giovedì 9 agosto 2012

Dalle tane alle trappole.

Allora si usavano le soffitte dei finti rivoluzionari che si trastullavano con le utopie. Erano i nostri covi, le tane elevate, i micro loft freak del  momento. Dovevano essere in odor di proletariato, sennò non valeva.

-La maggioranza dei miei elettivi lettori -altra generazione-, non ne sa nulla, non ha colto quell'attimo. Quanto mi dispiace per loro. E pure per me, ché questo ci allontana un minimo dalla possibilità di  un tanto agognato ideale affratellamento. Ma, probabilmente, anche in questo mio stesso pensiero sto replicando l'errore di un tempo, e continuo ad amare sempre un po' di più coloro che, invece, non possono che amarmi molto, molto di meno.-

Io ero vera e loro erano falsi, ma al tempo non lo sapevo e non conoscevo l'uomo: a diciassette anni è già piuttosto complicato ed impegnativo svelarsi a sè stessi.
Vivere era, per me, una sorta di esperienza magica. Letteralmente.
Ingenuamente, immaginavo che lo fosse per tutti, ed in conseguenza di ciò li approcciavo con spirito affollato di simboli.
Erano simboli che brulicavano soltanto nella mia anima.
Ignoravo la mia condanna fatale di vestale di una malinconia inossidabile ed eterna, per diritto di nascita e di sorte.
A me pareva che con le note dei Birds, i Flauti Indiani, Dylan, la paccottiglia ma anche la genialità rock-romantica musicale dell'epoca, con le conversazioni bisbigliate sulle stuoie di canapa scoprendo senza infingimenti il cuore, con il miraggio di un mondo nuovo accarezzato in sogni che parevano condivisi, con i testi sacri di Kerouac e Miller, Kahil Gibran, Nietzsche, e lo stuolo degli esistenzialisti bizzarramente miscelati ai profeti laici, costruissimo un senso di appartenenza solido ed incorruttibile, capace di illuminarci per sempre.
Naturalmente mi sbagliavo.

*

"Sa quand'è diventata adulta? Sa quando si diventa adulti, signora mia?"
"Caro dottore, che risponderle? Sarà un processo individuale. Soprattutto graduale, direi. Dipende dalle esperienze, dai casi, dall'indole...Non lo so. Che importanza può avere, in fondo? Che domanda oziosa."
"No, lei non afferra la portata dell'evento. Adulti si diventa quando ci si riproduce. In quel preciso istante si posa la fiaccola, ma i giochi non hanno inizio: finiscono".

Aveva ragione. Tutti i miei amici sono morti e ciononostante respirano agevolmente.
Ed anch'io, d'altronde.
Perché lui, dai geni atipici, e nonostante, mi ha già da tempo uccisa.






12 commenti:

  1. Per me si invecchia quando sono più le volte che ci si volta a guardare indietro di quante si cerca di scrutare oltre l'orizzonte. Quando il sogno della nostalgia prevale sulla visione dei giorni a venire. Vedo la vecchiaia più come un passaggio di testimone col nostro io malinconico che non con un altro piccolo io nascente.

    Sei sempre poesia in prosa.
    Affetto

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    1. La vecchiaia è un'infamia, un processo di alto tradimento: lo spirito senza tempo avvilito e frustrato dal corpo che muore.

      Sai una cosa? Non credo che le permetterò, quando sarà, di sgretolare il mio tempio.

      Grazie per il tuo affetto, che ricambio.

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  2. A me pesa più l'invecchiamento del corpo, forse perché non ho sognato molto.
    Relativamente al tuo precedente post, e non solo, io penso che non solo procrastinare sia vile e folle, ma anche abbreviare.
    ciao a tutti e due.
    Non ci posso credere! Qui un tempo non c'era captcha, mi pare.

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    1. Dici davvero, Giovanni? Non c'era? L'ho chiesto al Cavaliere Errante, e lui giura che sì; lo giura sul proprio catino...
      Quanto a me, potrei giurare di non aver variato mai le impostazioni iniziali, che probabilmente suggerivano l'opzione, ma non escludo neppure di aver forse potuto, nel corso di scellerati smaneggiamenti da dilettante, di averla messa laddove non c'era... :)

      Sull'abbreviare ci vuole un post. Lo farò. In nessun caso, però, scorgo viltà nelle lucide scelte suicide: è l'affermazione di libertà più estrema, più alta, perché definitiva, a prescindere dal giudizio sulla sua opportunità, che è cosa a parte, e diversa.

