domenica 26 dicembre 2010

Ricordi brevi di intellettuali estinti. Giuseppe Prezzolini, Luigi Einaudi: quando l' idea liberista non poteva essere scissa da quella di rigore scientifico, fiducia nella ragione, civismo, rispetto del lavoro. -2-

( conclude il post -1- dedicato a Giuseppe Prezzolini )

Il Bobbio affermò che si doveva a Salvemini e a Einaudi se in una storia delle idee del primo decennio del Novecento si fossero potute conservare, "tra tante aberrazioni e infatuazioni e distrazioni", quelle liberali e democratiche.

Luigi Einaudi fu un grande economista, Presidente della Repubblica dal 1948 al 1955, che auspicò una vita politica stimolata dal vivificante contrasto sociale tra le parti, nell' ambito della società civile, da risolvere nel rispetto delle leggi e nella comune convivenza. Liberale era, per lui, "colui che crede nel perfezionamento materiale e morale conquistato collo sforzo volontario, col sacrificio, colla attitudine a lavorare d' accordo con gli altri".

Del socialismo non amava la pretesa di "imporre il perfezionamento con la forza", ma non fu mai avverso alle lotte sindacali ed alle rivendicazioni della classe operaia, considerando la lotta di classe non soltanto importante dal punto di vista economico, ma anche prezioso terreno di progresso educativo e morale.
A suo avviso lo Stato avrebbe dovuto governare il meno possibile, garantire la sicurezza del cittadino, ma limitare al massimo il suo interventismo.

Come gli altri intellettuali di "La Voce" - gli intellettuali dell' epoca-, aveva clamorosamente sbagliato nello sperare che un Paese potesse essere cambiato grazie alla forza dell' intelligenza, del rigore scientifico, dell' etica personale: questi sono, sono sempre stati, sempre saranno i sogni ingenui di poche persone perbene, ma, da che mondo è mondo, chi vince sono i maramaldi, ovunque ed in ogni epoca.
Così è, pure se non ci pare.

***


Le speranze del Mezzogiorno.

"... Invece di profondere milioni a creare nuove e sempre pestifere clientele politiche, la cui natura non muterà anche se manderanno al Parlamento dei politicanti radicali o socialisti invece dei sedicenti conservatori di adesso, invece di fare ciò che è inutile e dannoso, invece di ingerirsi in ciò che è meglio che la gente impari a far da sé, lo Stato faccia ciò che gli individui isolati non sono stati finora capaci di fare:
   - renda giustizia a tutti ed instauri il regno della sicurezza personale per chi vuol lavorare, per chi osa dai grossi borghi abitati recarsi a dimorare nelle campagne disabitate e malsicure. Qual pazzia è quella da cui son presi i saltimbanchi e gli azzeccagarbugli che sono ormai tutte le classi dirigenti d' Italia, di far fare allo Stato il navigatore, il ferroviere, il prestatore di denari a mite interesse agli immeritevoli che chiedono e persino a coloro che nulla pretendono (proprietari delle Romagne), il venditore di zolfo e di agrumi; mentre si trascurano in modo indegno, vergognoso, quelle che furono sempre dello Stato le funzioni essenziali: tenere a segno i malviventi e impartir giustizia rigida ed imparziale a tutti? Contro questo andazzo che rende l' amministrazione pubblica manutengola e complice dei peggiori elementi sociali, dispensiera di favori agli inetti è d' uopo insorgere con tenacia e violenza;
   - ricostituisca la terra, non colla colonizzazione e con sussidi inutili, ma col rimboschimento diretto dei territori più elevati, regoli con bacini e serbatoi il deflusso delle acque ed intraprenda poi le bonifiche delle paludi malariche della pianura. L' opera sua sarà tanto più feconda se si riuscirà a vietare alla burocrazia, orgogliosa di aver salvato il monte, di scendere al colle, dove l' albero crescerà da sé, per tornaconto economico del contadino, purché non gli sia fatto venire in odio la tirannia dei regolamenti;
   - istituisca scuole, dove le giovani generazioni siano addestrate all' uso degli strumenti, con cui l' intelletto si eleva e si formano le utili capacità sociali.
Sovratutto lo Stato distrugga l' opera sua del passato.
...
Non solo di 'non fare', amico Nitti, ha bisogno il Mezzogiorno, ma anche di 'disfare' il mal fatto.
..."

(stralcio articolo apparso su "La Voce" 1911)

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