domenica 5 giugno 2011

La cavallina dall' ancestrale mantello baio

Nella vasta prateria dell' imperante nichilismo, scorazza una cavallina dall' ancestrale mantello baio, un poco azzoppata e dal nitrito sempre più afono, ma  con un' incessante prurito agli zoccoli che la costringe ad imbizzarrirsi e a scartare a destra e a manca, come fosse indemoniata, o eternamente puledrina, curiosa di scoprire quale orizzonte si celi dietro al successivo ostacolo di duna erbosa e piccolo cratere di terreno accidentato.
Mai recalcitrante, ma incapace di sereno trotterellare, schiuma e soffre a causa dei battiti di un cuore accelerato, che la condurranno, alfine, a ben più soffici pascoli celesti.

Questo mio, che racconterò, non è nichilismo cattivo ed avvelenato, niente affatto; non nel senso che vi verrebbe attribuito da certi vecchi tromboni di mia conoscenza, convinti di possedere "la giusta misura delle cose", l' equilibrio dabbene e razionale, la padronanza del senso del divenire umano, oppure, in opposti casi, anche da certi sciocchi individui vanesi, piuttosto frivoli e dall' intelletto semplificato.
Io sono stufa di sorprendere il loro sguardo perplesso ed accigliato posarsi sul mio volto in cerca della banalizzazione di un atto di scusa. Io non ho nulla di cui chiedere perdono, sebbene la mia vita non rientri nei loro cliché.

Tutti costoro hanno in comune alcuni elementi fissi:
1- non conoscono il peso delle privazioni materiali, hanno sostanze economiche sufficienti od abbondanti, certe famigliole ufficiali in regola con i range pubblici di normalità, le pance piene, passato e futuro intatti e non pesantemente erosi da circostanze assurde;
2- l' assenza di precarietà materiale o di sforzi per la conquista del livello minimo di decorosa sopravvivenza, consente loro anche una sostanziale saldezza psicologica ed emotiva, che se da un lato inficia la fantasia e l' immaginazione, dall' altro li rende sordi e ciechi -o disattenti- alle altrui situazioni oggettive devianti e difficili;
3- ad ogni bivio esistenziale, nei punti cruciali del loro percorso, le loro decisioni vanno sempre e decisamente in direzione materialistica ed utilitaristica, nonostante le loro teorizzazioni precedenti, che parevano evocare una predominanza, nella loro indole, di un elemento idealistico o romantico.

Ebbene: io non sono come loro, sono il loro opposto.
Convinta che, se pur ignorandone lo scopo, alternativa al vivere "sensatamente" sia il provare a vivere almeno in rispetto alla propria natura autentica. Che poi altro non è che la propria verità.
Non mi è mai riuscito di permanere per più del necessario (ed il necessario talvolta è costituito dal dovere di qualche responsabilità) in situazioni contraddittorie od ambigue, od anche solo deprimenti, per mera consuetudine sociale.

Come tutti, io vorrei essere un po' felice, ma quel che mi pare più vicino al concetto di felicità rimane la conquista dell' armonia tra pensiero ed azione, tra malinconia e gioia, tra dare e ricevere, tra dire ed ascoltare: roba mai riscontrata nei miei incontri.
La "mia" felicità non è piacere ma equilibrio. Seppur, nel contempo, io sappia che pure equilibrio sarà il Godot che attenderò fino alla fine del mio tempo. Non mi pare irrilevante il tentativo di non attendere con le mani in mano.

La felicità, quest' eterna fuggiasca  (oltre che riconoscerla come in assoluto il più ambito degli obiettivi umani universali), me la sono sempre immaginata puramente immateriale. La felicità, dunque, per me, è l' amalgama di un concetto, di un' intuizione, di una speranza ed ha natura aerea, priva di peso: è un' idea che nutre.

Coloro che mi accusano di nichilismo (mi auguro anche che pensino all' accezione decadente del termine, perché, come ho già scritto in precedenza, considero il mio onesto) si basano sulle azioni visibili che hanno caratterizzato le mie scelte di vita ( come il mio desiderio di non essere niente e nessuno in particolare in una società che non mi piace e la rinuncia ad importanti rapporti sentimentali o l' abbandono di situazioni consolidate), applicando così al loro giudizio un criterio di oggettività universale che invece non mi appartiene affatto.

Chi lascia una situazione in cui godeva di una relativa tranquillità economica, supporto psico-fisico, integrazione sociale ma che anche, nel contempo, rappresentava la negazione di un' ansia sentimentale e intellettuale -così condannate a mortificazione e frustrazione-, per ritrovarsi sola ed in difficoltà, è, ai loro occhi, una perfetta pazza e compiangeranno il suo ridicolo romanticismo, ma cionondimeno, in caso di interrogazione sull' argomento, declameranno che l' amore e l' idealismo sono al primo posto nella loro classifica dei valori.
La verità sta nelle loro azioni: i loro matrimoni sono, in effetti, ciò che la società borghese-capitalistica stabilisce che siano, vale a dire contratti a contenuto non prevalentemente ma soprattutto patrimoniale, e, per quel che resta, istituti privati ed interconnettivi di mutuo soccorso tra i coniugi e gli affini.

Chiedo: chi, tra noi, è il becero nichilista? Io che frantumo nei fatti i loro schemi di valori mercantili mascherati da velleità sentimentali o loro che definiscono valore un accordo legale?



4 commenti:

  1. Vorrei essere capace di tanta forza. Ovvero capace di conquistare «armonia tra pensiero ed azione, tra malinconia e gioia, tra dare e ricevere, tra dire ed ascoltare». Seguo il tuo percorso, qualcosa imparerò.
    Un abbraccio.

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  2. Un post di grande intensità. Bello.

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  3. @ Luca
    Imparo molto anch' io dai tuoi graziosi neuroni...
    Idem, e grazie. :-)

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  4. @ lo scorfano
    Il tuo apprezzamento mi dà gioia... e non per vanità. Ma so che lo sai.
    Un sorriso.

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