In realtà, S., amico mio, non parlavo per niente di noia, ma bensì di Noia. Quella sindrome leopardiana, sai, per intenderci, quel serpeggiante sospetto che dietro la reale struttura delle cose e delle persone non ci sia altro se non le proprie personalissime e quasi sempre infondate proiezioni sognanti e le illusorie speranze. Ciò, nell’ambito delle relazioni. M’è toccato in sorte uno sguardo microscopico e caparbio, poco propenso all’adozione di lenti ed alibi.
Puntualizzo questo perché, ad esempio, il senso di larga malinconia che ti può dare la contemplazione di un mare grigio, increspato da piccole onde bianche dissolventi e perpetue, mentre ti fai sferzare dall’aria gelida invernale sopra un piccolo molo, o un umido scoglio, non è noia, ma legittimo dolore languente –con una sua sacralità- del pensiero che avverte lo stacco tra la condizione umana e l’ atarassia della placida e terribile Natura. Quel dolore, quella tristezza, sono il risultato di un auto-cordoglio, l’evocazione della fatalità del nostro destino: commovente e pietosa fragilità.
La Noia è riservata ai momenti, invece, in cui ad ardere nel petto è un desiderio disperato di vivere. Ma non sai come si faccia date le premesse, il sicuro epilogo del buco nero della morte, le circostanze contingenti del tuo mondo, il materiale umano con cui ti rapporti e di cui disponi.
E tutto questo ti pare davvero troppo da sostenere, da fingere di non sapere.
Così, la tua anima si affievolisce, cerca la sua catarsi nel distacco, ed il distacco è Noia piena di rimpianto.
Adoro il tuo blog! Mi hanno conquistato soprattutto le citazioni a margine!! Breton, Beckett.. Io sono una "fan" di Nerval e Chateaubriand, per cui sono completamente conquistata!!
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