(segue dal post -1- pubblicato in data 3/12/2010 , -2- pubblicato in data 6/12/2010 , -3- pubblicato in data 7/12/2010, con le stesse etichette. Tra parentesi quadre, mie brevissime riflessioni estemporanee. Virgolettate le citazioni integrali del testo.)
Con il presente, chiuderò l’ elenco dei preannunciati bisogni vitali dell’ anima umana, che si completano con il più sacro, in assoluto: LA VERITA’.
Ecco la prosecuzione:
10* La sicurezza
E’ un bisogno vitale dell’ anima.
La paura, o, peggio, il terrore persistenti pongono l’ anima sotto un peso schiacciante. Essi sono veleni letali e possono essere indotti da molte e varie circostanze. Non temiamo soltanto l’ eventuale violenza dei malviventi, la repressione politica nei periodi più bui della dittatura, le malattie incurabili, ma anche –e forse in maggior misura, nonché oggi più che mai-, la probabilità di perdere il nostro lavoro, di non trovarlo mai, di non avere alcuna garanzia sociale e civile. Nell’ età moderna paventiamo anche la solitudine, fisica e morale, l’ isolamento intellettuale, il rifiuto della collettività.
L’ anima soffre pesantemente quando le sventure si abbattono su di noi dandoci l’ esatta misura della limitatezza delle nostre umane forze.
La paura, anche se latente, pone l’ essere umano in condizione di grave debolezza.
I patrizi romani, consapevoli di questo, tenevano una frusta appesa all’ atrio delle loro case, perché gli schiavi l’ avessero sempre sotto gli occhi, sapendo che ciò corrispondeva ad incutere nei secondi uno stato di semi-morte dell’ anima.
Dopo la morte, secondo gli egizi, il giusto doveva poter dire: “Non ho fatto paura a nessuno”.
11* Il rischio
Altro bisogno essenziale dell’ anima.
Simone Weil sosteneva che il rischio fosse necessario nelle azioni umane proprio per evitare una forma di “noia” capace di paralizzare l’ anima.
“Il rischio è un pericolo che provoca una reazione rflessa; cioè non sorpassa le risorse dell’ anima al punto di schiacciarla sotto il peso della paura. In certi casi contiene una parte di gioco; in altri, quando un obbligo preciso spinga l’ uomo ad affrontarlo, è lo stimolo più alto che esista.”
12* La proprietà privata
L’ essere umano è naturalmente portato ad appropriarsi mentalmente, ed a prescindere dai diritti legali che gravano sulle cose, di ciò che egli ha usato in modo continuativo e per lungo tempo per ragioni di lavoro, ma anche per altre necessità della vita e perfino per piacere. Se il giardiniere cura, organizza e lavora per anni un giardino che non gli appartiene, dentro di sé lo sentirà ugualmente un po’ suo.
Questo implica che anche la proprietà privata rientri tra i bisogni essenziali dell’ anima.
E’, comunque ed in generale, un naturale riflesso umano, osservabile in una grande quantità di occasioni. Ogni qualvolta si impegnano, in svariate fogge, le nostre personali energie –vuoi sul lavoro, vuoi su un impegno meramente ideale e morale, vuoi su una qualsiasi altra attività, anche ricreativa, o creativa senza fini di lucro-, il meccanismo dell’ “appropriazione”, a livello mentale, scatta. “E’ opera mia”, “C’è il mio personale apporto”, sono automatismi di cui non siamo perfettamente consci, ma inequivocabilmente sempre presenti.
[L’ uomo è un animale EGOISTA, nel senso più lato del termine.]
A questo punto e dopo le suesposte premesse, la Weil addiviene alla conclusione che, essendo questo un bisogno vitale dell’ anima, ed essendo l’ Uomo portatore di destino eterno, deve essere per tutti.
Qui la filosofa mi commuove.
