venerdì 1 luglio 2011

Storiella da volgo

Sto aprendo una piccola attività artigiana, perché ho dovuto imparare un mestiere, ex novo, per sopravvivere, e perché non avrei comunque avuto nessun' altra scelta alternativa, stante un sacco di varie considerazioni e presupposti.
Stante, appunto...
La mia storia la ometto -troppo complicata ed intima da spiegare e poi lo sappiamo bene tutti che a nessuno importa niente di nessun altro e che in questi blog di contenuto vagamente umanista si scrive praticamente per sé stessi e non si simpatizza che con chi ci somiglia-, ma ciò che è, invece, più interessante, è parlare della mostruosità della macchina burocratica che stritola chiunque si avventuri in una simile impresa.

Le carte mi stanno togliendo l' aria, ma non solo per il loro ingombro: pare abbiano anche una specie di vita propria, di manìe, scherzetti, vizietti, umori, antipatie e simpatie, linguaggio (sempre differente a seconda dell' ente che le richiede), fisica prestanza.
Vi sono, nei loro movimenti, varie cadenze, danze, leggiadri volteggi: lentezza della loro trasmissione, ricezione, registrazione, ritorno al mittente per altra via...
Le carte, inoltre, sono anche smanettate dai giocolieri, ovvero i dipendenti degli uffici emananti.

Chi si arrischia a stipular contratti di utenza per via telematica o telefonica è perduto: deve anche tener in conto che, all' altro capo del filo, l' operatore potrebbe aver un udito debole, o la linea potrebbe distorcere le voci, o potrebbe non conoscere la parola ed il nome che gli scandisci sotto dettatura con puntiglioso esercizio di spelling.
E' così che la denominazione della mia ditta è diventata, per l' Enel, da "Nel giardino di Esopo di..." , "Nel giardino di Eopo", che  vattelapesca a capire chi accidenti sia mai stato; ma il problema non sta nell' errore, bensì nel tentativo di farlo correggere.
Nulla è più diabolico di uno strafalcione ufficializzato in fattura: pare inamovibile, non si scalfisce -manco fosse diamante-, e sto pensando di scrivere un testo di allegorie zoofile che titolerei " Nuove fiabe di Eopo", pur di farlo esistere.
Esagero un po'? Può anche essere,  ma io ho un pessimo carattere, su queste cose, e mi indigno con facilità...

Se poi, in una vita precedente (com'è invece stato miracolosamente per me) non si è esercitata una professione nel campo fiscale e  commercialistico, il futuro artigiano dovrà capire la sottile differenza tra "denominazione" e "ragione sociale", tra sede ditta individuale, residenza e recapito...

In altri contratti d' utenza, esempio con l' acquedotto, alcune richieste sono inintelligibili, e lo rimangono anche dopo aver chiesto delucidazioni all' ufficio.
L' esempio di arcano è: "indicare il consumo medio di m3".
Chiedo delucidazioni direttamente all' impiegato che sta accettando la mia domanda di attivazione: "Non ho la benché minima idea di come si misuri l' acqua. Le spiego come funzionerà la mia attività, e lei, cortesemente, mi aiuti a quantificare". 
L' impiegato ascolta, poi risponde: "Boh, chissà..., mettiamo '1'".
Io incalzo: "Ma, scusi sa, giusto per avere un termine di paragone qualunque, qual è il consumo minimo di una famiglia media di quattro persone che si presume facciano ciascuna almeno una doccia al giorno?"
Egli, perplesso: "Mah..."
Io -senza speranze (tra l' altro ho atteso un' ora prima di aver accesso allo sportello) ma decisa a vendere la pelle a caro prezzo...- "E che succede se mettiamo '1' e poi invece il consumo sarà '5' ?"
Egli: " '1' lo pagherà sempre e comunque: è una tariffa fissa. Ciò che eccederà lo pagherà, eventualmente, in aggiunta. Ma a tariffa maggiorata."
"Ah, ecco..."

