lunedì 18 novembre 2024

Diari -2-

Con la Destra al governo è ufficialmente emersa l'opposizione della corporazione giornalistica  "duri e puri nonché intellettualmente onesti", ospitata su la7.
 
Peccato che spesso qualche conduttrice in tacchi a spillo s'infervori asserendo, piccata, che le consulenze van legittimamente pagate, travolta da attacco di empatia (anche nei confronti di personaggi canaglieschi privi di scrupoli ed onore) che però non si manifesta mai  per i raccoglitori di pomodori con paghe da fame o manovali precari su impalcature fatiscenti.

Ora, non c'è nulla che mi orripili di più di questo nostro governo -sia ben chiaro- nei suoi contenuti, negli intenti, nella volgarità, nell'oggettiva miseria e pochezza dell'operato, nella disinvoltura a mentire, nella tragicomica nostalgia gestuale esercitata nei loro covi neri, ma è l'opposizione che mi dà il maggior sconforto, perché impossibilitata ad opporsi, limitata a battaglie su sfumature e pettegolezzi dei potenti.
 
"Cane non mangia cane", dicevano i nonni.
E del resto, sono o non sono, alla resa dei conti, tutti quanti liberisti?
 
 

domenica 27 ottobre 2024

Diari -1-

Quante lacrime, e risa, ed appassionate avventure, e stupore, e mortale noia, ed errori reiterati, prima di approdare alla consapevolezza di oggi, terrificante ed ultimativa: nascere altro non è, per chiunque, che spiccare il volo verso l'abisso.
 
In fondo lo sappiamo da secoli, filosofi e cantastorie antichi ci ammonirono per tempo, ma inutilmente. La nostra natura è immutabile, ci è impossibile trascendere noi stessi. Noi ci disprezziamo, ci uccidiamo, ci odiamo.
 "... non c'è nulla più degno di pianto dell'uomo, fra tutto ciò che respira e cammina sopra la terra..."
 
Ho perso qualsiasi desiderio dopo simile conclusione, ma è più elegante affermarlo con un bisbiglio: ci vuole pietà per gli altri fratelli di sventura, gli inconsapevoli, gli smemorati, i fragili, gli illusi, gli ottimisti, i conformisti.
Ed allora, così sia.

sabato 17 agosto 2024

Immenso strazio di un ferragosto

 
Il senso profondo del fallimento della tua vita si palesa anche se arrivi a concludere, per una sorta di pudore ed estrema autocritica, che vivere con il mal di testa ed i dolori cronici, causati anche da un lavoro usurante che non puoi smettere di fare, è pur meno peggio che trovarsi in un campo profughi palestinese o qualsiasi altro infernale luogo di contenimento di individui trattati come subumani.
Se non sei stato tanto sfigato o così poco lungimirante da farti massacrare dal lavoro usurante in senso popolarmente inteso e soffri ugualmente, hai un problema con lo spirito di adattamento al mondo oggettivo ed alle sue liturgie, che sono schifose almeno tanto quanto, ma la moltitudine non lo capisce e non lo sa e perfino gode di tutto quello che le hanno inculcato come godibile, tipo svenarsi economicamente per fare una settimana di ferie a Jesolo tra file di ombrelloni distanti due metri e mezzo l'una dall'altra, come nei cimiteri di guerra su prato americani.
Il tutto mentre incombe la terza guerra mondiale In attesa del finale repulisti, ti tortura la noia.
Certamente, nel caso della sofferenza per ragioni che sulle prime paiono  metafisiche, ci si deve sforzare nell'immersione nel proprio inconscio e verificare se il fallimento della propria esistenza non sia infine imputabile alla pretesa, sempre inespressa e sepolta fin dall'età della ragione e forse anche prima, di conquistare la felicità sovrumana in qualcuna delle sue diverse declinazioni e sfumature, dall'amore alla pace a quel che preferite.
Ti riconosci alla fine come mistica, scettica e dicotomica, portatrice di una personalità inintelligibile e ti rimane comunque la sensazione stupefatta che la tua vita e quella di tutti siano delle insulse o pure anche eccellenti farse, poco contando se ti sia accaduta la fatalità di  appartenenza ad un censo oppure ad un altro o quale livello raggiunga il tuo QI, o quanto la fortuna ti abbia arriso.
 
