lunedì 4 ottobre 2010

Alla finestra


Frida Kahlo - Io e i miei pappagalli (1941)

Ad incontrare il dolore, nell' esistenza, non occorre poi una gran concomitanza di particolari circostanze: esiste ovunque, è prodotto in quantità industriali, è la materia prima della nostra Vita, ne è anche il presupposto...
Ci penso, con attenzione: mi ci concentro a fondo: è soltanto il Dolore che ha spadroneggiato in me. Sempre. Costante è poi quello che deriva dalla puntuale caduta nel precipizio della disillusione. Lo attraggo come un magnete, lo fiuto e mi ci ritrovo invischiata. E’ mia la colpa, ma, comunque, io non ho scelta.

Il desiderio di colmare il baratro tra un essere umano e l’ altro, la presunzione di raggiungere la mèta, approdare ad un altro cuore e godere della calma perfetta, della perfetta simbiosi di armonia, piacere, bellezza, appagamento, sintonia, è talmente forte da gettarmi, perennemente, in universi interiori invece chiusi, conformisti, attanagliati dalla paura e capaci, per questo, di sbriciolare con cruda freddezza, la mia stoica, gigantesca, magnanima speranza. Sono universi ottusi, che non s' avvedono mai di ciò che mi fanno. Spero di non essere altrettanto cieca.
Nessuno mai, neppure gli amori finiti, hanno saputo ferire quanto le amicizie fallite.
E dolore autentico, sullo stesso livello, è costituito dall' impotente e per questo più che mai frustrante esperienza della sofferenza altrui.

Al di là della mia finestra il mondo respira, e vive, come può, a suo modo.

Affittano appartamenti a prezzi esorbitanti a gigantesche famiglie di diseredati. Sono variopinti, di pelle e di costumi. Sanno ancora sorridere, ogni tanto: com' è possibile... io l' avrei già dimenticato, al loro posto.

La bambina indiana sta piangendo, ora, sommessamente, sola sulla soglia della porta-finestra, inghiottendo rabbia e frustrazione.

- (Chissà che le hanno fatto, povera creatura sfortunata che ha avuto la ventura, senza la minima colpa, di uscire al mondo da una feritoia dell’ inferno...

Che fanno qui, quelle anime perse, ammassate e sovrapposte come detriti in una casa di qualche metro quadro, che non aprono, non arieggiano, non puliscono mai.

Gli uomini, flaccidi e vaqui, lenti, con volti impenetrabili, ottusi, fallocrati, ostinati, arroganti, inconsapevoli del loro sconcio;

Le donne, sgargianti, con fazzoletto sul capo: indumenti di foggia regale mai sufficientemente freschi di lavaggio.
La loro pelle, un po’ oleosa e bruna trasudante uno sconosciuto afrore di strani cereali, mescolanze speziate di non so che, un po’ sospette, non invitanti…
-Ma di che diavolo si cibano…-

E figliano, figliano, figliano… con quell’ espressione fatalistica d’ indifferenza, così somigliante all'ebetaggine animale di una mucca d' alto pascolo che rumina e guarda la valle.)

Schiaffeggiano la bambina -forse è la madre, quella donna che l' ha fatto, forse c'era un motivo, ma io non ne sopporto la visione e sento lievitare in me l' indignazione-, ed un giovane maschio di casa rincara la dose, con perfido accanimento e le strofina con disprezzo sulle labbra una delle sue NiKe tarocche.

Lei si ribella, alza la voce e gli strappa i capelli…: si tratta forse del fratello ...

- (Brava, piccola!)

… e poi la contemplo, rimasta di nuovo sola,  secernere rabbia attraverso lacrime segrete ed amare, e ripetutamente cercare di liberarsi dall’ umiliazione subita strofinandosi la bocca con la mano.

Le ricade il braccio, stancamente, al terzo tentativo: è la rinuncia e di quella vergogna, che è già marchio, non se ne libera…

Quella sua dignità stuprata urla, urla senza voce ed in modo assordante: a me pare che sia accaduto qualcosa di tragicamente ultimativo.

Ed io piango con lei, piango il dolore del mondo… e maledico la sfortuna, la casualità della nascita, e l’ umanità, che ha concepito la violenza, la povertà, l' ingiustizia… e mi vergogno di appartenervi...


