domenica 3 luglio 2011

Guardati dalle idi di luglio

Si avvicinano le idi di luglio.

Chissà se questo processo di  pietrificazione arriverà allora al suo perfetto compimento...
Poi -se ci sarà un poi-, questa farfalla di marmo dalle ali cristallizzate conoscerà alfine, tutta intera, l' insostenibile pesantezza dell' essere e vi si adagerà per tutta la sua irrilevante eternità.
Oggi, e sempre più, ogni parola scende come lacrima corrosiva, in un idioma incomprensibile che non è più linguaggio, la cui funzione è più che mai oscura ed il cui fine pare ultraumano. Forse è così che discorre la morte.

Adeguarsi,
non le è stato possibile.

Provare a farsi amare, rendersi appetibile, simpatica, affabile ed un po' banale, come tutti, sarebbe stato un suicidio da noia auto prodotta, una gigantesca mistificazione.
C' è chi non riesce a soprassedere alle proprie stesse intuizioni e allora... perdonatela, se vi aveva dato l' idea di saper volare, ma lei del volo aveva soltanto la speranza, ed un ancestrale rimpianto: troppi libri, troppi sogni, troppa ingenuità, troppo amore compresso ed inesprimibile, alla perenne ricerca di parole non ancora coniate, e poi disperso goffamente nel vento della dimenticanza e dell' abbandono, troppi scrupoli e troppe cattive coincidenze.

Noi concepiamo sempre enormità. Enormità insostenibili. Per questo, siamo dannati.

Inossidabile durezza, solo espediente di sopravvivenza, e senza possibilità di fusione. Monade disperata.

Bisognerebbe fingere di credere al prossimo. Provarci, autoconvincersi. Un trainng autogeno di innocenti menzogne.
Ma si sentono, i loro autentici presupposti, le loro vere intenzioni, le malcelate velleità. Si sente, senza possibilità di fraintendimento, che i loro spunti, le loro azioni, i loro inviti, le loro dichiarazioni, percorrono sempre lo stesso sentiero narcisistico e sono un perenne ricondurre a sé stessi, attraverso la sottrazione, la rapina predatoria e rapace a danno dell' anima fanciulla e distratta che tentano di sedurre.
Sono incapaci di dimenticarsi e pretendono di far credere di saper amare qualcun altro in nome di un amore depurato dall' egoismo. Miserabili.

Ammiro la mia cagnetta, che sa essere tanto magistralmente e totalmente cane, senz' omissioni ed infingimenti. Sa essere il suo tutto.
E gli uomini, invece... Non soltanto non possiedono un briciolo di bene, ma neppure sono disposti ad ammetterlo ed amano interiorizzare la loro parte mille volte più di quanto inseguano la verità.
Come sono felici quando i loro simili li gratificano! E la gratificazione sta tutta nel pasto dell' orgoglio.
Ah, è deprimente osservare quanto siano triviali i loro appetiti.

Non ricordo più come ci si sentisse a far la madre, la moglie, la figlia, l' amica, l' amante, la studentessa, la lavoratrice. Non ricordo come vivessi nell' armatura dello status sociale, passibile di definizione, di riconoscimento immediato ed epidermico. Ora che ho consentito ai miei occhi di farsi microscopici, in un' ossessiva osservazione dettagliata dei particolari per permettere un' onesta definizione del tutto, ne ho solo constatata un' intollerabile vanità.
Ma del perenne, sottile, persistente disagio anche di allora, ho esatta memoria: era dappertutto, con chiunque ed in ogni cosa, come una sottile seconda pelle, sovrapposta a quella ordinaria e normale.
E' sempre stata lì, una placenta aderente, membrana invisibile e tenacissima, un marchio trasparente, una maledizione.


Nessun commento:

Posta un commento