lunedì 15 novembre 2010

Platone. Il Simposio. Ipotesi d' Amore.

Nella cultura occidentale moderna uno dei concetti meno approfonditi su cui soffermarsi piacevolmente ma in massima serietà a conversare è quello sintetizzato nella parola “amore”. Solitamente questo accade a ciò che è ormai definitivamente assimilato dal sapere generale, come succede, ad esempio, a determinati simboli della civiltà (termini o costumi), laddove essi risultino definitivamente metabolizzati e perciò “ passati in giudicato”, come una sentenza conclusa.

In realtà ciascuno di noi ne ha un concetto personale, o non ne ha alcuno: lo vive, o lo subisce, senza chiedersi perché o come mai sia capitato; in realtà, ogni individuo crede che quel che lui chiama “amore” sia l’ AMORE; in realtà, noi tutti, quasi sempre, non sappiamo esattamente di che si parli e ci ritroviamo ad appellare in quel modo alcuni suoi surrogati o particolari aspetti, come l’ innamoramento, il desiderio, la passione, l’ emozione, l’ attaccamento alla prole, la consanguineità, il bisogno, ecc.

Essere moderni non ci ha resi anche saggi: continuiamo a non sapere quasi nulla di più di ciò che si domandavano le teste più ferventi, le più curiose, le più vive, dell’ antichità a proposito degli umani sentimenti, che pur - per fortuna o purtroppo e con esiti o conseguenze più o meno nefaste-, regoleranno in eterno la nostra esistenza.

Nulla di più piacevole per l' intrattenimento dell' anima che ricordare Il Simposio di Platone.



Agatone invitò a banchetto gli amici per festeggiare una sua vittoria quale poeta tragico. Al simposio Erissimaco propose che ognuno dei convitati improvvisasse un discorso sull’ Amore e così, uno ad uno, fecero il loro, ed il primo a raccontare fu Fedro.

Fedro celebrò Amore come la divinità più antica e benefica: dopo il Caos, nacquero gli Iddii Terra e Amore, narra infatti Esiodo, mentre Parmenide lo designa come il più antico in assoluto e cagione di grandissimo bene tra gli umani. Spiega Fedro: “Perché quello che fa regola agli uomini, se vogliono vivere onestamente, non può essere ispirato loro né dalla parentela, né dagli onori, né dalle ricchezze, né da niuna altra cosa al mondo così bene, come da Amore.” Cita poi esempi di amore virtuoso che ha spinto l’ amante a dare la vita per l’ amato: la figliola di Pelio, Alceste, che muore al posto dello sposo ed Achille che vendica Patroclo pur sapendo anticipatamente che gli costerà poi la vita.

Il secondo a parlare fu Pausania, che distinse un Amore materiale, figlio della Venere volgare ( a sua volta figliola di Diona e Giove), da un Amore che spinge a sentimenti belli ed onesti, figlio della Venere celeste (a sua volta figlia del Cielo, e senza madre). “Ora ella si striga così questa matassa: l’ amore, per sé considerato, non è né bello né brutto, come dissi già, e non a caso; ma è bello quando si fa in maniera bella, quando in maniera brutta, è brutto. Brutto è quando malvagiamente si fa cortesia a un malvagio; bello quando si fa onestamente a persona bella. Malvagio è poi quell’ amatore volgare, il quale amando più il corpo che l’ anima , e perciò non essendo durabile come colui che di cosa non durabile è innamorato, tosto che sfiorisce la bellezza del corpo il quale egli amava, se ne vola via, pigliandosi gioco di sue belle parole e promesse. Quello, per lo contrario, che dell’ indole buona si innamorò, non già del corpo, rimane lì per tutto il tempo di sua vita, come colui che a cosa stabile disposò il suo cuore.”

Passò poi la parola ad Erissimaco, il quale, in quanto medico, prese spunto dalla medicina per dimostrare e sostenere l’ opportunità di “serbare sano l’ amore”, favorendo l’ amore onesto, che mira al bene con sapienza e giustizia, legando gli uomini tra loro e con gli dèi. “Perché, insomma, la medicina è la scienza degli amori dei corpi, amori di riempirsi e di votarsi; e colui che scerne in questi amori il bello dal brutto, è medico co’ fiocchi. Colui poi che li sa mutare, in guisa che in cambio di un Amore venga su l’ altro; e dove non è ancor nato Amore ed è convenevole che vi nasca, e’ ve lo sappia piantare; e quell’ Amore che c’è e non ci ha a essere, sappia svellere; costui è un artefice bravo…”

Seguì poi l’ intervento di Aristofane, il commediografo. Tra il burlesco ed il serio ricostruì fantasiosamente la creazione degli uomini, spiegando che l’ Amore –che è portatore di felicità- non è altro che la tendenza di due creature originariamente unite (e poi tagliate a metà da Zeus perché diventate troppo superbe ed arroganti) a ricostruire la loro interezza perduta. “Tanto tempo è dunque che l’ Amore ci s’è piantato in noi; l’ Amore che ci rinfranca nell’ antica nostra condizione; l’ Amore che, facendo a più potere di due uno, risana la natura dell’ uomo.”


Agatone sviluppò poi, con un discorso elaborato retoricamente, un elogio dell’ Amore, il più giovane e bello e buono degli dèi, completo di ogni virtù e privo di vizi, ispiratore dei poeti e di tutti gli artisti.
“… Amore è tenerello, non soltanto giovane… imperocché non cammina sulla terra, né sui cocuzzoli delle teste, che non son poi tanto morbide, ma sì entro alla più morbida cosa che sia al mondo si move egli e soggiorna; imperciocché pone sua stanza nelle anime e ne’ cuori degli Iddii e degli uomini; e neppure in tutti a occhi e croce, perché s’ egli s’ abbatte in anime dure, scappa via; e se morbide, ci rimane…”

Ma finalmente prese la parola Socrate, il più grande dei sapienti, che non fa mai affermazioni, ma induce chi parla con lui a trovare la verità dei concetti attraverso piccole interrogazioni. E’ così che dimostrò ad Agatone che Amore non è né bello né buono, ma desiderio di bellezza e bontà, di cui si sente, anzi, privo. Amore nasce da Abbondanza e Povertà, è a mezzo tra gli dèi e gli uomini, è filosofo e tende al possesso perpetuo del bene, in cui consiste la vera felicità. Istinto fondamentale dell’ uomo, a questo scopo, è quello della generazione, secondo il corpo o, come avviene in modo superiore negli artisti, secondo l’ anima. "Nel bel giovinetto, di cui si è innamorato, l’ amante viene formando la nobile anima con discorsi virtuosi. La bellezza ci fa così ascendere dal gradino più basso al più alto, cioè alla contemplazione dell’ Idea, che ci fa partorire vere virtù. “





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