martedì 23 novembre 2010

LUPI DELLA STEPPA. L' eroismo ed il coraggio della solitudine.



Ci sono individui incapaci di obbedire, persone che, loro malgrado e senza intenti dissacratori, non possono adeguarsi né ai ritmi comunemente accettati dalla globalità del consorzio in cui sono inseriti, né alla linea generale del pensiero che permea i suoi usi e costumi. 
Molto superficialmente, e con la patetica arroganza dei sepolcri imbiancati, la loro originalità da esuli nel mondo viene scambiata per sdrucciolo e dozzinale anticonformismo di maniera: giudizio idiota, sommario e supponente, come la gran parte dei giudizi dati sulla base di preconcetti e della più articolata dotta ignoranza dell' altro.
Sono simili a lupi della steppa ed il loro destino è sempre maledetto e crudele.
Hanno opinioni diverse e talvolta imbarazzanti, ma non possono prescindere da esse, perchè il motore stesso del loro percorso di vita è l' assoluta onestà intellettuale. Risalgono la corrente, con immane fatica, alla ricerca delle origini e degli incipit delle cose, e lo fanno perché non possono proseguire altrimenti: la loro curiosità è impavida ed ineludibile. I gesti, le scelte, i fatti, della quotidianità non hanno nulla di automatico e scontato: ogni loro istante è genuino. Obbediscono alla loro coscienza, e questa, in loro, conserva un' originalità inossidabile ed inattaccabile dalle influenze esterne. Essere così non costituisce una scelta ma una necessità, pena il disgusto per sé stessi.
Non possono possedere, né essere posseduti: le loro famiglie si schiantano all' urto con la loro scandalosa integrità morale.
I loro figli li odiano e li abbandonano perché invano hanno cercato di scorgere specchi che essi non possono offrire.
Sono impopolari, quando si tratta di uomini e donne qualunque, ed, in genere, il loro pudore li induce a preferire il raccoglimento nell' ombra, anziché lo sfarfallio di luci dei palcoscenici.

La conseguenza ovvia è una condizione di ostinata solitudine morale, che comporta esilio psicologico e grande dolore. Hanno un' innata attitudine all' evasione, talvolta a quella totale. Sono quelle anime che con versi strazianti ma asciutti Pasolini ha definito arse dalla voglia di morte, e lo sono perché il male, l' ipocrisia, la falsità, l' ignavia dei loro simili risultano talmente offensivi e lesivi della loro sensibilità -che è sempre eccessiva e smisurata-, da far loro desiderare di non essere più.
La massa, generalmente, finge un sentimento di muta ammirazione -spesso deferente-, per il loro coraggio, ma soltanto a patto che si tratti di personalità "degne di nota" (personaggio -magari suo malgrado- pubblico) e che nessuno le chieda di emularne l' indipendenza di pensiero o di azione.
Le moltitudini amano sempre l' eroismo, il coraggio e lo stoicismo.
Purché altrui e iconizzabile.
Purché non si chieda loro di reclutarsi, di emularne l' impeto di libertà.
L' Uomo si attiva e si mobilita soltanto se intravede il proprio tornaconto, se può ricondurre l' altro a sé stesso, se subodora la consolante adesione ad una causa "comune": per te, degna persona, puro individuo ma socialmente irrilevante, non muoverebbe un dito, non sprecherebbe un pensiero.

Il pensiero liberamente espresso è pura utopia.
Non leggo più nulla, in nessun luogo e men che meno qui, in rete -nonostante sia ormai luogo comune giudicarla terreno potenzialmente fertile per l' espressione indipendente-, di davvero originale, di autenticamente personale.
Dov' è andato, se mai c' è stato, colui che ha sondato così a fondo sè stesso da osare esprimere una sua versione di fatti, una sua prospettiva, un suo giudizio, che travalichino eco di mostri sacri passati o presenti.
Dov' è colui che osa aprire il cuore e lasciarlo contemplare, nudo e crudo, senza il sostegno di alibi e riferimenti, senza rimando a qualcosa di già detto e già fatto...

Sta lì, solo, nella sua steppa, tra cristalli di ghiaccio. Lì, solo, per tutta la sua finita eternità, a sognare il suo incomprensibile od incompreso sogno.

Il lupo della steppa vaga solo, nel crudele gelato inverno, ringraziando la luna quando ha la ventura di mitigare quella sua ancestrale eterna fame con una piccola tiepida preda. Ed io, per quell' eroico atto di sopravvivenza, infinitamente l' amo.

6 commenti:

  1. un elogio all'individualità dell'essere così come la intendeva Nietzsche, quando afferma che lo spirito è l'impronta del proprio sangue nella scrittura...(e nella vita).

    ciao Morena
    Carla

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  2. il fanciullo allevato dai lupi è un mito (in realtà c'è la mano del Dio a preservarlo)
    privato del linguaggio, l'uomo non sopravvive come uomo.
    e il linguaggio è creazione sociale, indeducibile dalla pura singolarità

    Valter

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  3. @Carla:
    Sì, anche se egli anelerebbe all' appartenenza, anche se desidererebbe riconoscersi come componente di un branco, anche se convive con una costante nostalgia di casa, di rifugio, di madre. Troppe ferite glielo impediscono, i suoi nervi sono scoperti, dovrà imparare l' atarassia, per riconciliare il suo spirito con quello dei suoi simili. Kant e Nietzsche, in lui (in lei...),in una alchimia che pare impossibile, dovranno trovare il punto d' incontro.
    Un sorriso, mia cara. Morena

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  4. @Valter:
    Il mio lupo è smarrito: ha peccato di ingenuità, tra gli uomini. Essi erano e sono soltanto ciò che sono, non già quel che lui vagheggiava nelle sue notti incantate dalla luna: lui deve imparare ad accettarlo, ora. Deve perdonarli e perdonarsi. Che Dio lo aiuti.

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  5. Magnifica questa analisi. Magnifica. Giulia.

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  6. Grazie, Giulia.
    T' invio un sorriso.

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