Come ogni altro nuovo strumento, la televisione, entrata in scena a metà Novecento, inizialmente fu considerata una novità tecnica, un perfezionamento degli altri elettrodomestici in uso, di cui da alcuni anni si prevedeva la futura diffusione. Già dal 1907, infatti, il francese Édouard Bélin aveva effettuato i primi esperimenti di trasmissione delle immagini; in Inghilterra le prime trasmissioni sperimentali televisive risalgono al 1927; la Germania iniziò addirittura trasmissioni regolari di programmi nel 1935. Si trattava ancora, comunque, di una tecnologia rudimentale, ed il numero di apparecchi non superò mai complessivamente i mille.
Il vero debutto mondiale del mezzo coincide con l' inizio della programmazione negli Stati Uniti nel 1947.
Fu un successo senza pari nella storia dei media. In pochi anni la TV conquistò la metà del popolo americano, per diventare poi, in un crescendo senza arresti, mezzo universale.
E' stato Marshall McLuhan ad aver per primo intuito che la televisione -questo grande occhio innestato nella mente che guarda la realtà in modo del tutto diverso da quello che potrebbero i nostri propri occhi- avrebbe prodotto una sorta di mutazione del sensorio collettivo.
Le tesi di McLuhan -che amava parlare per aforismi, allusioni e frase apodittiche- alimentarono accesi dibattiti tra i sostenitori (per i quali egli era il profeta dei media, "il Freud dei mezzi di comunicazione") ed i detrattori, che lo consideravano un impostore ed un ciarlatano. In realtà, né gli uni, né gli atri, potevano dire con certezza di aver dato corretta interpretazione delle sue teorie. (Understanding media, 1964, il suo primo scritto importante).
Per McLuhan (appassionato di letteratura e scienze sociali, ma con una formazione di ingegnere -cosa che spiegherà i suoi riferimenti alla termodinamica, quando parlerà di una distinzione tra mezzi caldi e mezzi freddi-) ogni nuova tecnologia è un medium che amplia la facoltà che ha l' organismo di manipolare l' ambiente, appropriarsene, ed incorporarlo: la ruota è l' estensione del nostro piede, il libro lo è dell' occhio, gli indumenti della pelle, il circuito elettrico del sistema nervoso centrale. L' estensione di un qualunque nostro senso ha come conseguenza la modifica del nostro modo di agire, di pensare, di percepire il mondo.
I media, per analogia, hanno conseguenze sociali che vanno oltre anche gli effetti persuasivi delle comunicazioni di massa: "più che inculcare messaggi ideologici e veicolare contenuti condizionanti [...] hanno la capacità di alterare i frames percettivi, le coordinate di interrelazione tra la realtà fisica e sociale" (Bettetini,1997)
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Trovo che la teoria dei mezzi "freddi" e dei mezzi "caldi" (ispirata, come già accennato, ai principi della termodinamica), sia particolarmente interessante.
I mezzi "caldi", ad esempio stampa e radio, densi di informazioni, non lasciano molto spazio che il pubblico debba completare attraverso una partecipazione.
La televisione -sostenne Luhan, e come molti studiosi umanisti davano per scontato ma senza intuirne la rilevanza- , mezzo "freddo", funzionando in base allo scannering (scomposizione elettronica delle immagini che lo spettatore deve ricomporre) fornisce un messaggio incompleto che necessita di coinvolgimento ed integrazione da parte del fruitore, sì che "con la TV lo spettatore è lo schermo".
Se la radio, per esempio, come altri mezzi "caldi", ha l' effetto di acutizzare un senso ( in questo caso l' udito: siamo "tutto orecchi"), la televisione è "sinestesica", cioè coinvolge in una fruizione d' insieme più sensi (occhio-orecchio, in particolare). I mezzi "freddi" abbassano la soglia di significatività trasmettendo segnali che impongono una collaborazione dello spettatore per ricercare i sensi dei messaggi.
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Ma quali sono gli effetti di raffreddamento o riscaldamento in una cultura?
McLuhan cita qualche esempio storico.
L' introduzione nel Giappone feudale (società fredda e poco specializzata) del denaro (strumento caldo, con alto livello di informazione) ha sconvolto le gerarchie sociali preesistenti.
L' introduzione di asce d' acciaio al posto di asce di pietra (la cui fabbricazione era prerogativa dei maschi e costituiva, quindi, un loro status), ha provocato lo sconvolgimento della cultura aborigena astraliana.
L' esistenza di Hitler come dittatore fu resa possibile dalla radio, che diventò "una subliminale stanza degli echi" che risuonavano "di cori tribali e di antichi tamburi", in un Paese che ancora oscillava tra settori pre-moderni e forme di specializzazione ed organizzazione burocratica.