Essere affetta da un'incurabile male innato, la lucidità, è un vero strazio e la condanna pratica è l'isolamento, nonostante non si tratti di malattia infettiva, anzi. 
Paradosso.
Ora, nonostante la lucida disistima di sé e di tutta l'alterità, l'isolamento è oggettivamente doloroso ed attenta in modo diretto alla naturale indole della specie, che ha reso il linguaggio "la casa dell'essere".
Si dice anche che troppa malinconia uccida (la mia storia familiare lo conferma) ma dovrò farmene una ragione, però, perché comunque non esiste alternativa.
A me non piace niente di quello che piace a così vaste moltitudini e, giacché in ogni caso trovo semplicemente disgustoso che la discriminante per poter accedere alla vera bellezza sia oggi più che mai il possesso di denaro, rinuncio alla fruizione del bello che le grinfie grossolane del mercato continuano a lordare.
Speravo almeno di riuscire a finire i miei giorni in Patagonia, a contemplare la steppa ed i ghiacciai, ma da quando ho letto su Wikipedia che un Benetton è il maggior proprietario terriero del luogo, mi accorgo che l'appuntamento con il disincanto non è procrastinabile in eterno e che non esiste via di scampo per chi si ritrova suo malgrado per dotazione di nascita, come me, in precario oscillante stato di scettico misticismo.

 
 

lunedì 26 febbraio 2024

Tipi - 30 /Cafard

Probabilmente quando si giunge ad abdicare al linguaggio e non si soffre di alcuna precisa patologia scientificamente catalogata, l'incrinatura generica nei rapporti umani e sociali che prima si avvertiva in modo timido ed ansiogeno, spesso accompagnata da un non bene sondato senso di colpa, diventa abisso e può scatenare un potente desiderio di totale dissoluzione e sottrazione come estremo atto di sollievo e fuga.

E' inutile insistere o sforzarsi dolorosamente in improbabili elucubrazioni per trovare un qualche senso all'inanità generale oggettiva delle azioni e degli scambi verbali possibili nel sistema di vita in cui ci si ritrova intrappolati. E' inutile perché allo stato delle cose non esiste alcuna alternativa reale possibile capace di  rispettare nel contempo la propria coscienza con il senso di giustizia incluso e le proprie esigenze materiali.
La felicità sta nella condivisione di un'idea, un pezzo di pane, un tetto sulla testa, un abito con cui coprirsi, solidarietà umana con cui scaldarsi ma al contempo con  la capacità lucidissima di accettare la propria solitudine in un'aporia vissuta eroica ed eccelsa. 

La ricchezza come modello, i ricchi come tipo sociale, il potere come fine, mi fanno vomitare, quasi letteralmente: i presupposti e le conseguenze della loro esistenza sono sempre dei crimini. Non vorrei vivere neppure un solo istante in un simile stato e la cosa mi fa sorridere dato che richiama un messaggio francescano con cui io, atea, non ho nulla a che fare: non induco al misticismo. 
Quel che per me è ributtante scandalo per troppi altri è malcelato unico desiderio, anche fra gli ultimi. 
La differenza tra l'ideale religioso e quello comunista sta nell'accettazione supina da parte del primo della fatalità della nascita e non già nella denuncia delle responsabilità del mantenimento di un sistema di sperequazioni sociali frutto di precise strategie.
Comunque quella è un'altra questione, anche se rimane la causa e l'effetto dell'alienazione.
 
Ormai la peristalsi intellettuale e culturale è quasi conclusa: serve un poco di coraggio per guardare il preludio del vuoto, inevitabile, che costituisce l'essenza stessa di ogni vita.

Stanno invece in ogni luogo a berciare litigando su concetti insulsi e sempre frammentari in un'apoteosi di esibizionismo che a me imbarazza, nella più assoluta ignoranza della risibilità di ogni affermazione.
Che si tratti di secolarismo, di religione o di psicologia l'effetto non cambia.

Forse è malattia: cafard, il male dello scarafaggio. Malinconia e tristezza, pensieri cupi che non danno tregua, capaci di oscurare il sole.
E' disperato, impossibile amore per la vita solo sognata.



venerdì 15 settembre 2023

Piccola anima smarrita e soave - 12- "symply man"

Dev'essere una prerogativa spiccatamente americana di un certo momento storico, poi trasposta in testo e musica da più di un rockerman, quella di ricordare insegnamenti fondamentali preziosissimi ed altamente etici ricevuti nel corso dell'infanzia dai classici maestri spiriti-guida che abbiamo da bambini: una madre, un padre, un nonno, una nonna. 
Gli Americani, d'altronde, sono campioni planetari della predica e del moralismo quasi sempre spiccio, ipocrita e dozzinale.
Inciampata per caso nell'ascolto di "Simply man", dei Lynird Skynird (ché mi ritrovo in fase di rock nostalgico), il nonno raccomanda al nipote di perseguire solo la semplicità, non corrompersi rincorrendo denaro ed ambizioni, preservare il candore della propria anima. Di testi analoghi ne troveremmo a palate perché nulla è più facile del blaterare a vuoto ed evocare purezza di intenti anche quando di fatto ci si immerge volontariamente fino al collo in una cloaca.
Ricordo invece quel che mi dicevano i miei, di nonni, quei poveri cristi giocoforza  materialisti. Mi dicevano "Magna 'more, che ti xe verde", giacché parevo loro sempre emaciata anche quando, nella fase adolescenziale, ero al contrario burrosa ed in qualche punto rotondetta. L'invito all'opulenza ed all'eccesso è proprio di chi ha sperimentato carenze e privazioni e loro di appetiti mortificati ne avevano fatto amaro esercizio. 
In fondo, e comparabilmente, è molto più frequente che lo schiavo aspiri a diventare un padrone piuttosto che desideri anche per gli altri un mondo senza schiavitù: l'egoismo umano è congenito, la meschinità è una dotazione della nostra stirpe che molti giudicano indispensabili alla sopravvivenza: Darwin docet, buon per loro.
Personalmente non concedo supremazia ad alcun aspetto particolare della vita: le affezioni materiali e quelle immateriali distruggono con la stessa veemenza corpo e spirito, sia che convivano sia che non convivano nel medesimo individuo.
Se la questione non fosse tanto relativamente irrilevante sarebbe semmai da chiedersi quale sia più solerte e rapida nell'ucciderci.

