sabato 21 gennaio 2012

Amori da morire -5-

Non solo "siamo fatti della stessa materia dei sogni", ma anche i soli momenti in cui lei viveva totalmente erano precisamente i sogni ed i ricordi di sogni.
Non conosceva un luogo meno surreale di quello, un approdo più sensato per una solitudine interiore tanto irreparabile e, comunque fosse, fatale.
Aveva affinato una straordinaria capacità di esistere in due dimensioni parallele: quella ufficiale e formale, che era una sorta di morte in vita e totale alienazione, e quella sotterranea in cui ritrovare un mondo a sua misura.
A ciascuno la sua tana: chi la trova nella folla od in illusori consorzi umani e chi sotto la propria scorza, invisibile al mondo.
Trattenere nella sua vita gli esseri umani che via via incrociavano la sua strada aveva pressuposto, fino ad allora, accontentarsi di relazioni avare di parole e simboli e per loro stessa natura decadenti, instillarci un' energia parossistica ma inutile, mai colta completamente dall' altro e sempre poi stravolta nel più profondo dei significati.
A lei l' aristotelica medietà non confaceva affatto e sotto sotto la trovava un po' vile e meschina.
E l' impressione che reiteratamente aveva ricavato dalle sue conoscenze era che la generalità delle persone preferisse le piccole certezze nel rispetto di formalità e convenzioni all' espressione più onesta di sé.

"Accontentarsi" suonava come una bestemmia. A quale fine? Perché avrebbe dovuto accontentarsi?
Il poco, nella sua voragine di esigenze sentimentali ed umanistiche frustrate, valeva meno del vergine nulla.
Dal puro 'niente' avrebbe potuto, almeno teoricamente, far sorgere qualcosa di sano fin nelle radici, ma dal malato cronico terminale 'poco' eventuali frutti sarebbero nati già avvizziti e guasti.
Non aveva ancora considerato la spiegazione più banale del fenomeno: semplice carenza di spessore e livello genericamente umano nei suoi contatti, pura piccineria morale, deficenza speculativa, intellettiva, spirituale.

Tanto valeva risparmiar forze, cautelarsi un po' di più, provare a scriverne, fosse soltanto per sé e, soprattutto, immaginare, nella dimensione parallela.



Le era chiaro che la più crudele delle condanne umane è il desiderio, ma che il desiderio stesso è anche ineludibile connotazione umana: non è possibile disfarsene mai completamente.
Allora non resta che desiderare il relativo bene, quantomeno in rispetto della propria più autentica natura.
Saper che cosa desiderare, ma autonomamente, è un' arte raffinata e costituisce atto di libertà.
E lei desiderava il solito altrove (luogo del completamento, della gioia senza recriminazioni e rimpianti, dell' equilibrio e della riconciliazione con sé stessa e conseguentemente con gli altri) -di questo era certissima-, ma senza averne alcuna precisa cognizione, senza poterne disegnare tratti, contorni e personaggi. Per sua natura, quell' altrove non poteva che essere astratto, ma è esattamente quella caratteristica che lo rendeva salvifico. La speranza deve riguardare ciò che non c' è e forse non sarà mai: quel che si può  prima o poi afferrare, una volta ottenuto, sarà avvilito dalla noia.
Così siam fatti.

La battaglia contro le fatalità è sempre persa dagli uomini: ritenere di governare la propria vita è pura velleità. Velleità pietosa.
Così lei, di nuovo, si ritrovava a vivere situazioni dominate dalla solita miscela d' assurdo e di costrittivo unito ad una parte di arbitrio e volontà: suo malgrado -così- invischiata esattamente nella vita mediata che tanto detestava.
Un figlio, che porta ad assunzione di responsabilità ben precise ed assolutamente dovute, la necessità di un nucleo familiare anche per far fronte alle vili esigenze materiali, la consapevolezza che nessuno al mondo, mai, avrebbe potuto vedere la sua disperata sete d' immenso e la sua uranica malinconia.