Nel suo "La galassia Gutenberg", descrivendo le principale tappe percorse dall' umanità nello sviluppo dei media, egli osserva che dalla comunicazione orale -unico medium disponibile delle società arcaiche e tribali la storia diventa possibile soltanto con l' adozione della scrittura, e le società, lentamente, subiscono un progressivo riscaldamento.
L' "uomo gutenberghiano" fa nascere il lettore solitario e ciò fa venir meno la circolarità della comunicazione orale, riduce fortemente la gestualità, l' importanza dell' ascolto ed i suoi effetti socializzanti, l' uso della memoria, dato che i ricordi vengono deposti nei cataloghi, nelle biblioteche, negli archivi.
L' introduzione delle tecnologie elettriche (estensione del sistema nervoso complessivo) pare inflettere la curva storica. Con la televisione pare avvenga il ritorno ad una cultura orale, gestuale, uditiva.
E' così che nasce il villaggio globale.
In una interpretazione sommaria e superficiale si potrebbe ritenere che nella metafora mcluhaniana del villaggio globale esistano elementi di ottimismo, che, in forza della facoltà insita nello strumento televisivo ad annullare le distanze, possano favorire progresso e benessere generali.
Al contrario, invece, esso rappresentava motivo di preoccupazione e tensione morale per McLuhan.
D' altro canto, se la radio, mezzo caldo, ha reso possibile il totalitarismo di Hitler, la televisione, mezzo freddo, può favorire il sorgere di una nuova forma di terrorismo che si giova del rapporto con i media.
"Senza televisione" afferma McLuhan "non vi sarebbe terrorismo. Potrebbero esserci le bombe, potrebbe esserci l' hardware, ma il nuovo terrorismo è software, è elettronica. Perciò senza elettronica niente terrorismo." Il terrorista che compie un attentato, di cui la televisione e i giornali non possono evitare di parlare, godrà dell' "immensa estensione del sistema nervoso collettivo" per far giungere il suo messaggio ovunque.
McLuhan, comunque, anche se consapevole dei rischi del mezzo, non considerava possibile il pericolo della videocrazia.
In un' intervista, a chi gli chiese che cosa ne pensasse dei politici che credono di poter usare la televisione per la propria propaganda e per i propri scopi rispose: "Sono così stupidi che non c' è nessun rischio a lasciargliela usare [...] La gente sicuramente si annoierà e non guarderà questi programmi. E la loro fatica sarà un boomerang contro loro stessi."
(elaborazione da scritti di Carlo Marletti)
Clamorosamente, su questo, ha sbagliato...
la mia idea che, modestamente, ho attuato è che non solo non bisogna subirla la televisione (e la radio e così i giornali), ma bisogna farla. Nel senso di entrarci, esserci. Per poi uscirne e "aiutare" gli altri a farla. Per capire i meccanismi e così"vaccinarsi". Funziona. Ma tutti gli educatori dovrebbero conoscere questi mezzi e farli usare in modo critico. Mentre alcuni spengono la tivù e subiscono anche il cinema... Il discorso è lungo...
RispondiEliminaOvviamente è proprio quel "farla", il problema.
RispondiEliminaTrovo comunque che sia importante, in linea generale, prendere coscienza delle riflessioni di McLuhan sui meccanismi occulti che agiscono sul nostro sistema nervoso. Non si tratta soltanto di scegliere un modo buono o cattivo di fare televisione (e già mi pare utopistico), ma di ricollocarla nel suo originale ambito (elettrodomestico tecnologico), consapevoli delle sue potenzialità fagocitanti.
per quanto mi riguarda trovo il computer ancora più fagocitante... preferisco il qi gong, le passeggiate al parco in buona compagnia...
RispondiEliminae tivù e computer... lassarei altrui!!!
Hai ragione, Cecco, anzi Guss; hai totalmente ragione e concordo, se ti riferisci, però, a coloro che usano, il web, come surrogato di rapporti sociali carenti od assenti e rimedio alla solitudine.
RispondiEliminaIl rifugio nella virtualità, inoltre, è anche una forma di astensione dalla responsabilità implicita in ogni scambio umano reale, a qualsiasi livello esso si voglia porre.
"Ma", qualcuno obietta, "io mi avvalgo di questo strumento non già per socializzare, ma per acquisizione e scambio di informazioni, confronto di idee, fini genericamente culturali". Credo sia un suo uso lecito, tutto sommato, anche se è evidente che, laddove esiste un retroterra umano -come nella gestione dei blog personali- risulta quasi inevitabile l' emersione di elementi quali sentimenti, simpatia, avversione, empatizzazione, vizi e virtù, propri delle persone che interloquiscono.
Aristotelicamente ci vuole la giusta misura...