Una situazione assolutamente tipica, innocentemente ipocrita, certo da molti di noi sperimentata nei rispettivi ruoli è la seguente:
" Ecco, per esempio, una donna che si è recata al primo appuntamento. Sa benissimo le intenzioni che l' uomo che le parla nutre a suo riguardo.
" Ecco, per esempio, una donna che si è recata al primo appuntamento. Sa benissimo le intenzioni che l' uomo che le parla nutre a suo riguardo.
Sa anche che le occorrerà prendere, presto o tardi, una decisione. Ma non vuol sentirne l' urgenza; si attacca solo a ciò che di rispettoso e discreto offre l' atteggiamento del compagno. Non percepisce tale comportamento come un tentativo per realizzare quelli che si chiamano "i primi approcci", non vuol vedere la possibilità di sviluppo nel tempo di tale condotta; circoscrive il comportamento a ciò che è al presente, non vuole leggere nelle frasi indirizzatele altro che il loro senso esplicito; se le si dice "Vi ammiro tanto" disarma la frase dell' intimo fondo sessuale, attribuisce ai discorsi ed alla condotta dell' interlocutore significati immediati che considera come qualità oggettive. L' uomo che parla le sembra sincero e rispettoso come il tavolo è rotondo o quadrato, come l' intonaco è celeste o grigio. E le qualità, così attribuite alla persona che ella ascolta, vengono in tal modo a cristallizzarsi in una permanenza di "cose" che non è che la proiezione nel flusso del tempo del loro presente.
Gli è che ella non è informata esattamente di ciò che brama; è profondamente sensibile al desiderio (fisico) che ispira, ma il desiderio nudo e crudo l' umilierebbe e le farebbe orrore. D' altra parte non troverebbe alcuna attrattiva in un rispetto che fosse soltanto del rispetto.
Per soddisfarla, le occorre un sentimento che si rivolga esattamente alla sua persona, cioè alla sua libertà totale, e che sia un riconoscimento di tale libertà. Ma occorre in pari tempo che questo sentimento sia interamente desiderio, cioè si rivolga al corpo, come oggetto.
Per ora, dunque, ella rifiuta di percepire il desiderio per quello che è, non gli dà nome, non lo riconosce se non nella misura in cui si trascende nell' ammirazione, stima, rispetto, e si perde interamente nelle forme più elevate da esso prodotte, al punto di non comparirvi più, se non come una specie di calore e di densità.
Ma ecco che le si prende la mano. L' atto dell' interlocutore rischia di cambiare la situazione imponendo una decisione immediata; abbandonare la mano alla stretta, è consentire da parte sua al flirt, impegnarsi. Ritrarla, è rompere l' armonia torbida ed instabile che fa l' incanto dell' ora. Si tratta di rimandare il più lontano possibile l' ora della decisione. Si sa allora quel che succede; la giovane donna abbandona la mano, ma non s' accorge di abbandonarla. Non s'accorge perché, per caso, avviene che ella è, in questo momento, tutta spirito. Trasporta l' interlocutore nelle regioni più elevate della speculazione sentimentale, parla alla vita, della sua vita, si mostra sotto l' aspetto essenziale: una persona, una coscienza. E durante questo tempo il divorzio del corpo e dell' anima è completo; la mano riposa inerte tra le calde mani del compagno: né consenziente né riluttante -una cosa-."
Gli è che ella non è informata esattamente di ciò che brama; è profondamente sensibile al desiderio (fisico) che ispira, ma il desiderio nudo e crudo l' umilierebbe e le farebbe orrore. D' altra parte non troverebbe alcuna attrattiva in un rispetto che fosse soltanto del rispetto.
Per soddisfarla, le occorre un sentimento che si rivolga esattamente alla sua persona, cioè alla sua libertà totale, e che sia un riconoscimento di tale libertà. Ma occorre in pari tempo che questo sentimento sia interamente desiderio, cioè si rivolga al corpo, come oggetto.
Per ora, dunque, ella rifiuta di percepire il desiderio per quello che è, non gli dà nome, non lo riconosce se non nella misura in cui si trascende nell' ammirazione, stima, rispetto, e si perde interamente nelle forme più elevate da esso prodotte, al punto di non comparirvi più, se non come una specie di calore e di densità.