Poteva ritenersi colpevole d' essere così accanitamente sposata al dolore d' essere e non poter mai essere fino in fondo?
Chi maledire per la fatalità d' avere un talento così affinato per sentire in sé tutto il dolore, e lo schifo, e la follia d' essere umani?
"Solo, solo fino all' osso": come hai saputo dirlo bene.

Che ci vuole, allora, in un' indole simile, per sperare che.?
Niente. Non ci vuole nulla. L' alternativa, altrimenti, è l' auto-soppressione.
Così, se le prospetti un nuovo amore, aspirazione di Bellezza, lei vorrà ostinatamente, fortissimamente, impetuosamente, crederci, perfino nonostante la certezza che non funzionerà e distruggerà quei pochi punti solidi d' ancoraggio della sua precaria ed oscillante vita.
Questo la diversificava da tutti coloro che conosceva. Da tutti, anche da chi diceva di amarla, di volerla per sé, in una comune nuova vita. Nuova vita: identica nei meccanismi alla vita già vissuta.

Non era la via d' uscita verso una luce, ché l' esistenza è un labirinto infido destinato a proiettare in un buco nero d' energia, ma volle fingere -sognò, sognò, sognò- che lo fosse.

Lo baciò, lo consolò delle sue vili e misere paure, e stette a contemplare gli sviluppi di quella coscienza che lei conosceva fin troppo bene,  mestamente certa di conoscere a perfezione l' inevitabile epilogo della storia sempiterna, purtroppo.
Ma c' era, nell' aria che respirava nel frattempo, in quella sorta di tregua ideale fatta di arabeschi di fantasia,  il motivo di immaginarsi ancora un suo mondo di possibilità, ambrosia d' Eros, che sa rendere -pur se a termine-  semidèi i mortali.

"Mi manchi, mi manchi, mi manchi. Sono migliorato, sai, però: al mattino ho maggiore autonomia, ora. Non sei il primo pensiero, quando apro gli occhi. Riesco a resistere fino all' armadio, che sta ad un paio di metri dal letto. Poi compari tu e rimani nella testa. " le scriveva clandestinamente la notte mentre sua moglie dormiva. "Ricordi a Sappada?  Sono uscito dall' albergo, disperato, perché non riuscivo ad amarti (sei una strega, perché con te è così?) ed ho raggiunto il prato. Mi sono sdraiato sull' erba, l' aria era frizzante, c' era il sole, ho chiuso gli occhi, la pressione  al cuore s' è alleggerita. Quindi, un immenso vuoto. La cosa più bella l' avevo lasciata nella stanza della locanda. Sono tornato correndo da te, ed ho vinto il mostro."

"E meno male", pensava lei con risentimento, "che non mi hai condannata al rogo, com' è successo alla povera ragazza di cui Mann narra nel Doctor Faustus...".

Soggiungeva la tristezza.
Sapeva che non si cambia.
Sapeva che non si può.
Ed il buco nero li avrebbe di nuovo inghiottiti.
Meritatamente.

(continua, forse)



7 commenti:

  1. Che vortice di emozioni e riflessioni.
    Sto corto e sottocosta, che ad avventurarsi incauti in un mare così denso, si rischia di rimanerne distrattamente invischiati, sommersi e sprofondati.
    E quindi sto cheto, non sfido il giorno di sabbah (anche perché è domenica).

    A volte i dubbi trovano risposta nelle spiegazioni più semplici, perciò tutt'altro che più banali. Magari porrei più attenzione a quella considerazione; può avere in nuce un'intuizione ;)
    Ciao :o)

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  2. @ Kisciotte

    Stai certo che non ti lascerei sprofondare tirando i remi in barca, o, peggio, andandomene all' asciutto da sola, come s' usa, talvolta, sulle tirreniche coste...

    Ma delucidami sulla considerazione cui fai cenno, dato che non riesco a connettere. Naturalmente se ti va, ché tra noi -ormai dev' essere inutile sottolinearlo- vige, su tutti, il venerabile principio del rispetto della libertà d' azioni ed espressioni.

