Io scrivo soltanto quando in me arde, in modo più o meno vivido o più o meno violento, una sorta di fuoco interiore, di disperata vitalità di pasoliniana memoria, di incontenibile malinconia, di decadente sentimento di solitudine, che vorrei disperdere nell'aria, con la speranza che incontri qualche altra eco, magari anche rivelatoria. Io scrivo soltanto in un richiamo di natura.
Non è affatto una tensione personalistica ed egoistica, non si tratta di ambire a parlare di me stessa -cosa che riserbo esclusivamente a chi amo, in varie forme e sfumature, se li credo sinceramente accoglienti- che so essere cosa pubblicamente inopportuna ed un po' ridicola; no, si tratta di sottolineare una profonda convinzione di sempre: dibattiamo, scriviamo, litighiamo, fingiamo di confrontarci quasi sempre per nulla e su un feroce nulla, perché, posto il punto alle nostre dissertazioni socio/politiche/culturali estemporanee, ritorniamo nel consueto nostro bozzolo criptico/ermetico/asfittico di isolamento inespugnabile e fatale frustrazione. Insomma: risucchiati nell'ego.
Anche quest'esperienza virtuale, però, come qualsiasi altra esperienza, insegna.
Ed infatti io ho preso coscienza di quel che non voglio fare. Non disquisirò mai e poi mai del nulla, neppure quando sembra essere 'qualcosa'.
E del nulla, di un feroce nulla, nella maggioranza dei casi si legge e si dice.
Più spesso, si nullifica su altri imput nullificanti imposti dai media.
Perché -pare- noi siamo opinionisti nati, anzi, innati. La chiacchiera è spiccatamente italiana.
Ci piace, ci piace; quanto ci piace.
Ci esalta dir la nostra, anche se non è mai davvero nostra ed è, più spesso, decotto od infuso di altre approssimative notizie il cui contenuto è meno importante della faccia di chi le comunica.
Non importa, ai più, la verità, ma la sua semplice parvenza, la sua sbiadita evocazione.
Ora, se non fossimo tutti così svuotati del bisogno di vera verità, non dedicheremmo più una sola parola, per esempio, ai e sui nostri disonorevoli rappresentati politici e pubblici dirigenti e li lasceremmo andare alla deriva, sprofondare all'inferno sbranandosi a vicenda, godendoci lo spettacolo mentre così si raccontano, divorandosi: "...Tu dei saper ch'i' fui conte Ugolino,e questi è l'arcivescovo Ruggieri: or ti dirò perché i son tal vicino..." (Dante Alighieri, Commedia,Inferno, canto XXIII).
Troveremmo disgustoso, nullificante e ferocemente noioso fin l'appioppar loro epiteti e manifestare indignazione, perché gli uni e l'altra, comunque, per loro sono fin troppo e la misura è oltremodo ormai colma d'indecenza.
Invece no. Ci ricadiamo sempre: ne parliamo animatamente al bar, ne scriviamo; poi, tra di noi, polemizziamo pure in retoriche esibizioni di ridicola arguzia. Se siamo giornalisti professionisti lo facciamo su testate autorevoli regolarmente e lautamente finanziate, se umili Nessuno in migliaia di blog, se tuttologi sfigati in queste ed in quelli. Assistiamo ai loro scontri televisivi con un'istintiva attitudine alla tifoseria, assemblando giudizi politici ed estetici, umanistici e triviali, di testa e di pancia.
Nel frattempo, loro, questi ormai dichiaratamente accertati nocivi - e non da ora- , percepiscono da noi lo stesso stratosferico stipendio ed accumulano beni e vergogna, placidi e niente affatto allarmati, mentre noi ci dibattiamo nei sostanziali grandi mali italici: il fatalismo, la genialità senza l'etica, la parola senza il costrutto, l'ignavia.
Il paese civile è quello in cui il cittadino non attende supinamente che il politico corrotto ed incapace si dimetta, ma quello in cui gli dice, senza possibilità di replica, "Ti licenzio".
