"Intenerita": non è assolutamente privo di senso sentirsi così? A sera, quando il metabolismo rallenta, gli stimoli scemano, la promessa degli imminenti spazi onirici seduce, i pensieri profusi in ordine sparso rientrano, pur senza alcun ermo colle così caro da fornirne l' alibi, ecco che mi liquefo nella tenerezza.
Intenerita dalla mia stessa mestizia, dalle stilettate crudeli che mi infligge la rassegna dei miei dolori antichi -al crepuscolo sempre a rapporto-, quando tornano i miei morti: il volto di papà ed il suo sudario, dopo diciott' anni in modo vivido come allora, seguito da quello di mamma, nella sua maschera di permanente tristezza, decisa a non elaborare affatto il lutto, ma renderlo faro per il suo personale commiato dal mondo, e gli amici perduti, gli amori finiti, il mio povero Dandy, le promesse di futuri eventi mai materializzati, le pagine di libri che hanno assorbito una lacrima: Lucignolo-asinello che esala l' ultimo respiro, Ivan Il'ič che prima della fine compiange sé stesso, quel povero cristo di un cane macilento e bagnato, che si allontanerà per sempre, preso a sassate dal rancore disperato di Billy...
"Dalle montagne soffiava un vento freddo, che fendeva le pendici occidentali del continente, dove la neve estiva sovrastava la linea degli alberi, e attraversava le foreste di abeti e pioppi e soffiava sulla pianura desertica più a valle. Aveva smesso di piovere quella notte; Billy arrivò sulla strada e chiamò il cane. Chiamò più volte, fermo in quell' oscurità inspiegabile. Non si sentivano rumori, tranne quello del vento. Dopo un po' si sedette sulla strada. Si levò il cappello e lo posò sull' asfalto davanti a sé, chinò la testa, si strinse il viso tra le mani e pianse. Rimase lì a lungo, poi il cielo a est incominciò a farsi grigio; poi si levò il sole vero, quello fatto da Dio, ancora una volta, per tutti, senza distinzioni"
(Cormac McCarthy, Oltre il confine)
Perché mi succede così spesso di provare una simile struggente malinconia misteriosamente composta di gioia pura, che pare fatta della stessa sostanza del semplice respiro -se armonizzato alle corde del mondo-, e di dolore sempiterno, pur dolcissimo, nell' infinita complessa ambivalenza di questa parabola d' umanità, talvolta così straziante?
Soffriamo dunque siamo. Ma che cosa, siamo? Che cosa?
Emozioni. Quando si ride, quando si piange, quando si (crede/pensa di) ama(re).
"Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicofisiologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi.
In termini evolutivi, o darwiniani, la loro principale funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell'individuo a situazioni in cui si rende necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza, reazione che non utilizzi cioè processi cognitivi ed elaborazione cosciente.
Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione autoregolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche). Si differenziano quindi dai sentimenti e dagli stati d'animo." (Wikipedia)
Odio pensare questo. Odio accettare l' eventualità d' essere una creatura emozionale.
Non è così? Non è riduttivo ed odioso, sempre, per chiunque, ritenersi una cosa simile?
La discriminante sta nel perdurare dell' emozione nel tempo, attraverso il filtro della coscienza di sé.
Ecco che una lacrima si fa dolore, un' attrazione amore o passione, un sorriso felicità, un' intesa amicizia. Ogni moto interiore (nervoso e mentale), per nobilitarsi ed emendarsi dallo status meramente fisiologico, deve subire un qualche processo evolutivo oscuro che molto ricorda il soffio di Dio.
Ora, io, lontana da qualsiasi Dio per oggettiva impossibilità a credere, mi arrovello e mi lambicco per sapere che cosa sia: una peplessa viandante in eterno stato di veglia.
"E' il riposo illuminato, né febbre, né languore, sul letto o sul prato.
L' amico né ardente né debole. L' amico.
L' amata né tormentosa né tormentata. L' amata.
L' aria e il mondo niente affatto cercati. La vita.
- Allora era questo?
- E' il sogno più fresco."
(Arthur Rimbaud)
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