Nelle note intimistiche a me pare stia racchiusa la chiave di lettura e spiegazione dei fatti del mondo, delle scelte, di quella porzione di verità (pur sempre minuscola) di cui si è capaci, nonché la vera scoperta, il disvelamento, dell' altro.
E' il motivo per cui vi ho improntato questo mio spazio -raccolto tempietto con velleità di nano-agorà-ed anche quello per cui in genere rifuggo o diffido da chi sentenzia, snocciola nozioni, dichiara, declama con grande sicurezza e compiacimento.
Non solo mi riconosco in coloro che cadono e nei perdenti, quindi, ma anche e soprattutto nei dubbiosi, nei consapevoli ignoranti e nei semplici purché ignari della loro stessa semplicità.
Non vi è, innanzitutto, alcuna volgarità nelle persone semplici -nell' accezione che intendo-, né la discriminante tra 'semplice' e complesso (iperstrutturato) è data da qualche acquisizione di studio o di censo. Chi ne fa una questione di carte è un imbecille.
Einstein era una persona semplice, e la sua genialità una caratteristica del suo intelletto, ad esempio.
La volgarità è prerogativa delle indoli disinteressate all' apprendimento, prive di curiosità, dedite all' edonismo spicciolo ed ancorate alla Terra.
Ma guai ai piccoli e grandi frequentatori più o meno specializzati, del pensiero.
A loro spetta, come aspro premio, il dubbio.
Poi, però, mi domando a che cosa possa mai servire questa forma diaristica resa pubblica, pur con il massimo pudore, pur con la massima delicatezza.
L' ennesima forma di autoreferenzialità? Ancora e soltanto e sempre famelico egocentrismo, per quanto sotterraneo, stemperato, filtrato, emulsionato con altri fini che forse per vie tortuose non riconducono che a sé stessi?
E mi prende la tristezza: so che ciascuno non riuscirà che a viaggiare sul proprio binario, fatalmente programmato dalla sua stessa indole.
E mi dispiace: comunicare rimane dunque una battaglia persa, ed è sempre un gioco stilistico, estetica pura ma vuota od effimera, finzione, gioco?
E dev' essere per questo che non esiste dichiarazione a me rivolta che non m' instilli dubbio, ora, e sento che ciò presuppone la più grave delle perdite, la misura esatta della caducità umana: minimizza, distruggi la sua parola, e l' uomo più non è.
E vorrei credere, e non posso.
Pur in più che adulta età, ho capito quanto possano essere capziosi le voci ed i silenzi; prima di allora, deliberatamente, ho voluto conservare un nocciolo di ingenuità fanciullesca, creduloneria utopistica, il sempiterno irrununciabile sogno. Immagino succeda a tutti, prima o poi: la differenza è data, probabilmente, dalla più o meno tenace affezione a quell' infanzia che ciascuno di noi sa essere la sola custode di una felicità in potenza che non potrà mai più replicarsi in vita successivamente.
Sono pietose strategie di sopravvivenza.
Io sono sciocca, lo so, ad amare entità che alla fine sono indifferenti e passeggere: è un atto di debolezza imperdonabile, alla luce della consapevolezza di cui sopra, che pur rimane.
Tra l' altro, quelle stesse entità non mi amano affatto nella stessa misura e con la stessa intensità: anche lo scambio non può dirsi soddisfacente.
Ho pochi, ma gravi vizi, e questo è stato il più esecrabile, sempre, ed il più catastrofico.
Ed è incurabile.
E' il motivo per cui vi ho improntato questo mio spazio -raccolto tempietto con velleità di nano-agorà-ed anche quello per cui in genere rifuggo o diffido da chi sentenzia, snocciola nozioni, dichiara, declama con grande sicurezza e compiacimento.
Non solo mi riconosco in coloro che cadono e nei perdenti, quindi, ma anche e soprattutto nei dubbiosi, nei consapevoli ignoranti e nei semplici purché ignari della loro stessa semplicità.
Non vi è, innanzitutto, alcuna volgarità nelle persone semplici -nell' accezione che intendo-, né la discriminante tra 'semplice' e complesso (iperstrutturato) è data da qualche acquisizione di studio o di censo. Chi ne fa una questione di carte è un imbecille.
Einstein era una persona semplice, e la sua genialità una caratteristica del suo intelletto, ad esempio.
La volgarità è prerogativa delle indoli disinteressate all' apprendimento, prive di curiosità, dedite all' edonismo spicciolo ed ancorate alla Terra.