      C'è anche, a mio avviso, una certa differenza tra la visione stoica della propria vita, ed una sua supposta 'sacralità', che invece oggi va per la maggiore e si concretizza nel prolungamento di una sostanziale agonia via via meno dignitosa.

      Il corpo si logora, può insorgere il dolore: lo si può sopportare, fino ad un punto variabile, diverso per ciascuno. Ma se mina la mente, il patrimonio della memoria, la possibilità di immaginare, la potenzialità d'amare, allora sta fagogitando qualcosa di essenziale.

      Sono soltanto cenni, bada, Giovanni: stiamo su un terreno minato. S'ha da parlarne e ragionarci davvero molto...
      Intanto, con affetto, ti saluto.

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    2. Non mi riferivo all'abbreviare l'agonia di un malato terminale, e in ogni caso ho la fastidiosa tendenza ad essere antiproibizionista, in ogni caso.
      Rimane comunque il dubbio che sia una libera scelta e non la manifestazione di un disagio psichico, la malattia di un organo, per me non credente. Non c'è giudizio morale in questo.
      Per il resto mai metterei in dubbio la parola d'un cavaliere, sono un romantico io, e distratto.

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    3. Non vorrei sembrare vanitoso, ma in fatto di captcha sono abbastanza ferrato.
      Non posso giurare che questo blog si sia sempre chiamato così, che l'autore sia sempre stata Morena, che la terra sia rotonda. Ma sul captcha mi ci gioco lo scopo di una vita da blogger!
      E pure il catino, come già detto, eheheh
      ^_^
      Ciao a tutti e due e buon week end

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  3. Se si diventa adulti solo dopo essersi riprodotti, allora tutta la gerarchia vaticana e il Dalai Lama, sono infantili. E così tutte le persone sterili. Mi sembra un po' riduttivo.
    E' vero che molti (forse quasi tutti) vedono il riprodursi come il fine ultimo delle loro vite, e infatti, una volta figliato, rimangono gli eterni immaturi di sempre.

    Negli ultimi tempi ho pensato molto spesso al suicidio, non tanto perché volessi metterlo in pratica, ma come concetto, diciamo, filosofico. Come rimedio alla stanchezza.
    E, per un caso strano, di quelli che la vita ti propone ogni tanto, il suicidio mi si è rivelato nella sua realtà.
    Un impiegato della società per la quale lavoro, due venerdì fa, ha approfittato del fatto che quel giorno il 95% della gente se ne va a casa a mezzogiorno, è salito al sesto o settimo piano del palazzo semivuoto e si è buttato di sotto.
    Qualcuno dei pochi impiegati rimasti, mentre fumava da uno dei terrazzini delle scale, ha notato un corpo disteso nel cortile interno e mi ha avvisato. Sono andato a vedere pensando a qualcuno svenuto per un colpo di calore o per ubriachezza e quando sono arrivato ho trovato una bambola di carne spezzata e priva di faccia. I carabinieri ci hanno messo un po' a capire chi era quella persona, perché era senza documenti.
    Sono stato praticamente il primo a vedere il corpo da vicino, nel cortile vuoto inondato di sole e calore. Era una cosa inerte, abbandonata, sola. Questo ho sentito, più di tutto, una terrificante solitudine. Ho provato pena per quella persona, perché un uomo era diventato una cosa, un pezzo di carne maciullato. Ho pensato che noi non sappiamo che cos'è che rende vivo un corpo, non sappiamo cosa scorre dentro di noi.
    La gente intorno aveva reazioni stranissime, per lo più sorrideva, stranamente, come se assistesse a uno spettacolo inaspettato. Sbirciavano, curiosi, impressionati, contenti di essere vivi, come ci si sente di solito di fronte alla morte.
    Avevo avuto varie volte il pensiero, in passato, più che il desiderio, di buttarmi da una finestra. Adesso avevo visto qual era il risultato. Non solo la distruzione del corpo, ma quella solitudine tremenda.
    Si è scoperto che l'uomo aveva saputo da poco di avere il Parkinson. Era nel suo pieno diritto fare quello che ha fatto e non lo giudico. Ci vuole molto coraggio per morire in quel modo. E ti dico, se avessi saputo, glielo avrei impedito. L'avrei abbracciato. Perché c'è sempre tempo, ci sono altri modi, ci sono molti rimedi, un po' di felicità può sempre essere possibile.
    Mi viene da pensare a quella solitudine, a quel gran sole, nel quale ha spiccato il salto.

