La sindrome probabile cui va incontro il blogger può essere fin gravissima, con un'alta incidenza di irreversibilità.
Bisogna chiarirsi le stesse proprie intenzioni ed esigenze, amici.
Bisogna chiarirsi le stesse proprie intenzioni ed esigenze, amici.
Premetto di circoscrivere questa osservazione al blogger-tipo esistenzialista, mediamente o superiormente acculturato, sufficientemente sensibile alla politica ed alla società in cui vive, generalmente romantico.
I blogger più equilibrati e perciò alla fine "sani", infatti, son quelli che hanno uno scopo, una sorta di obiettivo più o meno lungimirante e più o meno tecnico (ma è meglio più). Per esempio, Beppe Grillo ed il suo movimento, per citarne uno lapalissiano. Potrebbe pure lui esser considerato "compulsivo", se appena fosse vero che lo scaltro Beppe se ne stia a digitare personalmente post di anatemi contro le storture italiche e del mondo, ma, comunque sia, esiste certo per lui uno scopo preciso, più o meno a noi intelligibile o condivisibile.
Il blogger-tipo di cui parlo, invece, non è sempre di sinistra, anche se la cosa aiuta molto, ed ha una forte necessità di parlar tra le righe di sé stesso (tende a sovrastimarsi, ad attribuirsi esagerata importanza) e del proprio contorto, misterioso, oscuro e - perché no - talvolta decisamente affascinante, universo interiore.
Ma, sia chiaro, questa è una battutina di spirito davvero consunta: quelle due categorie sono purtroppo irrimediabilmente scomparse, stemperate nel nuovo pressapochismo indifferenziato.
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(Non mi è chiaro il meccanismo, ma pare che l'infelicità sia più di sinistra che di destra, in effetti, e pure più poetica della gioia.Ma, sia chiaro, questa è una battutina di spirito davvero consunta: quelle due categorie sono purtroppo irrimediabilmente scomparse, stemperate nel nuovo pressapochismo indifferenziato.
- E' divertente banalizzare, di tanto in tanto: dà l'illusione di poter controllare le cose del mondo. -)
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E' evidente che io alla suddetta categoria appartengo per impeto d'animo, per indole e passionalmente, e non vi appartengo poi con la ragione, che mi suggerisce costantemente che chiarirsi lo scopo intimo che muove la nostra azione è, soprattutto, un atto dovuto a noi stessi, per una certa questione di onestà tutta privata ed intima.
Ora, una volta disvelato questo, mi condanno alla crudele graticola del dubbio: allora, perché scrivo?
Non per vanità; non per ridicola aspirazione ad esibirmi (tant'è che non uso quasi facebook, che mi serve soltanto per pochissimi contatti personali e su cui non linko neppure ciò che qui scrivo, non cinguetto su twitter - che è quanto di più deprimente e ridicolo io possa concepire quale surrogato di comunicazione -, e comincio a provare intolleranza per chi ne è ormai dipendente ed assuefatto); non perché io creda davvero di riuscire ad esprimere qualcosa che venga esattamente interpretato e condiviso, sì da sgravarmene almeno un poco e godere dell'ebbrezza di ingannare temporaneamente la solitudine.
Allora dev'essere questo: scrivo in luogo di molto vivere, perché il vivere consentito con il corpo, in una vita in cui non posso scegliere quasi nulla, non è mai abbastanza, non è completamente esprimibile e realizzabile.
Scrivo perché talvolta devo e non ho altra alternativa, o implodo.
E scrivo perché scoppio d'amore per l'Uomo, che pur so così genericamente indegno, ma all'uomo della strada non posso dirlo.
Più lo scopro indegno e più ci soffro; più ci soffro e più tento di sottrarmi al dolore - ché non provo alcun piacere nel raccattare ulteriore sofferenza per aggiungerla a quella che generosamente dispensano il pungolo dei dubbi perenni e le domande eternamente sospese sul nulla -, più tento di sottrarmi al dolore e più avverto che astenermici mi depaupera comunque d'umanità, di poesia, di equilibrio, di vita stessa.
Si tratta d'imparare e tenere a mente un'osservazione, allora, che ricavo puntualmente anche nei più banali incontri relazionali: in fondo, a livello personale, quasi ogni persona desidera dare il suo meglio e la muove una naturale propensione benevola, ma tutta di facciata, che la spinge fino a sforzarsi in esercizi di accomodamento e tolleranza spesso obiettivamente ardui.
Siam tutti dei buoni diavoli, insomma, ma ci difetta il nerbo, il carattere, il coraggio, di affrontare l'altrui sguardo accigliato o spaventato quando una nostra opinione sgarra dal buonismo corrente e stride come la celeberrima stecca nel coro.
Oppure siamo generosi nel palesare critica ed indignazione, e perfino integralismo, talvolta, politicamente ed umanamente, ma se andiamo a presenziare ad un funerale, noi atei o laici integerrimi e convinti, rischiamo, per il solito buonismo, di farci commuovere dalle parole assurde del prete. Dopo poco, passa tra i banchi il questuante incaricato ad esigere bontà sonante.
Ecco, io son fatta così: scavo così tanto ed in modo così maniacale, da arrivare puntualmente alla sostanziale natura buffa dell'Uomo: è un vero disastro.
Mi fa ridere ai funerali e piangere alle feste di partito.
Alla fine, comunque, non ho scelta, e ritorno qui, alla finestra del mio abbaino, che però voglio rimanga intimo ed accogliente, a scrivere post come questo, che attendono d'essere svelati finanche a me stessa. Se qualcuno ci ha capito qualcosa lo dica. Davvero.
