Non mi par sia vero che, nell' esistenza, il merito ed il valore siano, prima o poi, riconosciuti. E', anche questa, una delle tante promesse messianiche di cui gli umani hanno bisogno per superare la disperazione delle loro misere esistenze e delle loro sempiterne frustrazioni.
Potrei affermare anzi, senza tema di smentita e forse con ampio consenso (naturalmente tacito, perché qui, da me, vige uno spontaneo austero laconismo) che, semmai, l' equazione si realizzi al contrario, vale a dire che successo, benemerenze, popolarità spicciola, simpatie istintive, siano ispirate innanzitutto dalla mediocrità e, subito dopo, dall' ovvietà.
Ciò è dimostrato ampiamente anche dalla compagine politica nostrana, ma è cosa che viviamo costantemente fin nelle più piccole vicende personali e nei rapporti infraumani.
Ciò è dimostrato ampiamente anche dalla compagine politica nostrana, ma è cosa che viviamo costantemente fin nelle più piccole vicende personali e nei rapporti infraumani.
Quanto più un concetto espresso possa dirsi ovvio e banale, tanto più incontrerà ovazioni, commossa gratitudine (nei confronti di chi dà voce a pensieri che ci appartenevano ma non abbiamo avuto modo, capacità o voglia di esprimere, anche perché inconsciamente consapevoli della sua elementarità), entusiastico fideismo: pare che il suggello costituito dall' emersione attraverso la scrittura o l' espressione orale di una sciatteria qualsiasi, di un concetto dozzinale un po' moraleggiante, di un fatterello -tutto sommato- marginale, sia sufficiente, per la massa, a nobilitarli inducendola ad amare appassionatamente questi sedicenti oracoli di nulla.
Nei blog, poi...
I danni del populismo! Ove si soprassieda a quelli, ben tristemente noti e di immane portata, che hanno contrassegnato la politica mondiale del Novecento o, anche solo in casa nostra, il gradimento accordato dalle persone semplici al mito berlusconiano, basta osservare i comportamenti sociali qualunque e quotidiani, gli scambi da bar e all' edicola, le conversazioni estemporanee e leggere degli incontri casuali, qualsiasi altra occasione non sospetta di aggregazione, per rilevare quanto sia importante, per le singole persone, convenire su qualcosa, a tutti i costi ed a prescindere da.
Osservare che non ci sono più le stagioni di mezzo, che i politici son tutti dei manigoldi, che le suocere rompono le palle, oppure commentare notizie di gossip -anche becero-, cadere con voluttà nel tranello dei giudizi stereotipati bello-brutto, buono-cattivo, giusto-sbagliato, dà una sorta di ebbro piacere di appartenenza cui difficilmente ci si sottrae.
Osservare che non ci sono più le stagioni di mezzo, che i politici son tutti dei manigoldi, che le suocere rompono le palle, oppure commentare notizie di gossip -anche becero-, cadere con voluttà nel tranello dei giudizi stereotipati bello-brutto, buono-cattivo, giusto-sbagliato, dà una sorta di ebbro piacere di appartenenza cui difficilmente ci si sottrae.
Insomma, la moltitudine è di bocca buona, con tendenza all' ipocrisia, seppur non sempre grave, né sempre consapevole. E lo è in tutti i campi, dalla cultura all' Arte, dalla politica alla religione: ha bisogno di specchi e riconoscimento, cosa che spesso obnubila la capacità di giudizio e l' onesta critica, nonché -alla resa dei conti- la vera crescita personale che deve necessariamente essere condotta in perfetta, se pur stoica e pesante, solitudine. La moltitudine si accontenta, ma, soprattutto, essa non è, se non in una vaga idea totalmente inconsistente, ed il singolo, quando s' adopra per esservi compreso, non ne ricaverà che un effimero sentimento di comunione privo di vera sostanza ed effetti.
A me piace oltre ogni immaginazione confrontar solitudini: è proprio lì, nel non-luogo in cui non ci si può riconoscere che riconosco un altro umano, profondamente, ed è lì che lo amo davvero, nella reciproca mestizia che dà la vicinanza di accettare la fatale, insuperabile distanza.
Riconosco il mio simile perché, come me, è irraggiungibile ed incomprensibile. Anche se le solitudini che si guardano altro non possono condividere che lo stesso rimpianto di non potersi raggiungere. E' già importante che lo ammettano, senza pietosi infingimenti.
***
" L' uomo grigio baciò il fango, montò sulla riva senza scostare (probabilmente senza sentire) i rovi che gli laceravano le carni, e si trasse melmoso e insanguinato fino al recinto circolare che corona una tigre o un cavallo di pietra [...]
Il proposito che lo guidava, non era impossibile, anche se soprannaturale. Voleva sognare un uomo: voleva sognarlo con minuziosa interezza e imporlo alla realtà. [...]
Sul crepuscolo dello stesso giorno, sognò questa statua. La sognò viva, tremula: non era un atroce bastardo di cavallo e di tigre, ma queste due veementi creature ad un tempo, e anche un toro, una rosa, una tempesta. Questo molteplice iddio gli rivelò che il suo nome era Fuoco, che in quel tempio circolare (e in altri eguali) gli erano stati offerti i sacrifici e reso il culto, e che magicamente avrebbe animato il fantasma sognato, in modo che tutte le creature, eccetto il Fuoco stesso e il sognatore, l' avrebbero creduto un uomo di carne e di ossa.
[...]
Non essere un uomo, esser la proiezione del sogno di un altr' uomo: che umiliazione incomparabile, che vertigine!
[...]
Poiché si ripeté ciò che era già accaduto nei secoli.
Le rovine del santuario del dio del fuoco furono distrutte dal fuoco.
In un' alba senza uccelli il mago vide avventarsi contro le mura l' incendio concentrico. Pensò, un' istante, di rifugiarsi nell' acqua; ma comprese che la morte veniva a coronare la sua vecchiezza e ad assolverlo dalle sue fatiche. Andò incontro ai gironi di fuoco: che non morsero la sua carne, che lo accarezzarono e inondarono senza calore e senza combustione. Con sollievo, con umiliazione, con terrrore, comprese che era anche lui una parvenza, che un altro stava sognando."
(Jorge Luis Borges,Finzioni)
Ma se tale "distanza" produce "amore" la solitudine scompare, almeno nell'attimo del contatto... o sbaglio?
RispondiEliminaHai ragione, caro Luca: l' amore talvolta è consolazione della solitudine.
RispondiEliminaHesse: "Ti chiesi perché mai posi il tuo occhio/di buon grado nel mio,/come una stella vivida del cielo/in un oscuro flutto./Tu mi guardasti a lungo,/come si saggia un bimbo con lo sguardo,/poi mi dicesti con tenerezza:/Ti voglio bene perché sei tanto triste."