7 commenti:

  1. Penso che ciò che vedi sia assolutamente vero, e che tu lo sappia esprimere con grazia ed intensità. E’ vero: il mondo sembra davvero fondarsi sul dolore, lo mostrano inequivocabilmente tutte le bocche carnivore che costellano immancabilmente l’albero della vita, denti che in ogni stante affondano su carne diventata via via sempre più sensibile. E quando non sono denti, sono virus, o accidenti della replicazione, o tutti gli inevitabili (statisticamente) incidenti di percorso di questo alveare impazzito ed indomabile, nel quale l’individuo ha un ruolo ben delimitato, anche questo inequivocabile. Il resto sono illusioni, lo sai bene, sono espedienti tutti interni al gioco stesso. Si capisce bene l’idea del demiurgo incapace: dall’ingiustizia che vi regna, questa creazione andrebbe certamente gettata nell’abisso, se non contenesse al tempo stesso così tanta bellezza, quasi in oltraggio alla sofferenza che produce. Ma è proprio la sofferenza il coltello che incide le forme e le forme sono i piani di ordine che ci consentono in questo momento di comunicare, scambiare dei pensieri: se non è una meraviglia questa! I caratteri sono belli, le frasi che inanelliamo sono belle, le nebulose di significato che esse veicolano sono belle, e i sensi tutti, i colori, ma anche il software funzionante, per non parlare del frigo con dentro cibi che una volta non avevano neppure gli aristocratici, e un bagno caldo con essenze profumante, lenzuola pulite, la salute per poter fare di tutto, anni intatti nei quali poter camminare, poter persino amare ed essere amati! Qualcosa in me, forse ignobilmente, si rifiuta di reagire come te, mi esorta a non fissare troppo a lungo certe cose, mi insinua forse diabolicamente che la giustizia del mondo non è questione che possa gravare su di una singola creatura. Forse ti lamenti troppo. Hai avuto degli amori, e questo già ti pone fra in una fortunata minoranza. E di amicizie ne hai sicuramente ancora - una persona che scrive come te ne deve avere. Quelle perse lasciale andare, quale vanità ti spinge a pensare che tutto quanto debba aderire indefinitamente a te? Ma si è fatto tardi. Oggi ho lavorato duramente e sono stanco. Grazie dello stimolo, scusami l’invasività, nel caso l’avvertissi. Un caro saluto

    RispondiElimina
  2. Sei tracciabile, sorellina: ti fiutano, ti scovano, ti incalzano con l'eterna dicotomia, dilaniati da una divorante ambizione di capire e sentirsi simili e l'inevitabile resa dinnanzi alla lapalissiana evidenza che simili non sono. E perchè mai devono finire, tutti (ma sono riconoscibili, sono i soliti noti anonimi)col sigillare incipit d'una qualche sensibilità con conclusioni di disarmante banalità? Non possono semplicemente astenersi dal blaterare ed esercitare con la consumata abilità dell'esperienza l'unica arte in cui vantano eccellenza che è poi quella di confezionarsi qualche consolatorio alibi per autoassolversi, di scavarsi una tana in cui godere liberamente del proprio nauseante egoismo, inventariando il contenuto dei propri frigoriferi straripanti di grassi saturi, di amorucoli presenti e passati attraverso i quali ritengono aver sperimentato l'estasi e lo strazio del vivere? E ancora, si pongono mai il dubbio che solo una inaudita limitatezza del dizionario faccia sì che usiate termini quali amore ed amicizia per indicare valori affatto differenti?
    Sei vanitosa, sorellina: chi ti credi d'essere per reggere sulle tue fragili spalle tutto il dolore del mondo? Quale incommensurabile arroganza produce quella tua deprecabile empatia a causa, o in virtù della quale, del cibo contenuto nel tuo frigorifero non puoi godere all'idea che un continente sarebbe sfamato con ciò che tu getti, che nella savana la leonessa sta ghermendo il cucciolo di impala con la naturalezza con cui tu sbucci la tua mela, che milioni di bambini in milioni di case nel mondo ingoiano l'ennesima ingiustizia costruendo forse in sè l'adulto che domani infliggerà al figlio la stessa mortificazione? Molte cose di te non comprendo, sorellina, tu stai oltre, ma quella che più mi risulta oscura è l'ostinazione con cui cerchi di comunicare con questo universo alieno in cui il buco nero della nascita ci ha esiliate. Non puoi rassegnarti all'idea che, forse persino incolpevolmente, non possono capire?
    bacio