Ora, ora che ho visto tanto, che ho vissuto abbastanza, ora che ho subito la rovinosa sconfitta nella pretenziosa crociata della ricerca della felicità, prendo atto, con grande lucidità, che la sola certamente reale finalità di una vita è la morte ed il resto è interamente illusione o personale, troppo personale, interpretazione, compreso il piacere.
E' l'insostenibile inutilità dell'intelletto.
 
 

lunedì 22 maggio 2023

Appunti antropocentrici -15-

Ogni cosa è ferocemente squallida, fin l'aria, che sa di generale catastrofe. E non c'è una sola persona che io conosca pacificata con il mondo od almeno con se stessa.

Eppure lo spettro che incombe e minaccia queste nostre miserevoli vite non è nuovo e ci sovrasta da tempo immemorabile: lo avvertiamo solo ora che raggela le nostre personali ossa, dopo averne già sbriciolate milioni di altre, appartenenti a quelle astratte figurine che rappresentano il nostro prossimo, vicinissimo o lontano che sia: siamo mortali, ma tu pensa! Eccolo, lo sgretolamento di ogni pretesa di senso, il disfacimento dell'aspettativa di minimo decoroso futuro che da bravi aspiranti borghesi consideravamo legittima!

Il futuribile, ora, sposa il suo sinonimo fantascientifico. Domani improbabile.

Avessero avuto, poeti, maestri, preti e profeti, la decenza di non inventare le parole amore, umanesimo, fratellanza, libertà! Avessero avuto il pudore di non alimentare nelle anime ingenue utopie ed illusioni bugiarde: l'uomo non ne è mai stato all'altezza e non le persegue con convinzione. Non sa che farsene dell'aura di santità o del rendersi irreprensibile: non nell'anonimato, non se non risulta spendibile, non senza un ritorno.

La gente, in fondo, poi,  non è buona, nonostante l'ostentazione di buonismo nelle grandi occasioni ed ha l'aggravante incresciosa d'essere pure, per la maggioranza,  stupida. 

*

"Che hai, perché fai così, perché non cogli che la negatività dell'esistenza? Il pettirosso saltella e fa brevi graziosi voli tra le fronde ed il pesciolino nel torrente pare una saetta d'argento: non è una delizia? Hai la Natura." mi diceva lui.

"Ed è la Natura che mi ha resa così. La Natura, non già la Cultura. Cado nel nulla da quando esercito il pensiero. E' il nulla che incontro nelle strade affollate, negli scambi sociali, nel buio della notte. Il sospetto, atroce, è che sia l'unico onesto approdo possibile. Forse la morte è il vero premio, giacché neppure il ricordo delle passioni di un tempo, gli amori, i trasalimenti, le sporadiche tregue di bellezza, mi hanno guarita. Sempre più ignoro la ragione per cui la specie cui apparteniamo abbia sviluppato tanta sofisticata intelligenza. Non ne ravviso né l'utilità biologica alla sopravvivenza, né quella più aleatoria al raggiungimento della felicità, perché nel primo aspetto ha consentito la nostra eccessiva proliferazione, che si tradurrà in un danno, e nell'altro ci ha reso mostri di sofferenza metafisica." gli rispondevo.

Ricordo, ma flebilmente, come sono stata e non sono più e come chi mi conosce da sempre ritiene erroneamente io sia ancora. O forse hanno più ragione di quanta ne abbia io nel giudicarmi, perché ritengo pur sempre vero che l'indole è immutabile ed eterna nel profondo.

Sfinimento psico-fisico, fisico decadimento, mi lasciano stupefatta. Ne ero impreparata ed ho permesso che mi soverchiassero.

