Sono le 22 e 38 e me ne sto nel mio terrazzino metropolitano, al buio, con il portatile sulle ginocchia, per meglio fingere di stare, invece, nell' agognato abbaino di un paese qualsiasi purché diverso da ogni altro già conosciuto.
Io sono una che favoleggia sugli abbaini, da sempre, ed immagino che l' attrazione sia costituita da quel loro fascino indiscutibilmente bohémein, in cui pare si forgi ogni ispirazione artistica.
In realtà l' abbaino è terribilmente romantico -con quanto di velleitario, intimistico e perciò egocentrico, e talvolta infantile, l' aggettivo reca con sé-, ma ne sono perfettamente consapevole, ed io lo lascio licenziosamente comparire nei miei sogni ad occhi aperti anche per non consentire alla ormai consolidata adulta razionalità ed al disincanto della maturità di obnubilare interamente le escursioni dell' immaginazione.
Di solito nell' abbaino fantastico su conversazioni.
Mi immagino di provare delizia nel fare discorsi giusti con persone giuste, in un piccolo ambiente arredato con sobria eleganza.
Insomma: sogno un eden dialettico in cui ogni concetto espresso, o semplice pensiero guizzante, viene immediatamente compreso e decodificato dall' altro senza storture, in perfetta e facile empatia.
Il massimo del piacere sta nella reciproca consapevolezza di vedere arrivare a destinazione in perfetta integrità il messaggio.
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Favoleggiavo dunque, tra me e me, di salotti felici, quando ho notato, sul piazzale del marciapiede opposto qui davanti, una sequenza di incontri e comportamenti che mi hanno riportato alla reale sostanza di certi rapporti infraumani e sociali, per di più giovanili.
Ci sono tre ragazzi, poco più o poco meno che diciottenni, che ciondolano senza far nulla di preciso in un' area che non supera i quattro metri. Sono altissimi, come la maggioranza dei giovani d' oggi, cosa che conferisce loro un aspetto allampanato e goffo: quelle lunghe gambe, quelle lunghe braccia... dove metterle, che farsene? Parlano nulla, tra di loro; ogni tanto, laconica, una battuta con velleità di spiritosaggine su cui sghignazzare senza troppa convinzione.
Aspettano qualcosa.
Arrivano, in sequenza, con stridore di gomme, un altro giovane su scooter ed altri tre ragazzi a bordo di un' utilitaria.
Poco più in là stava una ragazza, sola, dall' aspetto semplice e un po' timido, che li raggiunge.
Il gruppetto continua a ciondolare a vuoto -pochissime battute stentate, risatine forzate-, la ragazza non la calcola nessuno e ciononostante rimane lì, come una statua, senza aprir bocca.
Fino a che, dal bagagliaio dell' auto emergono bottiglie colorate. "Han cambiato scelta", penso, "l' ultima volta sulla panchina del parco, i tre nascondevano nello zaino il Martini Bianco" .
Mi pare di riconoscere quelle vodka insaporite alla frutta che la macchina pubblicitaria presenta come seducente e fresco beverone alcoolico estivo che coloro che stan sempre a far feste sulle terrazze degli attici in mise da sera tengono disinvoltamente e perennemente in mano, tra ammiccamenti vari ed atmosfera di perfetta intesa: un clima da "vacanze romane" restaurato e moderno che dà la misura di ciò che si possa definire star bene ed essere à la page: è 'il divertimento'.
Si passano le bottiglie e bevono tutti, compresa la ragazza, dando frequenti e lunghe sorsate. Una, due, tre, quattro volte, e ancora, ancora, ancora...
La conversazione -prima praticamente assente- comincia ad ingranare, nel senso che aumentano sia la frequenza delle battute, sia il tono di voce.
La ragazza, evidentemente un po' più precaria sulle gambe, si siede sul sedile di destra dell' auto, tenendo la portiera aperta, continuando a sorseggiare dalla sua bottiglietta gialla. Qualcuno le rivolge anche la parola ... insomma, 'parola', ...: un bisbiglio, un atto di relazione, un' ammissione di presa di coscienza della sua esistenza...
"Cielo", penso, "quella roba avrà minimo 25-30 gradi, con quest' afa..."
Quando lo sballo è sufficientemente ingranato salgono in due auto (una era già da prima parcheggiata) e partono con sgommata verso non so dove -forse la Jesolana, dove annualmente i ragazzi di notte si sfracellano o finiscono nei canali di barena-, con frastuono di cattiva musica e finestrini aperti.
Com' è che mi fa tristezza...
***
Torno nel mio abbaino, a trastullarmi con le forse non inutili fantasie di un' adulta che ha perso tutte le rivoluzioni -d' accordo-, ma che la durezza e la tristezza delle disillusioni non hanno comunque cambiato.
Stante ciò che vedo, nella vita è la resistenza che fa la differenza.
Avrei voluto scriverla io questa cosa.
RispondiEliminaCiao,
RispondiEliminaforse sognano anche loro, magari senza nemmeno saperlo, sognano di comunicare e d'essere capiti, sognano d'essere "adeguati" e lo fanno con l'ausilio di quella merda.
@ Il Disagiato
RispondiEliminaTi ringrazio, amico G. Un segnale di fumo, da abbaino ad abbaino, è già comunicazione. :-)
@ giovanni
Ciao Giovanni, benvenuto.
Sono certa che sognino, nel loro intimo, con straordinaria potenziale intensità, ma che siano colpevoli di abbandonare ogni volo immaginario allo stato larvale e solitario, perfino 'vergognandosi' di provare sedicenti impulsi idealistici.
Sono triste per quella loro attitudine alla rinuncia ed al ripiego. La mia generazione, e quella precedente, ci han provato. Abbiam perso. Ma non aver cambiato il mondo non è stato, per qualcuno di noi, motivo sufficiente per addivenire all' apostasia di quanto credavamo bello e giusto: siamo rimasti umanisti, pur se un po' bastonati...