Intanto la piccola povera neo-artigiana dall' incerto futuro paga l' affitto del locale -che sta ristrutturando a proprie spese- e febbrilmente studia gli incastri dei tempi per conciliare e programmare carte, scadenze, pagamenti anticipati, normative comunali, ottenimenti nulla-osta del settore, permessi.
Ed aspetta: il tempo del ritorno del contratto controfirmato che si è spedito firmato -in un bisticcio che non è solo linguistico-, notizie sulle attrezzature -molto specifiche- ordinate, perché dovranno superare un esame dell' Ulss da cui dipenderà una licenza per lavorare, di beccare al telefono il tizio cui ha richiesto una planimetria almeno un centinaio di volte e che è indispensabile per tutto quanto...
Quando potrà teoricamente ed ufficialmente iniziare a sudarsi il lavoro, e soltanto allora, la piccola artigiana dovrà, sul campo, verificare se avranno bisogno dei suoi servizi clienti sufficienti a farle chiudere il primo anno di attività almeno in pareggio con le spese sostenute -restando praticamente in apnea finanziaria per tutto il tempo relativo-; se ce la farà fisicamente data la sua età anagrafica; se la totale solitudine sociale, politica e civile in cui viene lasciato chiunque ricorra all' "auto-impiego" per via di quello sfilaccio di dignità ostinata di cui si fregia, sia, di fatto, umanamente sostenibile.

Devo aggiungere una riflessione trasversale. So che queste cose sono sommamente noiose da leggere, ma è questa la realtà che sto conoscendo.
Non solo, nel nostro Paese, non siamo tutti possessori di SUV, evasori fiscali, mafiosi, eccellenti privilegiati e via dicendo, ma non siamo neppure tutti e tutte dipendenti a tempo indeterminato o no, precari o no, di aziende grandi o piccole, private o pubbliche, pagati benissimo, bene o poco, tutelati abbastanza o sempre meno del dovuto, ecc.

Ci sono situazioni di cui non parla nessuno, ma che più di qualcuno vive, come quella che ho sommariamente raccontato e che sto sperimentando direttamente; ci sono realtà misconosciute e quotidiane, nel mondo del lavoro -quello che "fonda" la Repubblica-, in cui davvero il cittadino non ha alternativa alcuna al contare soltanto su sé stesso.

Siamo tutti infatuati di parole, ed amiamo inebriarci del loro suono: il paese dei musici e dei poeti.
Abbiamo perso il senso della misura, il rapporto con la verità oggettiva di molti fatti tangibili.
Su di un' infinità di questioni, per pudore, potremmo e dovremmo tacere od, in alternativa, agire, ma non è vero che Seneca è stato letto con attenzione da chi lo ammira: pochi si rammentano, quando si lamentano, di dare una sbirciatina alle loro stesse spalle, ma -ne sono certa- nel loro inconscio respirano in odor di virtù.


2 commenti:

  1. mia cara Morena, hai espresso così bene questa tua rocambolesca avventura nei giardini fiscali (così poco curati) che mi fai pensare a Kafka, all'incubo che vive nel suo rapportarsi, con misura, alla realtà. una missione (quasi)impossibile.

    sono esperienze che ci insegnano quanto sia effettivamente distante la realtà personale dalla realtà burocratica.

    la tua tenacia non si arrenderà facilmente...
    ti mando il mio abbraccio!
    con affetto
    carla

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  2. Cara Carla,
    dici bene: assurdo.
    Se penso che a due passi dal nostro Paese in pochissimi giorni si ottiene un permesso di costruzione, o di apertura di un esercizio commerciale, o simili, mi chiedo se la funzione vera della burocrazia non sia poi quella di tenerci immobili, di non far succedere niente, perché qualcos' altro, riguardante qualcun altro, continui ad essere sempre com' è.
    Grazie dell' incoraggiamento.
    Un sorriso.

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