E' una sconcezza soffrire tanto. E per niente. Solo per sapersi viva, per misurare l' abisso sconfinato di dolore che il tuo piccolo corpo bianco riesce ad ospitare ed alimenta, sospiro su sospiro.
Hai paura.
Hai paura della mostruosa capacità di sofferenza, e sopravvivenza, di cui dai prova.
Non c' è ragione di sopportare, che cosa induce a farlo?
Qualche foto, beffarda, in cui sorridevi? Un fogliettino quadrettato con un disegnino di bimbo ed il tenero messaggio "ti voglio tanto bene, mamma".
Ah, sono trascorsi secoli da che hai provato un pizzico di gioia. Ora va evaporandone anche il già debole ricordo.
Gli uomini, le donne, i cani, gli alberi, ogni cosa è indifferente, pare impietrita, posta fuori di te, a misura della tua irrilevanza.
Il tuo amore rimbalza sulle loro dure superfici e si sgretola al contatto, rimane pulviscolo disperso nel vento.
Forse soltanto lui, con quel suo sguardo felino orientale, vede l' agonia della tua povera anima: ti fissa, con solennità ed insistenza e posa sulla tua mano i suoi ruvidi baci. Sei tu, gatto, la più umana delle conoscenze.
Getta nell' etere inutili parole: nessuno vorrà mai sapere se siano false o vere. Prova ad alleggerire il tuo osceno peso, l' incapacità di vivere, gli scherzi della tua sorte: forse, per un istante, ti sottrarrai ai morsi feroci della tua tristezza ed all' orribile disgusto che ti asfissia.
***
Massì: è colpa tua, e del tuo adagio, di cui conosco nota su nota, da sempre. E' colpa tua, dannato di un Rachmaninov, mortifero possente spirito d' un russo.
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