Lo intravedo, di tanto in tanto, in qualche sua foto.
Ha sempre la camicia di flanella che gli ho cucito io, che adorava e non può dismettere, mentre ignora di tenere stretto il filo non già della memoria, perché lui non ha potuto che dimenticarmi, ma di un'eterna presenza assente.
Nessuno potrà mai più convincermi che anche il più abissale dei dolori metafisici non sia altro che un vano esercizio dell'umana risibilità dietro al quale occhieggia sempiterna l'atavica fame di spodestare un Dio, un Dio qualunque, di un qualunque Olimpo.
Io volevo soltanto passeggiare lungo altopiani e la sera ricamare teli di lino. Dipingere, per gioco. Ridere con un amico. Volevo provare gratitudine per la fortuna di respirare e vedere ed udire.
Invece ho vissuto. Ho vissuto come tutti questi altri morti.
Invece viviamo. Già. Questo è il problema.
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RispondiEliminaSembra Pavese
RispondiElimina:-) se non altro la medesima è la fatale malinconia.
EliminaSiamo sostanza divina fattasi uomo, per quello aspiriamo a rientrare in possesso dei nostri precedenti poteri. Ma in quanto uomini andremo sempre a sbattere, fardello di questa nostra natura anfibia. Achab non sente ragioni e Ismaele può solo raccontare. Tutto qui.
RispondiEliminaStefano
Forse avremmo potuto vivere aborrendo almeno le più nefande contraddizioni, Lorenzo.
RispondiEliminaNon so se nutrire più dubbi sulla nostra supposta velleitaria intelligenza, sull'origine divina cui fa cenno qui sopra Stefano, o convenire con gli Antenati sul definirci una stirpe miserabile e vana.
Stare sull'orlo dell'oblio a interrogarci senza sosta, è tutto ciò che come umani possiamo sperimentare. Il resto è carattere, cioè destino.
EliminaCiao Morena.
Comunque sia mi angoscia. Ma è solo colpa mia.
EliminaCiao Massimo