Non per vanità; non per ridicola aspirazione ad esibirmi (tant'è che non uso quasi facebook, che mi serve soltanto per pochissimi contatti personali e su cui non linko neppure ciò che qui scrivo, non cinguetto su twitter - che è quanto di più deprimente e ridicolo io possa concepire quale surrogato di comunicazione -, e comincio a provare intolleranza per chi ne è ormai dipendente ed assuefatto); non perché io creda davvero di riuscire ad esprimere qualcosa che venga esattamente interpretato e condiviso, sì da sgravarmene almeno un poco e godere dell'ebbrezza di ingannare temporaneamente la solitudine.
Allora dev'essere questo: scrivo in luogo di molto vivere, perché il vivere consentito con il corpo, in una vita in cui non posso scegliere quasi nulla, non è mai abbastanza, non è completamente esprimibile e realizzabile.
Scrivo perché talvolta devo e non ho altra alternativa, o implodo.
E scrivo perché scoppio d'amore per l'Uomo, che pur so così genericamente indegno, ma all'uomo della strada non posso dirlo.
Più lo scopro indegno e più ci soffro; più ci soffro e più tento di sottrarmi al dolore - ché non provo alcun piacere nel raccattare ulteriore sofferenza per aggiungerla a quella che generosamente dispensano il pungolo dei dubbi perenni e le domande eternamente sospese sul nulla -, più tento di sottrarmi al dolore e più avverto che astenermici mi depaupera comunque d'umanità, di poesia, di equilibrio, di vita stessa.
Si tratta d'imparare e tenere a mente un'osservazione, allora, che ricavo puntualmente anche nei più banali incontri relazionali: in fondo, a livello personale, quasi ogni persona desidera dare il suo meglio e la muove una naturale propensione benevola, ma tutta di facciata, che la spinge fino a sforzarsi in esercizi di accomodamento e tolleranza spesso obiettivamente ardui.
Siam tutti dei buoni diavoli, insomma, ma ci difetta il nerbo, il carattere, il coraggio, di affrontare l'altrui sguardo accigliato o spaventato quando una nostra opinione sgarra dal buonismo corrente e stride come la celeberrima stecca nel coro.
Oppure siamo generosi nel palesare critica ed indignazione, e perfino integralismo, talvolta, politicamente ed umanamente, ma se andiamo a presenziare ad un funerale, noi atei o laici integerrimi e convinti, rischiamo, per il solito buonismo, di farci commuovere dalle parole assurde del prete. Dopo poco, passa tra i banchi il questuante incaricato ad esigere bontà sonante.
Ecco, io son fatta così: scavo così tanto ed in modo così maniacale, da arrivare puntualmente alla sostanziale natura buffa dell'Uomo: è un vero disastro.
Mi fa ridere ai funerali e piangere alle feste di partito.
Alla fine, comunque, non ho scelta, e ritorno qui, alla finestra del mio abbaino, che però voglio rimanga intimo ed accogliente, a scrivere post come questo, che attendono d'essere svelati finanche a me stessa. Se qualcuno ci ha capito qualcosa lo dica. Davvero.
e noi una sbirciatina verso l'abbaino per vedere se c'è la tua luce accesa la diamo sempre. era accesa è ho sorriso anche con la faccenda del funerale e del prete: quanto è vera!
RispondiEliminaciao
Grazie, Olympe :)
EliminaUn caro saluto.
Siamo tutti alla finestra dei nostri rispettivi buchi/tane e non abbiamo altra scelta che tenere le nostre luci accese nel buio... A qualcuno, che magari neanche possiamo immaginare, potrebbero essere utili come segnale, anche solo per un attimo. Direi che può bastare far valere la pena.
RispondiEliminaUn caro saluto, Morena.
Bella immagine, Massimo, questa del baluginìo nella notte che chi vuole può cogliere: così positiva e dolce...
EliminaUn caro saluto anche a te.
Un post polposo e succoso, di una blogger bella e parsimoniosa, offre, rispetto al reparto anoressici di twitter con polpastrelli bulimico-compulsivi, l'incommensurabile vantaggio di poter trovare al proprio interno la risposta al quesito finale.
RispondiEliminaAllora dev'essere questo: scrivo in luogo di molto vivere, perché il vivere consentito con il corpo, in una vita in cui non posso scegliere quasi nulla, non è mai abbastanza, non è completamente esprimibile e realizzabile. Scrivo perché talvolta devo e non ho altra alternativa, o implodo.
Questa, oltre a quella sopra riportata, è la frase che più mi è piaciuta, con tenerezza.
Ecco, io son fatta così: scavo così tanto ed in modo così maniacale, da arrivare puntualmente alla sostanziale natura buffa dell'Uomo: è un vero disastro.
Ora, visto che tu sei troppo pigramente priva d'ambizione per farlo, tocca a me sbattermi per diffonderlo su facebook e twitter. Ma ti pare?!?!
Come disse un tale: "Mostratemi un blogger che non diffonde sui social network, e io vi indicherò un affezionato lettore che lo farà al suo posto, reputandolo un imperativo categorico, galattico perfino*!."
Ciao :o)
*cit.: Svicolone
Di ambizione ci si ammala, ma spesso di idealismo un po' si vive ancora.
EliminaE poi ci sono le menti nobili e generose, come la tua, cavaliere, come le altre, poco più sopra, a giustificare e gratificare ogni scrittura solitaria: è più che abbastanza.
Ciao, e grazie.