lunedì 18 luglio 2011

L' ultimo Mercurio alato, ovvero Giordano Bruno, il Nolano -bestie, uomini, eroi-

Egli non aveva bevuto le acque del fiume Lete, come l' asino Onorio della Cabala, e ricordava perciò perfettamente anche quale animale fosse stato immediatamente prima d' essere Giordano Bruno: un superbo cigno. Così, ermeticamente, contribuiva alla scelta del proprio destino di carne e spirituale.

Salvador Dalì


"Come dunque accade che queste anime particolari diversamente secondo diversi gradi d' ascenso e descenso vegnono affette quanto agli abiti et inclinazioni , cossì vegnono a mostrar diverse maniere et ordini de furori, amori e sensi: non solamente nella scala de la natura, secondo gli ordini de diverse vite che prende l' anima in diversi corpi, come vogliono espressamente gli Pitagorici, Saduchimi et altri, et implicitamente Platone et alcuni che più profondano in esso; ma ancora nella scala de gli affetti umani, la quale è cossì numerosa de gradi come la scala della natura, atteso che l' uomo in tutte le sue potenze mostra tutte le specie de lo ente."  (Giordano Bruno, Furori)

Bruno aveva una concezione della vita universale, cosa che gli arrecò non pochi grattacapi nel tentativo di spiegare una determinata specificità dell' anima umana: se "forma" e "materia", "atto" e "potenza", "anima" e "corpo" sono unum et idem, dato che la materia è essa stessa vita, ci deve essere una differenza di grado da cui scaturiscano, simultaneamente, altri principi, come il libero arbitrio e il merito.
Questo scarto afferma alfine un primato del principio spirituale sul principio materiale in cui si palesa però una contraddizione con la concezione della "materia primiera del tutto". 
Consapevole degli elementi aporetici interni alle sue posizioni, Bruno secolarizza inferno e paradiso realizzandone la loro prospettiva direttamente a livello del corpo, in cui l' anima riceve il castigo o il premio nella vita in un eterno e quotidiano Giudizio Universale.
Perché le anime -dice il Nolano- non sono tutte uguali: esiste una fondamentale differenza tra le anime dei bruti e quelle degli uomini. Le prime, senza alcuna memoria individuale, si dissolvono nel seno della Vita universale nell' eterna vicissitudine a nuovi composti; le seconde, esaurito il loro ciclo, conservano memoria e identità.

Ed ecco lo specchio:
"Il spirito, poi, [...] quanto al suo essere particolare et individuale, intendono et intendo che si produce di nuovo come da un specchio grande e generale, il quale è una vita e rappresenta una imagine et una forma per divisione e moltiplicatione di sopposti parti resulta il numero delle forme, di sorte che quanti sono fragmenti del specchio, tante sono forme intiere, così in ciascune di quelle come era in tutto, le quali forme non patiscono divisione o recisione, come il corpo." (Giordano Bruno, Processo)

Nessuna differenza, quindi, fin qui, tra l' anima umana e quella dei bruti nell' universalità dello spirito, se non a causa di un privilegio che non trova riscontro in cause naturali e questo privilegio, in ultima analisi, è la capacità di conservare i ricordi -effettivo fondamento dell' identità  e dell' immortalità dell' anima individuale-.
In realtà, questa distinzione è insensata e insostenibile, ma necessaria alla rappresentazione che G. B. vuole fornire nel suo teatro della Vita: egli ha bisogno di spiegare il furore eroico, ossia un' esperienza che rimane tuttavia  profondamente umana in cui l' uomo esprime ogni sua potenzialità pur nella sua ontologica ed irrimediabile limitatezza, attraverso la lunga sequenza di cadute, sconfitte, vittorie, luci ed ombre, come succede ai "nove illuminati" dei Furori. " ... or vedenti, or ciechi, or illuminati [...]son rivali ora nell' ombre e vestigii della divina beltade, or sono al tutto orbi, ora nella più aperta luce pacificamente si godeno" fino a quando vengono "illuminati da la vista de l' oggetto in cui concorre il ternario delle perfezzioni, che sono beltà, sapienza e verità, per l' aspersion de l' acqui che negli sacri libri son dette acqui de sapienza, fiumi d' acqua di vita eterna".

"Il furioso è simile a quel giocatore che, impegnatosi in una partita mortale e senza speranza di vittoria, ottiene un risultato eccezionale, che è, simultaneamente, uno scacco irreversibile -secondo quella dinamica dei contrari che anima, come una leva fondamentale, ogni aspetto della realtà in un moto senza fine. Bruno visse l' esperienza del furore dandone una testimonianza straordinaria; ma proprio perché la descrisse comprendendola, dimostrò che egli era in grado di andare oltre, spezzando i confini dell' umanità. Sapeva di poterlo fare - e lo fece- perché guardando a fondo dentro di sé imparò a ricordare, ricordava le altre vite che aveva vissuto; e, a differenza del furioso, ricordando comprese di avere un destino che, sottraendosi all' oblio, si differenziava da quello di tutti gli altri 'fragmenti' del grande 'specchio' universale, i quali, ritornando donde sono partiti, dimenticano ciò che sono stati, quello che hanno fatto. Lo comprese perché interrogò la sua vita trasformandola nel vero banco di prova di sé stesso e della sua missione. E' il ricordo, la memoria, la prova 'sperimentale' della natura 'mercuriale' che Bruno scoprì di avere, ritrovando dentro di sé tracce di quello che era stato. In Bruno la memoria era ben più di un' arte, per quanto importante: era la via attraverso cui l' uomo riconosce, e assume dentro di sé la propria natura di Mercurio." (Michele Ciliberto, Giordano Bruno, Il teatro della vita)

Una filosofia che prescinda dalla vita, dalla biografia, per Bruno non potrà toccare mai la verità.

 

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