Non è il nostro: noi qui si ha, a reggere la cosa pubblica, il Nulla, il Nulla Feroce.
Non è affatto una tensione personalistica ed egoistica, non si tratta di ambire a parlare di me stessa -cosa che riserbo esclusivamente a chi amo, in varie forme e sfumature, se li credo sinceramente accoglienti- che so essere cosa pubblicamente inopportuna ed un po' ridicola; no, si tratta di sottolineare una profonda convinzione di sempre: dibattiamo, scriviamo, litighiamo, fingiamo di confrontarci quasi sempre per nulla e su un feroce nulla, perché, posto il punto alle nostre dissertazioni socio/politiche/culturali estemporanee, ritorniamo nel consueto nostro bozzolo criptico/ermetico/asfittico di isolamento inespugnabile e fatale frustrazione. Insomma: risucchiati nell'ego.
Anche quest'esperienza virtuale, però, come qualsiasi altra esperienza, insegna.
Ed infatti io ho preso coscienza di quel che non voglio fare. Non disquisirò mai e poi mai del nulla, neppure quando sembra essere 'qualcosa'.
E del nulla, di un feroce nulla, nella maggioranza dei casi si legge e si dice.
Più spesso, si nullifica su altri imput nullificanti imposti dai media.
Perché -pare- noi siamo opinionisti nati, anzi, innati. La chiacchiera è spiccatamente italiana.
Ci piace, ci piace; quanto ci piace.
Ci esalta dir la nostra, anche se non è mai davvero nostra ed è, più spesso, decotto od infuso di altre approssimative notizie il cui contenuto è meno importante della faccia di chi le comunica.
Non importa, ai più, la verità, ma la sua semplice parvenza, la sua sbiadita evocazione.
Ora, se non fossimo tutti così svuotati del bisogno di vera verità, non dedicheremmo più una sola parola, per esempio, ai e sui nostri disonorevoli rappresentati politici e pubblici dirigenti e li lasceremmo andare alla deriva, sprofondare all'inferno sbranandosi a vicenda, godendoci lo spettacolo mentre così si raccontano, divorandosi: "...Tu dei saper ch'i' fui conte Ugolino,e questi è l'arcivescovo Ruggieri: or ti dirò perché i son tal vicino..." (Dante Alighieri, Commedia,Inferno, canto XXIII).
Troveremmo disgustoso, nullificante e ferocemente noioso fin l'appioppar loro epiteti e manifestare indignazione, perché gli uni e l'altra, comunque, per loro sono fin troppo e la misura è oltremodo ormai colma d'indecenza.
Invece no. Ci ricadiamo sempre: ne parliamo animatamente al bar, ne scriviamo; poi, tra di noi, polemizziamo pure in retoriche esibizioni di ridicola arguzia. Se siamo giornalisti professionisti lo facciamo su testate autorevoli regolarmente e lautamente finanziate, se umili Nessuno in migliaia di blog, se tuttologi sfigati in queste ed in quelli. Assistiamo ai loro scontri televisivi con un'istintiva attitudine alla tifoseria, assemblando giudizi politici ed estetici, umanistici e triviali, di testa e di pancia.
Nel frattempo, loro, questi ormai dichiaratamente accertati nocivi - e non da ora- , percepiscono da noi lo stesso stratosferico stipendio ed accumulano beni e vergogna, placidi e niente affatto allarmati, mentre noi ci dibattiamo nei sostanziali grandi mali italici: il fatalismo, la genialità senza l'etica, la parola senza il costrutto, l'ignavia.
Il paese civile è quello in cui il cittadino non attende supinamente che il politico corrotto ed incapace si dimetta, ma quello in cui gli dice, senza possibilità di replica, "Ti licenzio".
Non è il nostro: noi qui si ha, a reggere la cosa pubblica, il Nulla, il Nulla Feroce.