Ma guai ai piccoli e grandi frequentatori più o meno specializzati, del pensiero.
A loro spetta, come aspro premio, il dubbio.
Poi, però, mi domando a che cosa possa mai servire questa forma diaristica resa pubblica, pur con il massimo pudore, pur con la massima delicatezza.
L' ennesima forma di autoreferenzialità? Ancora e soltanto e sempre famelico egocentrismo, per quanto sotterraneo, stemperato, filtrato, emulsionato con altri fini che forse per vie tortuose non riconducono che a sé stessi?
E mi prende la tristezza: so che ciascuno non riuscirà che a viaggiare sul proprio binario, fatalmente programmato dalla sua stessa indole.
E mi dispiace: comunicare rimane dunque una battaglia persa, ed è sempre un gioco stilistico, estetica pura ma vuota od effimera, finzione, gioco?
E dev' essere per questo che non esiste dichiarazione a me rivolta che non m' instilli dubbio, ora, e sento che ciò presuppone la più grave delle perdite, la misura esatta della caducità umana: minimizza, distruggi la sua parola, e l' uomo più non è.
E vorrei credere, e non posso.
Pur in più che adulta età, ho capito quanto possano essere capziosi le voci ed i silenzi; prima di allora, deliberatamente, ho voluto conservare un nocciolo di ingenuità fanciullesca, creduloneria utopistica, il sempiterno irrununciabile sogno. Immagino succeda a tutti, prima o poi: la differenza è data, probabilmente, dalla più o meno tenace affezione a quell' infanzia che ciascuno di noi sa essere la sola custode di una felicità in potenza che non potrà mai più replicarsi in vita successivamente.
Sono pietose strategie di sopravvivenza.
Io sono sciocca, lo so, ad amare entità che alla fine sono indifferenti e passeggere: è un atto di debolezza imperdonabile, alla luce della consapevolezza di cui sopra, che pur rimane.
Tra l' altro, quelle stesse entità non mi amano affatto nella stessa misura e con la stessa intensità: anche lo scambio non può dirsi soddisfacente.
Ho pochi, ma gravi vizi, e questo è stato il più esecrabile, sempre, ed il più catastrofico.
Ed è incurabile.
Per colpa di tua incaponaggine, inizio in maniera ovvia e banale: bello come sempre.
RispondiEliminaPoscia, vado a dir la mia rinfusamente.
A me ha sempre lasciato dubbioso, l'espressione evangelica "poveri di spirito".
Non ho mai capito se sono da intendersi quelli che se incontrano un astice per strada, che gli chiede da accendere, se lo magnano vivo, da quanto hanno fame, ma sono preziosi e ricchi di ingegno e spiritualità.
E allora sempre viva anche i semplici, anche poveri per vicissitudini, ma di spirito.
Oppore se sono da intendersi i semplici(otti), ovvero i tonti, gli ottusi, che allora non c'è proprio nulla di che stare allegri, se non il fatto che essendo poveri non possono far danni.
Mi sa che purtroppo secondo me, spesso si esalta la semplicità che è stupidità da tenere rimbambita davanti a un palinsesto televisivo (o a una messa in latinorum), e come lessi in quel di Hitchens, niente è più temibile di una massa plaudente, plagiabile e forcaiola, formata da "miti e poveri di spirito".
Insomma, per quel che mi riguarda, lunga vita a don Chisciotte!; alla morte per inedia Sancho Panza! :o)
"Mi domando a che cosa possa mai servire questa forma diaristica resa pubblica [...]?"
Beh, se puoi aiutare a darti una risposta, ammesso che una domanda debba sempre essere ingabbiata in una risposta: il giorno che non avrai più dubbi, il giorno che sarai un'unità carbonio che esegue direttive da programma, quel giorno smetterò di provare il piacere di leggerti.
Nella canzone c'è solo una sfumatura delle tante domande che l'uomo si pone. È il dubbio la nostra arma più potente, grazie al quale abbiamo invetato la ruota e abbattuto i regimi. Il dubbio che le cose possano andare diversamente da come sono. Sempre!
Cercare di comunicare non è mai una battaglia persa. Perde soltanto chi rinuncia alla sfida immane di "entrare in contatto". Don Chisciotte (che io non sono) vince comunque, chi rinuncia ha già perso.
Altra battaglia persa è sperare che i miei commenti si facciano corti e concisi (ahahahahah).
Finisco dicendoti, cara Preziosità di Rocca, che potenti alleati hai nella tua umana avventura. Te ne cito due.
