sabato 21 maggio 2011

Che peccato

Quando, a sedici anni, gridavamo nei cortei femministi "il privato è politico" eravamo mosse da intuizioni ben precise, che ci derivavano direttamente dalla storia delle nostre madri, delle nostre nonne e delle nostre bisnonne, dalle loro vicende oscure, dai soprusi e dalle violenze subìti mai confessati, dalla loro condanna ad un' esistenza marginale e gregaria, dalla loro sessualità negata o strumentalizzata e ridotta ad un ruolo riproduttivo, e da un' infinità di altri aspetti, accuratamente nascosti sotto una pesante coltre di silenzio e d' umiliazione.
L' esortazione e l' incoraggiamento all' emersione del "privato" aveva, perciò, una duplice funzione: liberatoria, da un lato, per ciò che si riconduceva alla persona e le consentiva la constatazione di una sua similitudine ed analogia con  molte altre donne, e politica, in quanto assumeva valore di denuncia a partire dalla quale avanzare proposte ed idee di cambiamento. 
Non sto ad elencare la serie di sviluppi che, da questo primo proclama, ne derivò, ma, soltanto a titolo didascalico e limitatamente all' ambito della liberazione sessuale, cito la nascita di associazioni, consultori d' informazione e tutela della salute, Leggi a sosegno della maternità e contro la violenza alle donne, lotta all' aborto clandestino, strutture di supporto per le madri lavoratrici, ecc.

Chi, in odor di revisionismo, più tardi, ha voluto intravedere nello slogan la spettrale ed ammuffita  mano dell' ideologia o la similitudine con una politica del Grande Fratello, è, indubbiamente, mosso da malafede od affetto da ristrettezza mentale ed insufficienza critica. Ho letto perfino opinioni che lo giudicano illiberale: sappiamo che taluni "liberali" hanno l' accusa di "comunista" facile e scivolante, sono incontinenti ed irriflessivi e scappa loro sempre.

Oggi molto del nostro privato di cittadini e di persone che in troppi casi si ritrovano ad affrontare tutta una serie di nuove difficoltà e frustrazioni direttamente riconducibili a condizioni di precarietà lavorativa, incertezze ed ansie generalizzate, isolamento e nuove solitudini, avrebbe estremo bisogno di diventar politico, esattamente come allora, ma credo che sia intervenuta, nel frattempo, una sensazione di pervadente disillusione, una seduzione alla rinuncia, un po' indignata ed amara, anch' essa generalizzata e vaga, che ammalano l' anima indirizzandola all' egotismo ed invitano a preferire la propria angusta ma protettiva tana, ad un' agorà fasulla in cui  se non volano le pietre, alla fine della festa inizia già la dimenticanza.

Tutto risiede nei rapporti infraumani, che non sappiamo più condurre e che fino a ieri -più giovani e coraggiosi- osavamo.
Siamo noi, per primi, a non saperci più dare gratuitamente, a non saper concepire in alcun modo rapporti che non implichino per forza una istituzionalizzazione oppure un traguardo pratico.
Siamo noi ad aver dimenticato la gioia disinteressata della vicinanza senza specifici fini, della curiosità, anzi, della meraviglia, che ogni umano saprebbe instillare in un altro semplicemente offrendosi senza intenzioni, per il solito vecchio amore della conoscenza.
Ho perso tutti gli amici maschi, anche quando avrei avuto bisogno di sostegno morale a seguito di  difficili fasi della mia esistenza, nel momento esatto in cui hanno dovuto escludere qualsiasi ipotetica digressione "piccante" della nostra amicizia, e le amiche donne quando le mie ribellioni a modelli esistenziali che loro avevano accettato, le imbarazzavano.
Siamo diventati volgari, materialistici, edonisti in senso truce.  Ed anafettivi. Che peccato.



2 commenti:

  1. la consapevolezza di queste testimonianze
    è già una piccola vittoria.
    ti abbraccio mia cara,
    l'affetto non deve mai mancare dove il terreno dà ancora un accenno di fertilità.
    carla

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  2. Continuo a cercare qualche elemento permanente laddove, invece, non c' è fatto, atto, affetto, capaci di durare per un tempo più lungo di un sospiro. Allora, la sola autentica solidità non può che esprimersi in noi stessi. Ma a che serve?

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