Commuove [ed è un effetto quantomeno strano e singolare, dato che parliamo di una pensatrice rigorosa, che, in quanto tale, usa innanzitutto gli strumenti razionali dell’ intelletto per avvalorare e sostenere le proprie tesi] perché dipinge i contorni di un sogno, nella sua ingenuità perfetto. Ecco la sua Utopia, la sua generosa e nobile Utopia.
Scrive, infatti: “ Le modalità di questo bisogno variano molto secondo le circostanze; ma è auspicabile che la maggior parte degli uomini sia proprietaria dell’ alloggio e di un po’ di terra e, quando non vi sia un’ impossibilità tecnica, degli strumenti di lavoro…”
13* La proprietà collettiva.
Altrettanto importante, nell’ anima umana, è il desiderio di partecipazione ai beni collettivi.
[Noi dovremmo sentire “nostri” i monumenti, i giardini, gli Uffici, il Parlamento, le coste, i mari, le spiagge, le montagne , le strade, la flora e la fauna, e qualsiasi altra cosa pubblica che attenga al Paese cui apparteniamo.]
La grande fabbrica moderna costituisce, invece, per la Weil, uno “spreco”, dal punto di vista della proprietà. Soltanto da una prospettiva non sufficientemente meditata , simile affermazione può apparire contraddittoria.
“Non esiste nessun legame naturale tra la proprietà ed il denaro: il legame oggi stabilito è solo il risultato di un sistema che ha concentrato sul danaro la forza di ogni possibile movente. Questo legame è dannoso; occorre operare la dissociazione inversa. Il criterio vero, per la proprietà, è che essa sia tanto legittima quanto reale.”
“Ogni specie di possesso che non dia a nessuno la soddisfazione dei bisogno di proprietà privata o collettiva può, a buon diritto, considerarsi nulla.”
Simone Weil non pensava affatto [e spero non sfugga questo particolare] che ogni proprietà collettiva dovesse risalire allo Stato, ed in ciò si differenzia nella sostanza dalla teoria normalmente affiliata al comunismo. Ella, semmai, senza incorrere in sterili ideologismi, affermava che occorre tentare di farla diventare “vera” proprietà, cioè far sì che soddisfi pienamente il bisogno di ogni cittadino di riconoscere ciò che ha natura e funzione pubblici come legittimamente suoi.
[Io credo che, se così fosse, nessuno permetterebbe –per citare qualche esempio- di operare scempi di qualsiasi genere sul territorio nazionale, di accatastare spazzatura nella propria città, di dover pagare per usufruire del bene comune delle spiagge e dei lidi, e via così, in un elenco pressoché infinito.]
14* La Verità.
Nei precedenti post è stato citato il bisogno della libertà d’ opinione: quello della verità, che è assolutamente sacro per l’ anima, lo integra e completa.
La Weil ricorda uomini che lavorano otto ore al giorno e che, la sera, si sobbarcano l’ enorme sforzo di cercare di istruirsi attraverso la lettura. Ciò che leggono deve corrispondere al vero –dice-; non possono essere nutrirli di menzogne. Sorge in questa riflessione lo scrupolo di coscienza dell’ intellettuale onesto che non desidera approfittare della propria influenza o della propria cultura per seminare il falso o il tendenzioso.
“… è vergognoso tollerare l’ esistenza di giornali dove un redattore non può lavorare se non consente talvolta ad alterare scientemente la verità, …”
“… quando il giornalismo si confonde con l’ organizzazione della menzogna è un delitto. Ma si crede che sia un delitto destinato a sfuggire alla punizione. Che cosa mai ci può impedire di punire un’ attività quando essa sia stata riconosciuta come delitto? Da che cosa deriva questa strana concezione di delitti non punibili? Questa è una delle più mostruose deformazioni dello spirito giuridico.”
La filosofa auspicava l’ istituzione di tribunali speciali, grandemente rispettati, ed il divieto assoluto di qualsiasi propaganda di qualsiasi genere per mezzo della stampa e della radio, che avrebbero continuato a servire esclusivamente all’ informazione non tendenziosa.
