sabato 17 agosto 2013

Qualche cane amico, un paio di elefantini e Jonathan il gabbiano.

Mai stata più chiara di così l'oscurità in cui versa il mondo.

Ho immenso disgusto ed immensa pietà per i nostri difetti umani.
 
Quale gigantesco schifo mi son procurata di raccogliere. E poi, perché? Per l'ingenuità di amare - idiota -, senza neppure la verifica dell'oggetto. Come se l'umanità meritasse amore.
Idiota.
 
 
Nulla sarebbe stato più opportuno che non nascere affatto, se poi l'approdo è questa nausea senza riscatto.
Eppure, se Sileno aveva indubbiamente e pienamente ragione a proclamarlo nella sua privilegiata e fatale posizione di ubriacone immortale che la sa indefettibilmente lunga, m'accorgo che sarebbe bastato, per essere felice, impedire semplicemente che l'intelligenza varcasse una data soglia e s'accontentasse magari d'essere soltanto supporto al corpo, già di per sé abbastanza - anzi indicibilmente -, meraviglioso meccanismo atto a cogliere la Bellezza.

Immaginare è l'inappellabile condanna al dolore, dato che innesca quella spirale di desideri che, soddisfatti o non soddisfatti, ne provocano sempre di nuovi.
 
*
 
Continuo infatti ad immaginare le spiagge dei mondi senza fine del buon Hermann, ma praticamente deserte, fatta eccezione per qualche amico cane, un paio di elefantini, Jonathan il gabbiano: sarebbero bellissime e riposanti, accarezzate da leggero vento - un vento che scolpisce sempre nuove dune, fantasmagoriche ed imprevedibili - , ed il vento recherebbe i sussurri di tutte le parole non ancora udite, ed io potrei, senza più diffidenza e dubbio, finalmente saperle vere.
E' lo scontro con ogni singolo universo che l'altro porta in sé che devasta la primigenia purezza di ogni anima, profanandola irrimediabilmente, ed ammalandola.
Se ci fosse stato un Dio creatore, egli avrebbe fallito clamorosamente le sue stesse intenzioni: non già un atto d'amore, la sua opera, ma bensì il desiderio d'essere amato da figli votati comunque all'infelicità causata dall' oggettiva impossibilità di amare.

Alla fine, sarebbe forse il caso di decidere.
Che fare, in sintesi, per interrompere il meccanismo rotto di un'esistenza che gira a vuoto e mentre gira scricchiola orribilmente minacciando ad ogni istante di andare in mille pezzi?
Nulla di risolutivo, purtroppo.
La sentenza, per alcuni di noi, è pronunciata fin dai tempi prenatali : stranieri in terre straniere, per sempre.
Per sempre!
Son sempre stata straniera, che pena. Straniera nel sociale, straniera fin nel privato. Straniera con gli amici, straniera con gli amanti, straniera con i compagni di lotte politiche, straniera fra le mie congeneri, straniera con mio figlio, e con mio padre e mia madre.
(Volevi l'elettività? Eccotela: non l'hai dovuta nemmeno cercare, stava già inclusa nel prezzo del biglietto assegnato dalla Fortuna che t'ha permesso di salire su questa giostra)
.
Le determinazioni, da viva, sono soltanto due: concentrarsi su  qualche piccola cosa, sui particolari, sui dettagli, facendone fulcro di forza e resistenza, oppure darsi l'ennesimo, rischioso, "grande progetto": rimescolare ancora tutte le carte, provare un'altra mano ancora.
Di nuovo, rispetto al passato, c'è il corpo che soffre di più di nuovi dolori, e che talvolta ostacola pensiero e volontà; che contrasta, con la sua cruda e solida veracità inoppugnabile, la fantasia e la progettualità.
Nuova vita, con la fedele emicrania al mio prode fianco: donzella Kisciottesca, con stendardo di malinconia ed aspirina.
Della realtà delle cose e dei fatti e delle persone, nella loro essenziale verità e nella tangibilità delle loro espressioni/intenzioni e poi conseguenti atti, continuerò a patire con insanabile nostalgia di qualcosa che sia ogni volta irrimediabilmente perduto perché passibile di miglioria e perfino, talvolta, soave bellezza, e rinnoverò, ancora ed ancora, la nota sensazione di noia e delusione.

Dicono si tratti di eccesso di pretese.
Può darsi, secondo la loro logica dell'utile.
Io ho stretto un patto di sangue con la mia ingombrante coscienza: che provino a convincere lei, se ne sono capaci.


 

2 commenti:

  1. Dicevo... Il destino è strano, a volte gioca con noi come fuscelli nel pieno di un uragano. Ma Fileno, in una delle sue etimologie, c'insegna come la giocosità, menefreghista di qualsivoglia regola sociale, costituisca esempio di auto perdòno per molti nei loro piccoli peccatucci. Al di fuori delle roboanti parole d'incitamento al rispetto delle regole di coloro che mai le rispetteranno e ci mescoleranno sempre le carte a loro piacimento giusto per cambiar giustizia ogni tanto. Si sa la monotonia nuoce al cervello.
    Siamo disgustati da un mondo che non esiste (finanziario in primis), ma non riusciamo a trovarne la chiave della sua vacuità intrisi come siamo oggi di consumo persino nel nostro desiderare. L'azione sottilmente reale del pensiero si mescola a quella grossolanamente inesistente del finanziario con un risultato da "non ragioniam di lor, ma guarda e passa".
    Ma Dante si volle fermare, vide cose orribili e pianse.
    Spesso mi capita di sapere di persone che sono andate dall'erborista chiedendo un qualcosa per depurare il loro corpo, il grande laureato trombonante lesto lesto si appropinqua a rifilare a tali ignavi (gli erboristi a volte fanno "Cartello" anche loro...) una miscela a mo' di tisana con caratteristiche spiccatamente diuretiche. Come dire per purificare il corpo, in cui anche l'anima vi alberga, basta un po' di pipì in più? E allora perché non rivolgersi a Fileno, almeno fa pipì in allegria! Perché il primo e un metodo scientifico ("trombonico") il secondo gioviale, non a caso non troverete San Fileno in alcun calendario.
    Da qualche parte tanti anni fa in un libro scritto da un saggio cinese buddista ho letto che "Il cuore puro si lascia attraversare dal male senza contaminarsi"...
    Ma è da considerare forse che la purezza del cuore non si ottiene con un poco di pipì in più!
    Dante attraversò un inferno, pianse mille e mille volte penetrando gli aspetti emotivi di ciò che sembravano i più efferati delitti, per purificare il proprio cuore. Alla fine il paradiso non gli diede gioia, come vorrebbe il consumismo del desiderio, ma chiarezza, luce e tanta pietà verso il "fuori". Nessuno dopo tale viaggio avrebbe riconosciuto In Dante l'orgoglioso guelfo bianco (credo).
    Ma il suo viaggio che sia il solo ad averlo fatto? o a scriverlo? A volte, sotto mentite spoglie....

    Ciao, ciao

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    1. :) Ciao,
      e grazie.
      Grazie di questo scambio di appunti.
      Del viaggio.

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