Ma il senso non c'è e non è stato mai.
Inoltre, invece -aguzzo lo sguardo-, sono corvi malinconici, che vagano senza tregua alla ricerca di cibo. Tanta è la fame, che basta sia virtuale, e poi virtuale diventa anche quanto più di desiderabile esista.
Così in questo enorme infingimento il bisogno nasce, in qualche istante s'illude, e poi smette.
Un desiderio in meno, un passettino di avvicinamento in più verso le braccia della grande equa mietitrice.
Desiderare è il solo modo in cui sappiamo esistere.
E' sempre, poi, tutto quanto, questione di semplice battito di ciglia: quanto basta per mutare il fotogramma sul quale concentrare la mente e reinventare di botto la sostanza stessa della vita.
Se fossi lì, lì dove sono già stata, sulla croda al di sopra del Laghetto dei Negher, e m'imbattessi, come allora, in quell'enorme branco di stambecchi, sarei occupata in altri e circostanziali pensieri, pur se -poniamo- la mia vita ordinaria fosse la stessa di oggi.
Sono costretta a farmi largo tra quelle paradossali capre dalle dimensioni di muli e la mia amigdala lancia qualche messaggio di timore: nessuno mi ha saputo dire se i possenti maschi che vegliano femmine e cuccioli potrebbero interpretare come potenzialmente minaccioso il mio attraversamento.
Proseguo lentamente, lentamente, lentamente. L'indefinibile globo acquoso dell'occhio del capobranco mi segue come ombra. Ombra gravosa: la preoccupazione muta in quasi-paura, non so niente di stambeccologia.
Che ne sarebbe della teoria dei corvi malinconici?
Più nulla, azzerata, vanificata.
Lassù ci sono i corvi neri, i corvi veri, rocce millenarie, il vento che le sferza, il sole che screpola le labbra, il silenzio, i richiami d'amore, l'eterna rinascita, assente all'uomo ed indifferente.
Forse siamo un esecrabile, irrilevante, incidente evolutivo.
Eppure, se riuscissi a convincermene fino in fondo, so che mi sentirei davvero meglio, e non inciamperei più nelle mortificanti occasioni in cui, tra umani, altro non sappiamo scambiare che acre frustrazione e miseria.
Un desiderio in meno, un passettino di avvicinamento in più verso le braccia della grande equa mietitrice.
Desiderare è il solo modo in cui sappiamo esistere.
E' sempre, poi, tutto quanto, questione di semplice battito di ciglia: quanto basta per mutare il fotogramma sul quale concentrare la mente e reinventare di botto la sostanza stessa della vita.
Se fossi lì, lì dove sono già stata, sulla croda al di sopra del Laghetto dei Negher, e m'imbattessi, come allora, in quell'enorme branco di stambecchi, sarei occupata in altri e circostanziali pensieri, pur se -poniamo- la mia vita ordinaria fosse la stessa di oggi.
Sono costretta a farmi largo tra quelle paradossali capre dalle dimensioni di muli e la mia amigdala lancia qualche messaggio di timore: nessuno mi ha saputo dire se i possenti maschi che vegliano femmine e cuccioli potrebbero interpretare come potenzialmente minaccioso il mio attraversamento.
Proseguo lentamente, lentamente, lentamente. L'indefinibile globo acquoso dell'occhio del capobranco mi segue come ombra. Ombra gravosa: la preoccupazione muta in quasi-paura, non so niente di stambeccologia.
Che ne sarebbe della teoria dei corvi malinconici?
Più nulla, azzerata, vanificata.
Lassù ci sono i corvi neri, i corvi veri, rocce millenarie, il vento che le sferza, il sole che screpola le labbra, il silenzio, i richiami d'amore, l'eterna rinascita, assente all'uomo ed indifferente.
Forse siamo un esecrabile, irrilevante, incidente evolutivo.
Eppure, se riuscissi a convincermene fino in fondo, so che mi sentirei davvero meglio, e non inciamperei più nelle mortificanti occasioni in cui, tra umani, altro non sappiamo scambiare che acre frustrazione e miseria.
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