“Ma, ci si chiederà, chi garantisce l’ imparzialità dei giudici [a tal fine preposti]? L’ unica garanzia, oltre alla loro indipendenza totale, è che essi provengano da ambienti sociali molto diversi fra loro, che per natura siano dotati di un’ intelligenza ampia, chiara e precisa, e che siano formati in una scuola nella quale abbiano ricevuto un’ educazione non tanto giuridica quando spirituale e solo in secondo luogo intellettuale. E’ necessario che in quella scuola essi si abituino ad amare la verità. Non è possibile soddisfare l’ esigenza di verità di un popolo se a tal fine non si riesce a trovare uomini che amino la verità.”
[Pensiamo ai nostri telegiornali, pensiamo ai nostri quotidiani: Simone Weil descrive e sogna un miraggio.
Personalmente, invece, io pongo in discussione l’ incipit stesso del suo ragionamento: non sono certa che la verità sia ancora un bisogno. Non so come, ma temo che oggi l’ Uomo l’ abbia eliminato dal DNA dei suoi bisogni essenziali. Non vedo, non conosco, non incontro più individui che avvertano con improrogabile e dolorosa passione la necessità di cercare il vero, e di pretenderlo. Ad esso si è sostituito un generale velo di accomodanti compromessi, che ci depauperano, senza che ci sia dato d’ avvedercene con sufficiente chiarezza, del nostro più intimo ed inappellabile diritto alla libertà.]
mia cara, in questi giorni sono così presa da certi eventi che non ho il tempo necessario per poterti scrivere...mi è molto piaciuto questo tuo capitolo dedicato alla Weil, provo anche io sensazioni di vicinanza e distacco dal suo pensiero...una sorta di contraddizione che appartiene a chi, secondo me, è aperto all'accoglienza dll'ignoto.
RispondiEliminail pragrafo sulla proprietà, privata e collettiva, ne è il suggello.
ciò che è nostro non potrà mai appartenere al mondo.
ma ciò che più mi ...coinvolge è questo:
Ma, ci si chiederà, chi garantisce l’ imparzialità dei giudici [a tal fine preposti]? L’ unica garanzia, oltre alla loro indipendenza totale, è che essi provengano da ambienti sociali molto diversi fra loro, che per natura siano dotati di un’ intelligenza ampia, chiara e precisa, e che siano formati in una scuola nella quale abbiano ricevuto un’ educazione non tanto giuridica quando spirituale e solo in secondo luogo intellettuale. E’ necessario che in quella scuola essi si abituino ad amare la verità. Non è possibile soddisfare l’ esigenza di verità di un popolo se a tal fine non si riesce a trovare uomini che amino la verità.”
è l'imparzialità che manca ai giorni nostri
e all'anima nostra.
scusa se ho dimenticato di firmarmi...
RispondiEliminabuon week end Morena
Carla
Non preoccuparti, cara, dell' avarizia del tempo: succede anche a me, ed è una cosa che mi fa un po' soffrire. Sono così intollerante alle restrizioni ed ai limiti esterni...
RispondiEliminaQuello che sottolinei è davvero un punto cruciale: dovrebbe esistere una "scuola della dell' integrità", una "scuola dell' onestà intellettuale ed etica", fondata su pochissimi, neutri, totalmente laici, universali principi. Principi inossidabili e talmente giusti da abbacinare di verità.
La Weil è una visionaria in molte delle sue congetture. Con ogni probabilità lei pensava, sovente, "se questo sogno lo posso concepire io, forse...forse non è poi così impossibile; forse lo potrebbe sognare qualcun altro; forse non è sbagliato; forse cambierebbe il mondo e lo renderebbe migliore..."
Prevalse, poi, in lei, il pessimismo. Un pessimismo senza riscatto, dolorosissimo, che la portò a credere necessaria la decreazione (ricordi? ne abbiamo accennato anche da Fabio...).
Hai ragione, Carla: forse il tratto più nobile dell' umano è il dubbio.
Ho visto che hai apprezzato il bacio delle garzette :-)
Un abbraccio, a presto.
Morena