lunedì 1 agosto 2011

Ad un ragazzo, forse Fedro, in attesa del suo Platone

Ma come faccio a dirti, ragazzo-ventiduenne-con- il- cane-di-nome-Ettore, che l' Iliade, che tanto ami, è il poema della guerra proprio perché parla della vita.
La credi un racconto di eroi, e com' è giovanile e fresca la tua ingenuità...
Se sarai abbastanza vicino agli dèi, da uomo,  sì da riuscire a vederla anche dall' alto, in ampia prospettiva, te ne renderai conto: dovrai guardare uno sterminato campo di battaglia, disseminato di moribondi gementi.
E' quella, la vita degli uomini.
Eppure, soltanto in quel caso potrai capire le lacrime di Xanto e Balio.
Non so se sia più crudele augurarti la visione della verità o l' illusione che io sbagli.

Io non ho cuore di dirtelo ora, e se pur ne avessi il coraggio tu non mi crederesti.
Troppa gente si trastulla con intellettualismi, ma la maggioranza degli intellettuali gioca con le idee e, quasi sempre, bara.
Tu diffida, diffida sempre.
Cerca da solo la radice della verità, scava, e, quando l' avrai trovata, sostienila, anche se peserà.

Così taccio, per ora, come sempre più spesso ho imparato a fare, conscia della doppia natura delle parole, che non valgono nulla oppure svelano repentinamente l' anima ed uniscono gli uomini dall' udito fine e scaltro.

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" [...]
Perché non supereremo niente, in noi e nella nostra epoca, se accettiamo, anche per poco, di dimenticare le nostre contraddizioni, di utilizzare nelle battaglie dell' intelligenza gli argomenti ed un metodo del quale poi respingiamo le giustificazioni filosofiche, se accettiamo di liberare l' individuo in teoria e poi in pratica ammettiamo che a certe condizioni l' uomo possa essere asservito, se accettiamo che ci si faccia beffe di tutto quello che rappresenta la fecondità e l' avvernire della rivolta in nome di quanto, al suo interno, aspira alla sottomissione, se infine crediamo di poter rifiutare qualunque scelta politica senza smettere di giustificare che tra le vittime alcune siano citate all' ordine della storia e altre siano esiliate in un oblio senza età. Questi accorti distinguo, per concludere, schiacciano quella miseria che si proclama con gran fracasso di voler servire. Non combatteremo, ve l' assicuro, gli insolenti padroni di oggi facendo distinzioni tra schiavi e schiavi.
...]
(Albert Camus, Révolte et servitude, "Les Temps modernes" giugno 1952)

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