domenica 15 gennaio 2012

Tregua onirica

"Perché ogni piacere e dolore, come avesse un chiodo, conficca l' anima nel corpo e la fa corporale in modo che ella crede vero tutto ciò che il corpo dice essere vero. Imperocché ella, dicendosela col corpo e pigliando insieme con lui diletto nelle cose medesime, mi penso che è necessitata di pigliare anche il medesimo abito e costume; onde mai non arriva pura nell' Ade; perocché, uscendo dal corpo suo tutta piena di corporale desiderio, tosto ella cade novamente in un altro corpo, e, come fosse sementa, ivi germoglia, rimanendo accecata della vista di ciò che è divino, puro, schietto."
(Platone- Fedone)

In una domenica pomeriggio come questa, in cui la noia esistenziale mi strazia con particolare recrudescenza, mi è fin troppo facile confutare Platone ed accusarlo -non senza una punta di masochismo intellettuale- di bigottismo filosofico e sempliciotteria.

Ma quale vista di "divino, puro, schietto"?
Quale Olimpo delle Idee?
Le ho dimenticate tutte, oppure l' anima -custode dell' ancestrale memoria-  s'  è contratta, s'è rifugiata in qualche anfratto di me oscuro ed introvabile, ormai inaccessibile, dimentica financo di sé stessa, asfissiata da un disgusto generico ed immenso, intollerabile.
Questo corpo è talmente stanco dell' immersione coatta in questo mondo un po' lercio, le catene gli arrecano così inguaribili ferite, i limiti di tempo/spazio sono sì ristretti, i mezzi d' agire talmente miseri e vani, le occasioni così rarefatte e deludenti, i suoi simili tanto contratti bloccati avari indifferenti troppo spesso meschini e bugiardi, cialtroni, vili,   le sue stesse parole così inadeguate e rozze, dall' anelare ad un sonno prolungato, ad una vita parallela di sogni, od a farsi lieve accordo, in una sinfonia di sfere celesti.

E, nel sogno, ove -soltanto- godo di tregua, mi faccio Fedro, nel bosco fuori le mura di Atene, al termine dell' amabile conversazione con il Maestro, ed immagino come ci si potrebbe sentire, al calar della sera, dopo tanto privilegiato apprendimento.
Riconciliarsi con sè stessi e con il mondo: non è, forse, tutto ciò che in sintesi a me serve?

E se ad Iddii io potessi rivolgermi, è questo il mantra che ripeterei ad ogni congedo:

"SOCRATE: O caro Pane, e voi tutti che di questo luogo siete Iddii, concedetemi che sia bello io di dentro, e che tutto quello che ho di fuori si concordi con quel di dentro; e ch' io reputi ricco il savio; e ch' io abbia tant' oro, quanto ne può solo portar seco colui che è temperato. -Oh, che c'è bisogno d' altro? dì, Fedro. Quel che ho pregato io, mi basta.
FEDRO: Così prega tu anche per me, che le cose degli amici sono comuni."
(Platone, Dialoghi, Fedro)


1 commento:

  1. Cavolo!
    Morena feriale, non va così male.
    Morena festiva, poco poco giuliva.

    Sei proprio ferrata in filosofia, più di un'arrampicata di montagna!

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