Ma ecco che le si prende la mano. L' atto dell' interlocutore rischia di cambiare la situazione imponendo una decisione immediata; abbandonare la mano alla stretta, è consentire da parte sua al flirt, impegnarsi. Ritrarla, è rompere l' armonia torbida ed instabile che fa l' incanto dell' ora. Si tratta di rimandare il più lontano possibile l' ora della decisione. Si sa allora quel che succede; la giovane donna abbandona la mano, ma non s' accorge di abbandonarla. Non s'accorge perché, per caso, avviene che ella è, in questo momento, tutta spirito. Trasporta l' interlocutore nelle regioni più elevate della speculazione sentimentale, parla alla vita, della sua vita, si mostra sotto l' aspetto essenziale: una persona, una coscienza. E durante questo tempo il divorzio del corpo e dell' anima è completo; la mano riposa inerte tra le calde mani del compagno: né consenziente né riluttante -una cosa-."
(Jean Paul Sartre -L' essere e il nulla)
*-le sottolineature sono mie-
Questa donna è, palesemente, in malafede, perché permette in sé la coesistenza di due comportamenti contraddittori , godendo del desiderio che sa di ispirare nel compagno attraverso la percezione del proprio corpo e contemporaneamente trascendendolo mediante una sua osservazione distaccata, come se contemplasse qualcosa che non la riguarda direttamente e personalmente.
Duplicità dell' essere umano: concepire concetti simultanei che contemporaneamente accettano e negano la stessa idea, cosa che fa nascere un nuovo stato di coscienza, a sé stante, che pretende di lasciarli essere senza trovarne la coordinazione. La malafede -questo nuovo stato, appunto- non li coordina e non li sintetizza, perché non è possibile farlo.
Per cercare di meglio definirlo e di estenderne la comprensione, Sartre prosegue citando il titolo di un' opera di Giacomo Chardonne, "L' amore è molto più che l' amore": una celebre frase che, unitamente ad altre più sotto rammentate, è pervasa dallo spirito della malafede.
Nel titolo si vuole realizzare l' unità tra la fatticità (il corpo, i sensi, il contatto epidermico, ciò che è relativo all' amore come la gelosia, la lotta tra i sessi, ecc.) e la trascendenza, per tuffarsi pienamente nella metafisica.
Altro esempio, "Io sono troppo grande per me" (un lavoro di Sarment): il processo è inverso, ma simile, e parte dalla trascendenza per ripiombare nei limiti dell' essere di fatto.
Ancora, due affermazioni apparentemente in malafede, concepite appositamente in modo paradossale per suggerire un enigma, come "Egli è divenuto ciò che era", oppure, al contrario, "Tale che in sé stesso alfine l' eternità lo trasforma", rimangono volontariamente in perpetua disgregazione ed intendono alludere entrambi al fatto che io non sono ciò che sono. E' il ricorso all' idea di trascendenza che permette di sfuggire a ciò che si è.
"Provare che ho ragione, sarebbe riconoscere che posso aver torto", dice Susanna a Figaro...
In malafede, ogni possibilità di rimprovero è interdetta. La ragazza dell' appuntamento purifica il proprio desiderio carnale di ciò che ha di umiliante (bassezza dei crassi e bassi stinti), raccontando a sé stessa la menzogna d' essere puro spirito, esente da coinvolgimento (anima eletta e superiore).
La verità vera, allora, sta al centro di questo metastabile dualismo?
Noi siamo -voglio dire- una determinata cosa in noi (gli immediati desideri, gli istinti, le sensazioni), ed una certa altra cosa, talvolta opposta, con e per gli altri?
L' antitesi della malafede è la sincerità.
Pensano, i lettori, che si tratti di affermazione banale? Io spero di sì: infatti non significa ancora nulla, perché è necessario prima chiarirci che cosa, esattamente, la sincerità sia.
