coniate, e poi disperso goffamente nel vento della dimenticanza e dell' abbandono, troppi scrupoli e troppe cattive coincidenze.

Noi concepiamo sempre enormità. Enormità insostenibili. Per questo, siamo dannati.

Inossidabile durezza, solo espediente di sopravvivenza, e senza possibilità di fusione. Monade disperata.

Bisognerebbe fingere di credere al prossimo. Provarci, autoconvincersi. Un trainng autogeno di innocenti menzogne.
Ma si sentono, i loro autentici presupposti, le loro vere intenzioni, le malcelate velleità. Si sente, senza possibilità di fraintendimento, che i loro spunti, le loro azioni, i loro inviti, le loro dichiarazioni, percorrono sempre lo stesso sentiero narcisistico e sono un perenne ricondurre a sé stessi, attraverso la sottrazione, la rapina predatoria e rapace a danno dell' anima fanciulla e distratta che tentano di sedurre.
Sono incapaci di dimenticarsi e pretendono di far credere di saper amare qualcun altro in nome di un amore depurato dall' egoismo. Miserabili.

Ammiro la mia cagnetta, che sa essere tanto magistralmente e totalmente cane, senz' omissioni ed infingimenti. Sa essere il suo tutto.
E gli uomini, invece... Non soltanto non possiedono un briciolo di bene, ma neppure sono disposti ad ammetterlo ed amano interiorizzare la loro parte mille volte più di quanto inseguano la verità.
Come sono felici quando i loro simili li gratificano! E la gratificazione sta tutta nel pasto dell' orgoglio.
Ah, è deprimente osservare quanto siano triviali i loro appetiti.

Non ricordo più come ci si sentisse a far la madre, la moglie, la figlia, l' amica, l' amante, la studentessa, la lavoratrice. Non ricordo come vivessi nell' armatura dello status sociale, passibile di definizione, di riconoscimento immediato ed epidermico. Ora che ho consentito ai miei occhi di farsi microscopici, in un' ossessiva osservazione dettagliata dei particolari per permettere un' onesta definizione del tutto, ne ho solo constatata un' intollerabile vanità.
Ma del perenne, sottile, persistente disagio anche di allora, ho esatta memoria: era dappertutto, con chiunque ed in ogni cosa, come una sottile seconda pelle, sovrapposta a quella ordinaria e normale.
E' sempre stata lì, una placenta aderente, membrana invisibile e tenacissima, un marchio trasparente, una maledizione.


venerdì 1 luglio 2011

Storiella da volgo

Sto aprendo una piccola attività artigiana, perché ho dovuto imparare un mestiere, ex novo, per sopravvivere, e perché non avrei comunque avuto nessun' altra scelta alternativa, stante un sacco di varie considerazioni e presupposti.
Stante, appunto...
La mia storia la ometto -troppo complicata ed intima da spiegare e poi lo sappiamo bene tutti che a nessuno importa niente di nessun altro e che in questi blog di contenuto vagamente umanista si scrive praticamente per sé stessi e non si simpatizza che con chi ci somiglia-, ma ciò che è, invece, più interessante, è parlare della mostruosità della macchina burocratica che stritola chiunque si avventuri in una simile impresa.

Le carte mi stanno togliendo l' aria, ma non solo per il loro ingombro: pare abbiano anche una specie di vita propria, di manìe, scherzetti, vizietti, umori, antipatie e simpatie, linguaggio (sempre differente a seconda dell' ente che le richiede), fisica prestanza.
Vi sono, nei loro movimenti, varie cadenze, danze, leggiadri volteggi: lentezza della loro trasmissione, ricezione, registrazione, ritorno al mittente per altra via...
Le carte, inoltre, sono anche smanettate dai giocolieri, ovvero i dipendenti degli uffici emananti.

Chi si arrischia a stipular contratti di utenza per via telematica o telefonica è perduto: deve anche tener in conto che, all' altro capo del filo, l' operatore potrebbe aver un udito debole, o la linea potrebbe distorcere le voci, o potrebbe non conoscere la parola ed il nome che gli scandisci sotto dettatura con puntiglioso esercizio di spelling.
E' così che la denominazione della mia ditta è diventata, per l' Enel, da "Nel giardino di Esopo di..." , "Nel giardino di Eopo", che  vattelapesca a capire chi accidenti sia mai stato; ma il problema non sta nell' errore, bensì nel tentativo di farlo correggere.
Nulla è più diabolico di uno strafalcione ufficializzato in fattura: pare inamovibile, non si scalfisce -manco fosse diamante-, e sto pensando di scrivere un testo di allegorie zoofile che titolerei " Nuove fiabe di Eopo", pur di farlo esistere.
Esagero un po'? Può anche essere,  ma io ho un pessimo carattere, su queste cose, e mi indigno con facilità...

