martedì 18 gennaio 2011

Distopici per colpa.

"Quando un uomo vestito dallo Stato ne insegue un altro cencioso, lo fa allo scopo di farne un uomo vestito dallo Stato. La questione si riduce tutta al colore: essere vestito di turchino è meritorio, di rosso è spiacevole."  (Victor Ugo- I Miserabili)

M' è capitata sotto gli occhi, per caso, questa affermazione del venerabile vecchio e mi scappa un' associazione d' idee delle mie (talvolta stralunate, sì, ma valli a capire gli arzigogoli del mio cervello: sono stata estratta alla vita dal forcipe...).

Penso, infatti, leggendo qua e là: quanto recriminiamo, accidenti..., ma stiamo considerando tutto?

Ed ora, che il barracuda globale sta divorando alla classe media i diritti acquisiti, le precedenti solide sicurezze, i posti fissi, le case di proprietà, le vacanze estive, le settimane bianche, gli elettrodomestici all' avanguardia, l' abbigliamento ogni tanto griffato, i cellulari annuali, e non saprei quante centinaia di altre cose ancora, ci si sente miseri e negletti e tanto, tanto infelici.
E' comprensibile: non si rubano le caramelle ai bambini e non si chiede la restituzione di ciò che si è spontaneamente dato. E' chiaro che, essendo il bisogno di proprietà insito nella natura umana, la sua improvvisa negazione provochi risentimento e dolore.
Così impariamo per bene che cosa comporti aver permesso che la nostra società umana diventasse davvero distopica, come Orwell ed altri narratori di fantapolitica avevano profetizzato a loro tempo.
Il processo di globalizzazione s' è egregiamente sostituito al classico tiranno, ma il potere occulto (o meglio, subliminale), ha funzionato nello stesso modo.
Ora tocca alla caduta libera, fino all' apocalisse prossima ventura...

A me, però, non dispiace in modo indifferenziato per tutti: io mi dolgo, semmai, per coloro che, pur avendo sempre avuto perfettamente presente la situazione, fin dalle sue prime manifestazioni ed avendo in perfetta coerenza tra idee ed azioni agito in contrapposizione ad essa -rifiutando innanzitutto l' omologazione dei desideri e dei modelli da quella proposti- si ritrovano a pagare ugualmente un prezzo salato, subendo le conseguenze di un gioco cui non hanno mai voluto partecipare.
E' una questione di giustizia.
Perché, in realtà, nessun sistema avrebbe potuto costringere chicchessia a vivere in un determinato modo, a fare determinate scelte, a tendere a quel certo livello di vita, senza la sua connivenza e la consenzienza.

Si vive benissimo di pane e fichi, c' insegnano gli stoici. Il livello del nostro piacere dipende sempre dalla nostra scala di Valori personali.
E' qui che i più sono stati buggerati: delegando la scelta di Valori ad altri, in special modo a coloro (i potenti) che dell' etica umana non si appassionano affatto.
E loro li hanno conciati per le feste.












3 commenti:

  1. C'è qualcosa che non mi convince nel tuo discorso, cara Morena. Sembra quasi che uno si presenti ai cancelli della società, con i suoi valori e disposizioni estestiche, e disponga dell'opzione di entrarci oppure no. E' solo in un simile scenario che ci si potrebbe stupire di coloro che accettano di entrare in un mondo di sfruttamento e materialismo, piuttosto che rimanere.. dove? In quale arcadia?
    E'tutto più complicato: le società non predispongono spazi "realmente" alternativi, noi ci nasciamo dentro e ci formiamo con la loro materia prima, spirituale e no, e le forme di tarda e relativa autonomia che si possono pur sempre ricavare all'interno di esse rappresentano forme di adattamento più avanzato, più scaltro, quasi sempre parassitarie. E' come per l'entropia: una diminuzione locale si fa sempre a spese di un aumento globale. Persino un vagabondo, un poeta mendicante magari, baserebbe la sua leggiadra esistenza sul fatto che tanti altri imbecilli accettino di alienarsi, per poi rilasciargli qualche briciola del loro misero "surplus". E le società stesse, da parte loro, coevolvono disperatamente e ciecamente (sballottate dagli interessi di parte) nel tentativo di riparare i continui scompensi. La storia è un caos, a guardar bene. Assume una figura, bella o brutta, soltanto entro un ipersemplificazione narrativa, la cui impotenza non mi stupisce affatto.

    Elio

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  2. Caro Elio, credo di avere ben inteso la tua osservazione,che sento sostanzialmente condivisibile e non trovo in conflitto con quanto cercavo di affermare nel post.
    Pur se, intimamente, l' immagine del "buon selvaggio" può conservare un suo innegabile fascino dal sapore perfino un po' romantico, sono consapevole che ciascuno di noi, nella più naturale delle condizioni, sopravviverebbe forse un paio di orette, dopodiché entrerebbe dritto nella catena alimentare... in qualità di pasto di qualche fiera.
    Sono altresì d' accordo sulla riflessione che, in una società come la nostra, l' eventuale scelta di una povertà "elettiva" e bohémienne, troverebbe comunque legittimazione in quella stessa società e ne costituirebbe semplicemente uno dei suoi aspetti e forse pure uno dei suoi elementi costitutivi in vista di un certo equilibrio.
    Infatti l' alternativa non sta nelle scelte estetiche e nella prassi dell' esistenza che ci tocca vivere, ma bensì nel grado di indipendenza di pensiero che ciascuno di noi riesce a salvare in sé e per sé stesso.
    Questo presuppone la presenza di due elementi in sincronia: la forza di sopportare il disagio di sentirsi idealmente "straniero" e diverso -pur senza entrare in una forma di eclatante collisione con la realtà in cui si è calati e con la quale si prova a coesistere-, ed il coraggio di non lasciarsi "istituzionalizzare" nell' intimo. Questo presuppone anche molte azioni e scelte pratiche, soprattutto nel campo partecipativo: nella quasi generalità delle occasioni abbiamo sempre la possibilità di NON fare, di NON aderire. Una forma di resistenza passiva, se vuoi, nella speranza (per quanto aleatoria) di vedere un mondo migliore, a misura d' uomo, quando l' uomo avrà capito quale sia il suo bene, sulla Terra.
    E' vero: l' utopia si rivela quasi sempre impotente. La distopia, però, ci allontana irrimediabilmente dall' umano.
    Il saggio Socrate che accetta la sua condanna a morte non lo fa perché si reputa colpevole, ma perché ritiene che una buona Società debba reggersi sulle Leggi. Similmente lo stoico moderno difende la propria integrità etico-morale e cerca di mantenersi rispettoso (ma non schiavo)delle regole del consorzio umano in cui ha avuto la ventura di appartenere. Certo: la felicità dovrà attendere che la consapevolezza totale maturi.
    Ciao, a presto.
    Morena

    P.S.: che spettacolo, la mattina, le Alpi Giulie innevate delle tue parti, che scorrono via percorrendo l' autostrada!

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  3. Mi trovo d'accordo con queste tue consideriazioni, ed anche sulla bellezza delle Giulie :-)
    Buon fine settimana Morena!

    Elio

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