*-le sottolineature sono mie-
Questa donna è, palesemente, in malafede, perché permette in sé la coesistenza di due comportamenti contraddittori , godendo del desiderio che sa di ispirare nel compagno attraverso la percezione del proprio corpo e contemporaneamente trascendendolo mediante una sua osservazione distaccata, come se contemplasse qualcosa che non la riguarda direttamente e personalmente.
Duplicità dell' essere umano: concepire concetti simultanei che contemporaneamente accettano e negano la stessa idea, cosa che fa nascere un nuovo stato di coscienza, a sé stante, che pretende di lasciarli essere senza trovarne la coordinazione. La malafede -questo nuovo stato, appunto- non li coordina e non li sintetizza, perché non è possibile farlo.
Per cercare di meglio definirlo e di estenderne la comprensione, Sartre prosegue citando il titolo di un' opera di Giacomo Chardonne, "L' amore è molto più che l' amore": una celebre frase che, unitamente ad altre più sotto rammentate, è pervasa dallo spirito della malafede.
Nel titolo si vuole realizzare l' unità tra la fatticità (il corpo, i sensi, il contatto epidermico, ciò che è relativo all' amore come la gelosia, la lotta tra i sessi, ecc.) e la trascendenza, per tuffarsi pienamente nella metafisica.
Altro esempio, "Io sono troppo grande per me" (un lavoro di Sarment): il processo è inverso, ma simile, e parte dalla trascendenza per ripiombare nei limiti dell' essere di fatto.
Ancora, due affermazioni apparentemente in malafede, concepite appositamente in modo paradossale per suggerire un enigma, come "Egli è divenuto ciò che era", oppure, al contrario, "Tale che in sé stesso alfine l' eternità lo trasforma", rimangono volontariamente in perpetua disgregazione ed intendono alludere entrambi al fatto che io non sono ciò che sono. E' il ricorso all' idea di trascendenza che permette di sfuggire a ciò che si è.
"Provare che ho ragione, sarebbe riconoscere che posso aver torto", dice Susanna a Figaro...
In malafede, ogni possibilità di rimprovero è interdetta. La ragazza dell' appuntamento purifica il proprio desiderio carnale di ciò che ha di umiliante (bassezza dei crassi e bassi stinti), raccontando a sé stessa la menzogna d' essere puro spirito, esente da coinvolgimento (anima eletta e superiore).
La verità vera, allora, sta al centro di questo metastabile dualismo?
Noi siamo -voglio dire- una determinata cosa in noi (gli immediati desideri, gli istinti, le sensazioni), ed una certa altra cosa, talvolta opposta, con e per gli altri?
L' antitesi della malafede è la sincerità.
Pensano, i lettori, che si tratti di affermazione banale? Io spero di sì: infatti non significa ancora nulla, perché è necessario prima chiarirci che cosa, esattamente, la sincerità sia.
Ci sarebbe un'altra possibilità.
RispondiEliminaCioè che i "bassi istinti" sono tali solo perchè non (ancora) attraversati dall'amore personale, e dunque umiliano chi ne è oggetto. La giovane donna dell'esempio forse sta fantasticando che questo "trascendimento stia già avvenendo", e allora vi si abbandona. Poi magari si rende conto che niente ancora attesta che "sia già avvenuto", e allora si "anestetizza".
Il difetto di certo esistenzialismo è il dualismo corpo-anima, lo gnosticismo che ne tira le fila (come ha ben visto Hans Jonas, nel suo libro dedicato allo gnosticismo), da cui deriva la condizione umana intesa come un "esser gettato" nel mondo.
Il contrario (e l'antidoto), cioè la risoluzione del dualismo in una sintesi vivente, è il compito inesauribile dell'incarnazione.
valter binaghi
Dici bene, Valter.
RispondiEliminaPoi, magari, la nostra giovane donna era reduce da qualche precedente esperienza simile in cui però la sua partecipazione era stata onestamente integrale, forte di un' autostima solida e fiduciosa, da ancora inesperta navigatrice della vita. Il dolore della disillusione l' ha ferita, e lei ne è rimasta, sulle prime, stupefatta; indi ha affinato la tecnica della malafede descritta, da adottarsi fino a quando il percorso di maturazione della sua coscienza sarà sufficientemente pronto a smaltire le frustrazioni.