Francamente, non capisco più niente di niente, mi sfuggono le dinamiche delle situazioni, private e pubbliche, che mi suggeriscono sensazioni di totale estraneità ed esclusione, e non comprendo neppure più nessuno, come se avessi perso irrimediabilmente la chiave dell'appartenenza al consorzio umano: più ambisco alla chiarezza ed alla limpida pulizia comunicativa e più mi ritrovo sbarellata ed umiliata negli intenti.
Bisogna tacere, smettere di dare credito alle seduzioni del linguaggio, che è quasi sempre intimamente ipocrita, autocelebrativo ed egoista, determinarsi al fare e al dare, o al non dare e non fare nulla, senza più moleste ed inconsistenti chiacchiere?
E poi -a me pare-, mi si è come cementificato lo spirito a forza di errori, disillusioni, irrimediabile perdita di fiducia nel mio prossimo.
Davvero, non ne soffrirei così acutamente se non amassi così tanto e caparbiamente quello schifo di prossimo che non posso più idealizzare per raggiunti limiti di saggezza...
Terribile, la pietosa recita dei rapporti umani: un'intricata perenne acrobazia tra discorsi costruiti con mille parentesi, formalismi, vizi occulti e contraddizioni stridenti, milioni di imperscrutabili sotterranei personali rinvii, postille, ritrattazioni, alibi. Insomma: un'entropia di significati, bugie, emozionalità, finalità confuse o fin troppo particolari, intenzioni e poi quasi sempre gli inevitabili e da me altamente detestati convenevoli.
Non c'è alcun dubbio, ormai, sulla totale inaffidabilità delle parole: le persone con le quali ne ho scambiate di più sono tutte risultate poi essere propense a scandalose ipocrisie, alla loquela mimetica di intrattenimento più o meno dotto e fine a se stessa, alla spudorata menzogna o all'inconsapevole auto-raggiro, e più spesso che non hanno pure palesato una sostanziale vacuità.
Non che non sia umano -intendiamoci-: lo è totalmente, decisamente troppo, in modo sciagurato e fatale, ma io non sono per niente specista e non tendo all'indulgenza, in primo luogo verso me stessa.
Eppure, nonostante l'amarezza, nonostante la frustrazione, nonostante il persistente disgusto, è per il dovere dello stare al mondo che il linguaggio ci è indispensabile.
La variabile, in questa missione, è il mondo, vale a dire la vita fuori di noi: quello adatto va cercato, e poi trovato, a tutti i costi, con il dispendio di ogni forza, pena la totale dispersione di sé.
facciamo parte tutti dello stesso mazzo, chi più e chi un po' di meno. prenderne coscienza è già qualcosa e aiuta. un bacio, ciao
RispondiEliminaDici bene. Grazie, carissima. Un bacio a te.
RispondiEliminaNessun convenevolo, pur rinunciando ad una certa grazia.
RispondiEliminaPerchè un blog? Perchè comunicare il proprio disappunto verso il genere umano? Io mi sono dato una risposta, sembra una scusa.
Intendi dire che si tratterebbe di un alibi per giustificare la defezione dal consorzio umano? Per quel che mi attiene non è sempre stato così, ma in fondo la presa d'atto della sostanziale natura umana richiede più coraggio dell'ottimistico fideismo. Perché un blog? L'ho scritto tante volte: spero ancora d'essere smentita.
EliminaNo, per chi scrive sul serio con la mente e col cuore non servono alibi e da ciò che ho letto "il fideismo ottimistico" è lontano mille anni luce da te. La domanda era una curiosità intellettuale su cosa spinge un essere umano a contraddire senza speranza l'impotenza comunicativa di fondo tra noi; lo hai scritto di certo tante volte...cercherò la tua risposta nei post precedenti.
RispondiEliminaSolo gli uomini hanno bisogno delle parole. Per ingannarsi meglio.
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