Se poi, in una vita precedente (com'è invece stato miracolosamente per me) non si è esercitata una professione nel campo fiscale e  commercialistico, il futuro artigiano dovrà capire la sottile differenza tra "denominazione" e "ragione sociale", tra sede ditta individuale, residenza e recapito...

In altri contratti d' utenza, esempio con l' acquedotto, alcune richieste sono inintelligibili, e lo rimangono anche dopo aver chiesto delucidazioni all' ufficio.
L' esempio di arcano è: "indicare il consumo medio di m3".
Chiedo delucidazioni direttamente all' impiegato che sta accettando la mia domanda di attivazione: "Non ho la benché minima idea di come si misuri l' acqua. Le spiego come funzionerà la mia attività, e lei, cortesemente, mi aiuti a quantificare". 
L' impiegato ascolta, poi risponde: "Boh, chissà..., mettiamo '1'".
Io incalzo: "Ma, scusi sa, giusto per avere un termine di paragone qualunque, qual è il consumo minimo di una famiglia media di quattro persone che si presume facciano ciascuna almeno una doccia al giorno?"
Egli, perplesso: "Mah..."
Io -senza speranze (tra l' altro ho atteso un' ora prima di aver accesso allo sportello) ma decisa a vendere la pelle a caro prezzo...- "E che succede se mettiamo '1' e poi invece il consumo sarà '5' ?"
Egli: " '1' lo pagherà sempre e comunque: è una tariffa fissa. Ciò che eccederà lo pagherà, eventualmente, in aggiunta. Ma a tariffa maggiorata."
"Ah, ecco..."

Intanto la piccola povera neo-artigiana dall' incerto futuro paga l' affitto del locale -che sta ristrutturando a proprie spese- e febbrilmente studia gli incastri dei tempi per conciliare e programmare carte, scadenze, pagamenti anticipati, normative comunali, ottenimenti nulla-osta del settore, permessi.
Ed aspetta: il tempo del ritorno del contratto controfirmato che si è spedito firmato -in un bisticcio che non è solo linguistico-, notizie sulle attrezzature -molto specifiche- ordinate, perché dovranno superare un esame dell' Ulss da cui dipenderà una licenza per lavorare, di beccare al telefono il tizio cui ha richiesto una planimetria almeno un centinaio di volte e che è indispensabile per tutto quanto...
Quando potrà teoricamente ed ufficialmente iniziare a sudarsi il lavoro, e soltanto allora, la piccola artigiana dovrà, sul campo, verificare se avranno bisogno dei suoi servizi clienti sufficienti a farle chiudere il primo anno di attività almeno in pareggio con le spese sostenute -restando praticamente in apnea finanziaria per tutto il tempo relativo-; se ce la farà fisicamente data la sua età anagrafica; se la totale solitudine sociale, politica e civile in cui viene lasciato chiunque ricorra all' "auto-impiego" per via di quello sfilaccio di dignità ostinata di cui si fregia, sia, di fatto, umanamente sostenibile.

Devo aggiungere una riflessione trasversale. So che queste cose sono sommamente noiose da leggere, ma è questa la realtà che sto conoscendo.
Non solo, nel nostro Paese, non siamo tutti possessori di SUV, evasori fiscali, mafiosi, eccellenti privilegiati e via dicendo, ma non siamo neppure tutti e tutte dipendenti a tempo indeterminato o no, precari o no, di aziende grandi o piccole, private o pubbliche, pagati benissimo, bene o poco, tutelati abbastanza o sempre meno del dovuto, ecc.

Ci sono situazioni di cui non parla nessuno, ma che più di qualcuno vive, come quella che ho sommariamente raccontato e che sto sperimentando direttamente; ci sono realtà misconosciute e quotidiane, nel mondo del lavoro -quello che "fonda" la Repubblica-, in cui davvero il cittadino non ha alternativa alcuna al contare soltanto su sé stesso.

Siamo tutti infatuati di parole, ed amiamo inebriarci del loro suono: il paese dei musici e dei poeti.
Abbiamo perso il senso della misura, il rapporto con la verità oggettiva di molti fatti tangibili.
Su di un' infinità di questioni, per pudore, potremmo e dovremmo tacere od, in alternativa, agire, ma non è vero che Seneca è stato letto con attenzione da chi lo ammira: pochi si rammentano, quando si lamentano, di dare una sbirciatina alle loro stesse spalle, ma -ne sono certa- nel loro inconscio respirano in odor di virtù.