mercoledì 6 novembre 2013

Parole spente -3- Compassione

Che ci si parla a fare: non c'è verbo che non rimbalzi, per poi infrangersi ed estinguersi, contro il sostanziale muro di gomma di cui ciascuno di noi s'è dotato.
Ci si incontra, tra umani, sfiorandosi appena, con tutto l'armamentario di difesa sfoderato: l'altro è e deve rimanere - evidentemente -  oscuro, indefinito, prudenzialmente e ragionevolmente lontano.
E' questo il solo modo che ci consente di lasciare inalterata la focalizzazione che più di ogni altra ci preme operare nei nostri pensieri: noi stessi.
Se così non fosse, la partecipazione vera al dolore altrui, con ogni probabilità, ci schiaccerebbe ed il terrificante peso della complessità del vivere, attraverso le necessarie millanta connessioni logico/ideali/materiali/immaginarie, se osservate ed operate con scrupolo, ci manderebbe in tilt anche le più sofisticate sinapsi cerebrali.
Questo, solo se si suppone una certa onestà intellettuale e quell'integrità fisiologica e psicologica di cui qualcuno è sciaguratamente dotato e che lo rende, essendo quella insindacabile ed immodificabile, totalmente inadatto alla vita del consorzio sociale in cui si ritrova, suo malgrado, ad annaspare.
 
Gli intellettualmente disonesti  il problema non se lo pongono affatto: recitare la parte, entro i limiti canonici concessi dalla generale ipocrisia concordata per il buon vivere civile è, evidentemente, abbastanza.
E' loro sufficiente fare qualche escursione  pietistica, demagogica e breve, o di sedicente partecipazione verbale, per dirsi sensibili nei confronti della sofferenza: anche una delle più popolari autorità morali, la Chiesa stessa, grandissima meretrice, insegna, d'altronde, da sempre,  che tra il predicare e l'osservare i precetti vi può essere ampio e tollerabilissimo scollamento, tanto che il paradigma del suo messaggio sta tutto nel "più soffri e meglio ti assicuri la futura vita ultraterrena": una sorta di investimento fruttifero tacitamente siglato da bulla papale, a patto che a soffrire sia sempre qualche altro povero diavolo e checché ne dicano i suoi fedeli più acculturati, sempre solidali nel dogmatismo della Religione anche quando la loro supponenza e le loro velleità oscure li fa dichiarare d'essere invece consapevoli, un po' eretici, svegli e critici.

Sugli affari e sui modi solo terrestri, poi, nulla cambia in fondo di molto e trionfano in modo piuttosto abbagliante le ovvietà  che saranno pure degne del  popolino triviale, ma non per questo men vere.
La più ovvia di tutte è che nessuno troverà mai un'anima che si fregi amica o amante capace di partecipare davvero alla propria sofferenza, che lei non potrà mai sentire tanto "sua" e disdicevole quanto il fastidio che le procura quella pipita all'unghia del mignolo.

Dovesse, il dolore che si prova, avere connotazioni pure metafisiche, dal pragmatico considerate sempre oziose... beh, allora Compassione non soltanto tra i due s'è spenta: per quest'ultimo non era neppure brillata mai un solo istante e l'interesse che pareva mostrare era puro espediente per sedare la sua stessa noia, per cercare una qualche nobilitazione personale nel mondo di un pensiero che non padroneggia perché in realtà non gli è mai appartenuto o per esercitare l'arte della menzogna.




 

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