mercoledì 6 ottobre 2010

Il teorema delle basse sfere comunicative


Orfeo trovatore stanco
La sfera è il più ostico dei solidi. Ad osservarla non la puoi comprendere, non ha punto di partenza, non ha fine. Nessun angolo, né apice, né pedice; sfugge, rotola via, rimbalza, ritorna, ricomincia tutto daccapo. E’ surreale.

Ci somiglia, in modo inquietante.
L’ Uomo è una sfera che si parla addosso. Non ritiene nulla di ciò che sente, di ciò che vede e proviene dall' altro. Si aggroviglia, con mille patetici movimenti, piroetta con convinzione, sempre su sé stesso, illudendosi, invece, di andare da qualche altra parte, di comunicare, di imparare, di crescere.

A dirgli qualcosa - una qualsiasi cosa-, lo vedi poi rapidamente ingollarla senza godere del piacere della vera degustazione; quindi lasciare che le aree competenti del suo cervello meccanico la piazzino da qualche parte, in un certo suo personalissimo pertugio cerebrale.
Lì, eccolo a decodificarle con il suo arbitrario personale e limitatissimo codice di decriptaggio comunicazionale, indi  metterle in relazione con ciò che riguarda sé stesso e le quattro acche di conoscenza a sua disposizione. Riscontrata una qualche sedicente similitudine con quelle, egli decide conseguentemente se gli piaci oppure no, se hai ragione o torto, se sei stupido o geniale.

Del messaggio iniziale avrà trattenuto lo zero virgola  zero uno per cento.

A questo punto la comunicazione è già irreparabilmente compromessa e destituita di ogni autentico fine costruttivo. Da questo momento in poi potrebbe inaugurarsi la pantomima, ché, tanto, il meccanismo neuronale atto all' ascolto è disattivato.

L' anticamera degli ambulatori medici è straordinariamente istruttiva sulle cose del mondo.
Dopo la constatazione della fuga delle stagioni di mezzo, s' é lì scoperto che l' analfabetismo culturale ed affettivo generale è preoccupantemente dilagante.
Si  tratta per entrambe di affermazioni appartenenti già ad una forma di sapienza democraticamente universale, perché, quando in un gruppo, un qualsivoglia assembramento, una piccola o grande folla -insomma una massa-, due individui proclamano una qualsiasi "verità" con sufficiente sicurezza declamatoria, quest' ultima, come macchia d' olio, si propaga a tutti.
Si dice: “… quanta ignoranza c’è in giro…” e s’ alza uno stuolo di stentoree voci che “Sì, sì!”, dicono in coro, “…questi ignoranti, che calamità…” ed intanto a nessuno passa per la testa di considerare, per un attimo, l’ ipotesi d’ essere parte significativa della marmaglia scandalosamente ignorante.
“Quanta poesia-spazzatura! Quanta presunzione di talento! Tutti ritengono d’ avere in sé la vena narrativa! L’ Italia è un paese in cui tutti poetano, cantano, e scrivono… piuttosto male, purtroppo…“ ; e la folla di voci stentoree di cui sopra: “ E’ vero! Poetare, scrivere, richiedono tecnica, conoscenza della metrica,  intelligenza ed  autentica ispirazione!”; ma nel contempo, proprio costoro scrivono e poetano, senza pietà, incessantemente, cose mediocri, spesso brutte, e smisuratamente presuntuose.

Non ricordo chi l' abbia detto, ma è davvero certo che nessuno sarà mai in grado di vedere ciò che sta sotto il suo stesso naso.
Allora, nel caso in cui si desideri fortemente di ottenere esatta comprensione, si può provare con l' esagerazione, come estremo tentativo. Spiegare, approfondire, tornare sul concetto, anche a rischio di meritare accuse di pedanteria.
La potenza devastante di un’ esplosione si rivela soltanto se qualcosa innescherà la miccia: esagerarsi è l’ unico modo per rendere chiaro a tutti ciò che si è, senza stemperare in sdolcinate quanto fiaccamente oniriche e mendaci immagini di sé la verità. Esagerare, non mentire.
Si cerca sempre nell’ altro qualcosa che ci assomigli, che possa, magari, andare inserito come un tassello nel mosaico della nostra identità. Non capiamo quasi nulla di noi stessi e rimaniamo schiacciati da ogni genere di contraddizioni: è velleitaria l’ ipotesi di poter comprendere qualcun altro, e questo, in un certo senso, va a nostra discolpa, perché l' esercizio di una potente determinazione a farlo presuppone la presenza innata, in noi, di solida e tenace volontà. 

Perciò la nostra avventura sociale è frequentemente e talvolta nostro malgrado ipocrita, ed ipocrita, come pochi, è questo mondo virtuale, dove entità mascherate possono affermare qualsiasi cosa, senza l’ onere della prova e senza l' esame oggettivo di uno sguardo che colga contemporaneamente il linguaggio involontario dei gesti che accompagna sempre ogni affermazione.

[Non possiamo rivoluzionare il mondo attraverso Internet, come qualcuno di noi avrebbe pensato possibile, il Potere, ad esempio, non ne sarà mai realmente danneggiato: era un' utopia.
Possiamo incontrarci idealmente, però, e scambiarci informazioni e cultura, ma soltanto a patto d' essere integerrimi ed onesti, cioè sinceri.]

In realtà ogni tentativo che chiunque di noi faccia per giudicare una persona nella sua integrità darà luogo a risultati clamorosamente sbagliati. Nel mio intendimento, il termine “esagerazione” significa desiderio di totalità, di completezza, di esaustività e di verità ma la vera difficoltà sta nel fatto che per verificarne la presenza negli altri sarebbe necessario un intuito eccezionale, oltreché la precisa intenzione di farlo, aborrendo la pigrizia e la molle propensione all' ignavia.

La saggezza popolare (quando non è frutto di pregiudizio, e lo è molto spesso), ogni tanto ci azzecca. Ad esempio ci azzecca in pieno quando afferma che per conoscere abbastanza una persona ci vogliono un anno, un mese ed un giorno di convivenza assidua e che chi ritiene che le parole siano bastevoli a fornire sufficienti elementi di conoscenza reciproca è un ingenuo, oppure s’ inganna, oppure è in malafede.

Le parole sono merci di scambio per un venditore o una venditrice provetti; quel che è necessario capire è il fine che si prefigge chi ti parla, ovverossia che cosa in realtà da te vuole e se ama di più se stesso, la verità, od anche, perché no, te o quel che di te immagina e sogna.

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