La fantasia è dubbio! Documentati su quella magnificicenza chiamata "Patafisica" e intanto ecco una frase del sublime Barone Mollet: la troverai in questo video... così seppelliamo gli imbecilli sotto i pezzi di carta acculturata :oD
L'altro tuo potente alleato che ti ricordo è Bruno Munari, che disse più o meno: quando sento commenti del tipo "semplice ma bello" so di avere di fronte individui sciocchi che non hanno la più pallida idea di quanto duro lavoro ci sia per sgravare del superfluo, del complicato e del difficle, quella bella gemma, che è punto d'arrivo e non di partenza di ogni creatività d'intelletto. Quella gemma si chiama semplicità!"
Ciao ciao, in attesa di nuove referenzialità, in auto, in moto, in bici, purché dubbiose.
:o)
@ Kisciotte
RispondiEliminaNo, ti prego, Kisciotte, non stringare i tuoi commenti, ché mi danno sempre e comunque semplice e grande gioia.
E poi... la Patafisica mi era sconosciuta, e tu sei pertanto preziosa sorgente di nuova conoscenza [com' è che si fa? Ah, sì, ecco :O)] e la meraviglia è la motrice della mia piccola esistenza.
Ora, però, ritorno al quesito finale brechtiano. Ammesso anche che Don Chisciotte, il Barone, noi due, convergessimo sulla nobiltà intellettuale del dubbio, nonché sul grandioso punto di partenza costituito dal sapere di non sapere, ed in aggiunta alla faticosa conquista della semplicità nella più vasta delle sue accezioni, che dobbiamo fare?
Sappiamo, sapremo, che fare, per non restare auto-referenziali ed a rischio di narcisismo?
Voler comprendere l' altro significa, in qualche modo, amarlo. Desiderare di comunicare, significa, ancora, amarlo.
Abbassato lo schermo del portatile, ci si porta un po' d' amore dentro, che però non si riesce a tradurre ed utilizzare riversandolo nelle cose, nei fatti, nei gesti della propria vita. Per conquistare integrità, per portare appresso al proprio corpo anche l' anima, cogito, dire e fare dovrebbero esprimersi all' unisono.
E quasi mai ce la si fa.
Così è dolore.
... almeno credo, io... non ne sono sicura...
Per la canzone: grazie.
@sirio59.mm
RispondiEliminaEh, che dobbiamo fare? È una domanda che forse non ha risposta.
Tra il dire e il fare, tra il pensare e il fare, c'è di mezzo il mare, e anche a ridurne la distanza probabilmente è impossibile azzerarla.
Se mi mettessi a fare il computo dei propositi che puntualmente disattendo, mi deprimerei.
Però per cercare di ridurre quel mare, per provare ad attraversarlo, non penso che il "dubbio" sia un ostacolo, anzi.
Restando nella metafora, il dubbio stimola una riflessione, un mettersi in discussione, testare i propri convincimenti, sgretolarli là dove sono cedevoli, come con un martelletto, individuando le falle, il legname cedevole dello scafo.
Poi però, finito il tempo da dedicare alla riflessione, alla valutazione, bisogna - come dire - imporsi di salpare, con le provviste che si è riusciti a mettere a bordo nel frattempo.
Altrimenti il dubbio diventa ozioso e infinito procrastinare. E non si leva mai l'àncora.
Ecco, un dubbio che a un certo punto si fa "certezza critica" può avere un valore. Penso anzi che metta in una posizione di vantaggio rispetto a tanti nocchieri arroganti, che, qualora si incagliassero nelle secche di una realtà che contrasta con le loro certezze, non saprebbero come districarsi.
Invece chi ha la capacità di dubitare, non dà niente per "fisso nel cielo", ed è sempre pronto ad armarsi di astrolabio, e con volontà, senza perdersi d'animo, adattare la rotta alle nuove costellazioni della vita.
L'ho detto "romanticamente", ma penso che questo sia il serio, concreto beneficio del dubbio.
Che diventa una risorsa positiva, e fattiva.
Ma a parole la faccio facile, poi, come te, pure io non sono così sicuro della rotta da tenere.
ps: hai disegnato la faccina con naso pacioccone, ma con nasone grosso o da avvinazzato o da pagliaccione, quella con la "o" maiuscola per intendersi. Si vede che deve ancora smaltire le libagioni d'inizio anno.
Però dai, come primo tentativo sei stata bravissima!
:o)