    RispondiElimina
  3. @ Anonimo del 4 ottobre 2010.
    Nessuna invasività spiacevole, cortese lettore (peccato non poterti appellare in modo meno asettico e distante), e, semmai, che essa sia, sempre più e per tutti, da umano ad umano e che sbricioli le pareti delle celle narcisistiche entro cui riteniamo di doverci barricare con il duplice fine di rinforzare difese e vivere di auto-referenzialità.
    Certo, talvolta è disarmante incontrare l' Altro e specchiarvisi: memorie ancestrali ci obbligano a riconoscerne il sangue comune, i comuni geni, l' imbarazzante affinità, e ciò che vi scorgiamo è sempre una mescolanza di sozzura e sublimità, che pur recandoci spavento - e spesso orrore- ci imporrebbe assunzione piena di responsabilità.
    Hai ragione: ci vuole coraggio ad essere "uomini-nonostante". Nonostante...: suona eroico, ... perché lo è.
    E poi, ancora, è vero: la Bellezza, di abbacinante splendore nella natura (bella pur nelle sue manifestazioni terrificanti ed apocalittiche) e meravigliosa, orgasmica, in molti atti umani, soprattutto laddove scaturisce dal nocciolo delle molteplici possibilità dei segni, del linguaggio, del Pensiero, costituisce contropartita del dolore. (Ne sono consapevole, la vivo, la vedo.)
    Negarlo, offuscarne la visione, però, non posso.
    Non posso proprio: è un' idea per me inconcepibile e sono costretta a cercarne incessantemente non già il senso (che non esiste nel Caos universale)o un' impossibile giustificazione, ma la parvenza di un rimedio, che forse soltanto un nuovo modo di concepire il consorzio umano può iniziare a costruire.
    E' una questione di prospettiva, totalmente avulsa da presunzione: non mi è possibile godere appieno di alcun piacere, se, dietro l' angolo, so che qualcuno sta morendo a causa di qualcosa che la mia distrazione gli ha tolto, o non gli ha dato.
    Un caro saluto a te. Morena

    RispondiElimina
  4. @ Anonimo del 5 ottobre 2010.
    Dicevi: "l' ostinazione".
    Ma io lo confesso pubblicamente! Pecco di pertinacia, che, se nell' accezione comune viene considerata una virtù, può altrettanto legittimamente andare interpretata come difetto.
    E'... che io la amo immensamente, questa creatura imperfetta, tremante, contraddittoria, vanagloriosa, maligna ed angelica, ingenuamente trascendente, tormentata dall' autocommiserazione per il suo destino di morte. Amo la sua malinconia. L' amo anche quando la respingo e l' abbandono.
    Ho compassione per lei; ho compassione per me.
    La amerò in eterno per quello che potrebbe essere, dolce Cri.

    RispondiElimina
  5. Ti ringrazio per la gentile risposta. All’anonimo che mi ha interpretato dico invece che non ha riconosciuto un bel niente, perché ero un passante casuale senza precedenti o preconcetti. Forse è per via di questo errato riconoscimento che le sue proiezioni psicologiche le trovo tutte quante sbagliate, o perlomeno arbitrarie. Però mi è piaciuta l’intensità. Un caro saluto.

    RispondiElimina
  6. Perdona la tirata velenosa, Anonimo. In effetti risulterebbe gratuita e stolidamente biliosa a chiunque ignorasse la squallida vicenda in cui Sirio59 è incorsa addentrandosi nella selva oscura della blogosfera. Chiedo scusa e mi zittisco.
    Quell'approccio filantropico Mò, lo conosco bene e sa il cielo quale obolo il mio destino abbia riscosso in cambio del mio sogno di fraternità e universalità. A differenza di te ho scelto il silenzio, costruendo successivi strati di lontananza e assenza, accettando la sconfitta che ha la forma di una disperazione irrevocabile e sciente, asciutta quanto straziante. Perchè l'Uomo che amavo, che continuo ad amare, semplicemente non esiste se non nella dimensione filosofica o letteraria. Che senso dunque potrebbe avere tentare ancora di trovare un Jean Valjean in un mondo di beghini bottegai pronti a frodarti con la mela marcia, di individui che ti travolgono con inconcepibile aggressività se inavvertitamente li urti ad una frenata del bus, che senza remora ti inchiodano alla berlina se una tua debolezza trapela e non concepiscono che rapporti di potere, nella vita privata non meno che nella pubblica, che invariabilmente confondono dolcezza con mollezza, tolleranza con codardia, riserbo con superbia? Grazie a quell'idea di Uomo me ne sono stata in giro, inzuppata di mondo, per decenni, incauta e disarmata come agnello fra i lupi. Incapace di produrre zanne ed artigli e senza più carni da immolare sull'altare della loro bramosia non mi resta che ammirare oggi l'indomito coraggio di chi alla crudele cupidigia o alla semplice insipienza dei tempi riesce ancora ad opporre il dono di sè.
    bacio.

    RispondiElimina
  7. Certo che perdono, lo capisco bene: rientravi "armata" e poiché me ne stavo al buio, hai assestato delle sciabolate ampie, che qualche fendente avrebbero certamente azzeccato :-) Così è stato infatti ma poiché mi esprimevo senza vanità, non mi hanno fatto male: mi hanno evocato certi pensieri, non so quanto astratti, che si sono impegnati in interessanti tentativi di autoassolvimento :-) Ricambio il bacio.

    RispondiElimina