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  3. @sirio59.mm
    Cerco di lustrare gli ottoni del mio opaco pomello frasereccio.
    Mi riferivo nello specifico alla tua considerazione "Non aveva ancora considerato la spiegazione più banale del fenomeno: semplice carenza di spessore e livello genericamente umano nei suoi contatti, pura piccineria morale, deficenza speculativa, intellettiva, spirituale."
    Solo a questa perché a far considerazioni su tutto quanto dici, ne verrebbe fuori un rotolo di papiro da Luxor fino al Cairo.

    Beh, penso che sia come dici, più che banale semplice, magari un poco disarmante. Se hai il fardello di una sensibilità più profonda e di un'intelligenza più scrutante, non ti basta schermirti di falsa modestia. Ti tocca scegliere: o stai chiusa nella rocca, lontano dalla mediocrità; o ti avventuri a far mattanza dentro il volgo, selezionando spietatamente chi ti aggrada.
    A mio parere la prima scelta porta all'estraneazione astratta, la seconda alla fatica di cercare - e non è detto riuscire a trovare - poche, significative, reali persone e azioni concrete.

    Magari, poi, anche tutti gli altri aspetti (sentimentali, politici, relazionali, costruttivi) si dipanano di conseguenza, a seconda della via che si prende di fronte al bivio: salire alla rocca o discendere alla piazza.
    Io, in questo periodo, sto un poco malconcio e me ne sto arroccato e ramingo. Un tempo fui più socievole e concreto.

    Ti saluto e ti auguro un piacevole inizio di settimana ;)

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  4. @ Kisciotte

    Senza la mia rocca, ti assicuro, non saprei sopravvivere. Pur tra algidi cristalli intorno, spesso intirizzita se non semiassiderata, l' aria è tersa, ed il pensiero depurato.
    Stare nel mondo, relazionarsi con gli altri, è esperienza di cui conosco a fondo il risvolto frustrante e doloroso: l' ottundimento più mortificante in risposta al mio dire, al mio attendere invano.
    La colpa è mia: un buonismo di fondo che mi vieta la selezione, una disponibilità cieca e per questo sciocca, una perenne aspirazione all' amicizia che volutamente non discerne il bene dal male.
    Incontrare un proprio simile ha, molto semplicemente, del miracoloso.
    Per questo è salvifico il sogno, a questo serve la 'torre traballante'.
    Che poi, come vedi, lascia incontrare i nostri segnali di fumo.
    Buona giornata, Cavaliere.

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  5. che dire..... polenta e salame e per variante polenta e soppressa non ci capisco nulla se non che questa malinconia sta diventando contagiosa cara sirio59 hai mai pensato ad una barzelletta tra un racconto ed un altro.....non sono capace di volare così alto... managgia il materialismo .... rovina l'anima... scusate questa brutta intromissione ,

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  6. @ Anonimo

    Lo sostenne anche Platone che l' anima si lascia corrompere dal corpo, o meglio, piuttosto, che il troppo indulgere nelle passioni e nei piaceri, nel pane, salame, soppressa, ammenicoli ed aggeggi vari la conficca nel corpo e lei si confonde e diventa corporale, dimenticando la sua stessa natura... :lo vedi che, tuo malgrado, sai volare in alto come il venerabile filosofo?

    Poi, riguardo alla tua esortazione al barzellettare, vorrei riportarti queste rime:

    "Nel mezzo del cammin di nostra vita
    mi ritrovai per una selva oscura
    che la diritta via era smarrita."

    ed anche
    "Solo et pensoso i più deserti campi
    vo mesurando a passi tardi et lenti,
    et gli occhi porto per fuggire intenti
    ove vestigio human l' arena stampi."

    Ecco: sono 'malinconiche'.
    La 'malinconia' ha prodotto bellezza.
    La barzelletta, nulla.

    In ogni caso io non sono capace d' essere quello che non sono.

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  7. io non posso competere.....

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