D'altronde, se io non fossi sempre io, avrei rinunciato anche a questa logorante ribellione ed accettato l'assenza di valide alternative non egoistiche al presente inutile dolore. Invece non posso. L'autocritica, feroce, trattiene almeno le mie dolci utopie sentimentali del tempo in cui guerreggiavo armata di sogni e valori supremi.

Va bene, ho fallito. Sconfitta su tutti i fronti, non ho conquistato né solide realizzazioni materiali per vivere domani dignitosamente, né la consolante edificante presenza di un affetto compatibile, un poco a me simile, empatico, capace e degno di amore. Non avrò accesso al futuro, scamperò alla più degradante vecchiaia.

E bisognerà che io impari la maggiore benevolenza verso me stessa perché intuisco profondamente la verità dell'affermazione del buon Camus che recita "... per suicidarsi bisogna amarsi molto..."

 

mercoledì 28 settembre 2022

Appunti antropocentrici -14-

 

Astenica, insonne, martirizzata da dolori cronici ed acuti tra cervicalgie e lombalgie, misantropa di fatto pur se compassionevole verso gli altri -che mi appaiono dei disgraziati tanto quanto lo sono io-,  devo arrendermi e decretare la depressione, nonché la senilità, anche se, per essere estremamente chiara, non m’interessa dissimulare né questa né quella e trovo entrambe indesiderabili ma almeno eroiche.

Se ne prenda atto: la soglia della percezione del  dolore, con questa patologia, può abbassarsi in modo paradossale e rendere la vita una specie di tortura.

La definizione nonché la spiegazione della malattia depressiva è un cane che tenta di addentarsi la coda. Nasce dall’eccesso di stress che poi si alimenta a dismisura, tra neurotrasmettitori malfunzionanti e confusi e cortisolo fuori controllo in completo cortocircuito,  sovrapponendone strati a strati che neanche la Torre di Babele.

Singolare missione quella dello stress: buono o cattivo, ti sa spronare  a reazioni salvifiche od anche  causarti un bell’infarto, ma non lo influenzi a suon di ragionamenti e persuasioni della volontà, così che se la sua origine è l’oggettiva precarietà della tua vita e del lavoro e l’orrore per le scelte di chi manovra con l’arroganza del Potere le nostre esistenze non puoi che subirlo e soccombere.

E poi davvero esiste un’alternativa che non sia la fuga per chi, dotato di ciò che dovrebbe costituire comune patrimonio umano, vale a dire quelle sensibilità ed empatia che nel sedicente eudemonismo moderno coatto  sono surclassate ad affezione patologica, suo malgrado precipita in quest’abisso?

No che non c’è.

Non c’è.

La maggioranza di coloro che conosco  vi ovvia assecondando un processo di ottundimento emozionale che corrisponde alla perdita di sé ed all’appiattimento su modelli comportamentali preconfezionati, tanto da indurmi alla classica pleonastica domanda: che senso può mai derivare da un contatto con siffatte maschere?

E perché il luogo comune la vuole sempre più malattia sociale ed io invece ne registro una variante che pare endemica e comporta in primo luogo l’esasperazione del narcisismo più sfrenato e stupido, sì da non riuscire in alcun modo, neppure in questo caso, a trarre il minimo sollievo di un’appartenenza, per quanto nefasta e dolorosa?

L’empatia, ecco, è una iattura ed una benedizione nel contempo. Si è empatici d’istinto, per nascita, o non lo si è. Se lo si è non c’è scampo: moriremo mille morti altrui, piangeremo oceani di lacrime, conseguenze e cicatrici affioreranno presto, a vent’anni inizierà un’inesorabile e rapida vecchiaia, a sessanta avremo esaurito ogni energia ed ogni giorno sembrerà verosimilmente anche l’ultimo. Il cordoglio per le innumerevoli sciagure, le più intollerabili quando derivanti da responsabilità e colpe umani, peserà come un macigno.

Restano l’accusa e lo sdegno, la stoica consapevolezza che la sofferenza almeno non sia eterna e contagiosa e muoia con noi.

Banale è la sofferenza, banale è pure la felicità, nulla è così pregnante da recare un minimo di soddisfazione ed il prezzo di entrambi è comunque la solitudine.

La noia di queste mie esternazioni è pregna di consapevolezza: avrei dovuto seguire con diligenza i consigli di Baudelaire. Inebriatevi, storditevi di passioni, ficcatevi ben dentro un qualsiasi sogno, perché la vita, altrimenti, è intollerabile.

Avevo un solo desiderio: riuscire a ritirarmi dal “mondo”, sottraendomi ai suoi usi ed alle sue logiche, rinunciando anche alle più innocenti velleità, lasciandomi vivere decorosamente ma umilmente.

Non mi rendevo conto che l’estrazione ed il destino anche del nuovo proletariato rendono questa un’aspirazione di lusso, da frustrato borghese.

E così è, anche se non vi pare.