giovedì 9 giugno 2011

Ancora psico-patologia di una blogger

Dare per scontato che qualcuno ti capisca è sempre un peccato di ingenuità, un' illusione puerile, retaggio infantile: nessuno può capire nessuno.
E poi, perché dovrebbe, nella logica universale utilitaristica, se non hai intenzione o possibilità di dargli niente di tangibile, né cose, né fatti, ma hai soltanto una voce, una valanga di sterminato inutile amore per l' indegna umanità, ed un po' di empatia da dispensare, perché ogni altra energia è spesa nel tentativo di tenersi viva?

Vale sempre, vale ovunque, anche qui.
Notoriamente si considera la Rete sempre più come una protesi -per molti irrinunciabile-, una sorta di propaggine dell' io che s' illude così di acquisire pervasività e significato, oltre i limiti dei sensi.

E' un' estensione, più precisamente - si dice-, del sistema nervoso, così come ad esempio la televisione lo era di quello visivo; ma un sistema nervoso che si accontenti di soli "impulsi" unidirezionali non funziona poi un granché a dovere: un po' insufficiente e fragile lo rimane.
Grazie alla bulimia ideale tutta umana, pare che ci alletti di più l' idea di propagare etereamente qualcosa di noi, ficcando il naso dappertutto per un' altra sniffatina -ma leggera ed  estemporanea- di vita, piuttosto che concentrarci sul vivere sul serio.
In generale, gli impulsi dovrebbero costituire il propellente ad una qualche determinato fine -un' azione, una scelta- , così l' esercitare intenti filantropici in un blog -dire e smentire, sciorinar parole, pensieri, sulla cui sincerità non esiste modo di ottenere garanzia alcuna, alternare luci ed ombre, impelagarsi in ermetismi, essere presenti ma con la facoltà unilaterale di sottrarsi agli eventuali lettori in piena legittimità, non è che un eterno rimescolar di carte, senza che ancora si sia deciso il gioco, a meno che non si appartenga alla "fazione" di coloro che ritengono, in buonafede, che Internet possa davvero modificare le coscienze (ed io non lo credo), oppure di coloro che lo utilizzano per fini propagandistici o pubblicitari personali.

I blogger-romantici, invece, sono innanzitutto dei vanitosi, taluni emotivi, talaltri siderali, altri ancora velleitari; quasi tutti affetti da narcisismo. I peggiori di loro sono scostanti, inaffidabili, più frequentemente maleducati, massimamente permalosi, e, di conseguenza, presuntuosi.
Perché nella rete le regole civili di cortesia si bypassano, in genere, come se fossero retaggi di un umanesimo ammuffito e stantìo, inutilmente sentimentalistico: vecchiume.

Ah, io odio la villania e detesto i cafoni, soprattutto i cafoni-moderati, ignoranti la loro ignoranza, odio i quaqquaraqquà, i rivoluzionari in poltrona, quelli che pensano di gettar fumo negli occhi, i poetastri, i filosofi bugiardi, i doppiogiochisti.

Infatti,  non so fare la blogger, ed il mio digitare è il surrogato maldestro di un bisogno 
troppo vasto ed antico al cui soddisfacimento ho ormai definitivamente rinunciato dato che i miei spettri non mi danno tregua, che non riesco a spersonalizzarmi, a farmi pixel,  né a modificare il mio consueto modo di rapportarmi con l' esterno, che rimane e vuole rimanere -ed altro non può essere, per me-, che dialettico. Il blogger deve, almeno, collocarsi in qualche posto: essere pro o contro di qualcosa o qualcuno, avere questa o quella caratteristica, offrire una precisa chiave di lettura della sua personalità. Ecco perché io non ne sono capace del tutto: soffro di idiosincrasia alle definizioni, ho l' indole dello straniero e del ribelle, per eccesso d' amore del vero, il quale, a sua volta, non è passibile di definizione certa quasi mai.
La mia follia è talmente grande che talvolta mi convinco d' essere in grado di intuire con sufficiente precisione la natura e le caratteristiche dell' altro sistema nervoso -quello con cui il mio, di tanto in tanto, quando capita, interloquisce- ed invece, puntualmente, mi sbaglio, ne provo disgusto e ne soffro.
Si vede che costituisco un grottesco esempio di ideal-razionalismo un po' schizofrenico.

***


Questo preambolo, in realtà, m' è uscito così risentito e, temo, sgradevole, perché da giorni sto tentando di chiarire a me stessa le ragioni per cui sia finita miseramente nel nulla ed in circostanze non sospette, un' amicizia trentennale con una mia compagna di studi, di tempo libero, di similitudini.
Il nocciolo della questione potrebbe essere proprio negli intenti.
In questo senso, posso raccordare il mio cruccio personale -gli amici che tradiscono- con quanto scritto sulla mia "psico-patologia da blogger".
Alcuni umani muovono automaticamente verso altri con l' intento dell' incontro e dello scambio soltanto ideale -e questo li fa semplicemente stare bene, o meglio-, altri perseguono scopi precisi che li riconducono inevitabilmente a sé stessi.
La questione non è di valori, ma, di nuovo, antropologica.
Vorrei solo capire quale razza sia a maggior rischio di estinzione. Anche se, a ben pensarci, lo so.











2 commenti:

  1. Io, ti dico la verità, trovo generalmente più maleducazione nella vita reale che in rete. E' questo che mi essere pessimista sul genere umano, come alla fine sei anche tu.

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  2. Caro amico, l' hai detto: sì, perdutamente pessimista. Ma anche solo con un minimo di onestà intellettuale, potrebbe essere altrimenti?
    Per questo le rare eccezioni, come l' incontro con qualche anima bella, mi rendono felice, le considero preziosissime, e per nulla al mondo vorrei perderle.

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