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    1. Molti di noi si specchiano profondamente in coloro che il grande salto (letteralmente oppure in altre forme)l'hanno spiccato davvero.
      Io, Massimo, devo ringraziare il pensiero ricorrente dell'auto soppressione (di questo tabù infranto), perché ho molte volte toccato -e perché ancora mi ci ritrovo- il fondo del pensiero della vita che pensa sé stessa, e quando accade ciò cadono tutti i pretesti e gli alibi e la vedi qual è: un'estenuante tentativo sempre frustrato di realizzare qualcosa di te stesso, finalmente compiuto. In tale prospettiva, essa diventa una trappola ed il suicidio la scelta di libertà. Vivere, per qualcuno di noi, è soprattutto risolversi: essere, almeno, in verità. La resistenza sta tutta nell'abilità di frammentarla in più ideali e reali momenti, acché la consapevolezza del suo insieme -che altrimenti ci schiaccerebbe- non ci paralizzi al punto tale da scelgliere l'evasione definitiva. So però che sarà un gioco dall'efficacia via via più debole. Basterà una sentenza medica, la disgregazione del patrimonio della memoria, una tristezza più acuta, un fallimento dell'ennesimo tentativo di contrastare la solitudine, e quel volo diventerà uno schianto ultimo.
      Sì, anch' io, come te, sono piena, traboccante, d'amore per quell'anti-eroe che ha fissato con simile lucido coraggio almeno la sua libertà di non permettere la disintegrazione di quel poco, o tanto, che lo costituiva e lo rendeva sé stesso.

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    2. Però la vita non è pensiero: è desiderio bruciante, insaziabile di esserci, sentire, godere, espandersi. La frustrazione a questi impulsi, è tutta qui la sofferenza.
      Il corpo se ne frega del pensiero, lo sa bene cosa vuole: durare eternamente. E' il pensiero che tortura.
      C'è una netta differenza tra suicidio e eutanasia. Io non sono contrario di principio né all'una, né all'altra, ma questa esperienza mi ha ricondotto in qualche modo, alla bellezza della vita. Noi, di quel giorno abbiamo visto il tramonto, abbiamo sentito il fresco venticello che alleviava il gran caldo, abbiamo respirato, sia pure i gas di scarico della città, abbiamo visto le strade piene di macchine e di gente e gli alberi, e i cortili e grandi uccelli neri volare tra un palazzo e l'altro nella luce della sera d'estate. Lui ha deciso di non esserci. Poteva rimandare. Poteva agire in un'altra maniera. Sto dicendo sciocchezze, lo so. Ma la vita, mi sembra, è così preziosa, anche quando sembra insulsa o disperata. Non sono un pro-life, non propugno che bisogna mettere al mondo tutti, anche mostri deformi e pretendere di amarli. Non è amore della vita, questo, è idiozia.
      Ma questi momenti di bellezza sono tutto.

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    3. Io so di attimi in cui il sole, che tu ed io possiamo ora sentire come la più vivificante e luminosa delle apparizioni, appare ad altri opaco come oziosa sfera bruciante che desertifica fin nell'anima.
      Ho ricordo del plumbeo velo che la depressione stendeva sulle bellezze del mondo.
      E tutto quanto dici di quel giorno è nel contempo totalmente vero e totalmente falso: quell'uomo tremava d'orrore all'idea di raggiungere lo stesso splendido tramonto che è stato il tuo piacere... e poi la notte ed i suoi spettri..., e ciò ha fatto sì che pensiero e corpo compissero la stessa inappellabile scelta.
      Se sapessimo, se potessimo, abbandonarci ad un vivere dionisiaco felicità e dolore umani troverebbero forse un equilibrio.
      Ma è bella la tua compassione, ed io, che similmente vivo la vita, tra malinconica pietà di noi e gioie effimere ma ebbre, mi ci unisco totalmente.

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    4. E' vero, lo capisco. Ho provato anch'io attimi di disperazione assoluta. In quei momenti il sole è una presenza atroce e maligna ...
      Sì, capisco che tutto sta nella nostra percezione.
      La depressione cronica è un abisso che ho sfiorato, ma che non conosco. Finora qualcosa mi ha sempre tirato fuori.
      E' curioso che fino a pochi giorni prima di quest'episodio, io vivessi in uno stato di totale prostrazione. Il mondo era una presenza maligna.
      E' curioso come quel corpo senza vita mi abbia riportato in vita. Almeno un po'.
      Grazie per la tua partecipazione.
      Non ci sono molte occasioni per aprirsi e parlare di certe cose.

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    5. Beh, Massimo, direi che parlare di certe cose è il senso che io spero di dare a questa mia galassia virtuale e quello che più mi preme ed interessa. Così, sono io a ringraziare te per le occasioni di confronto e l'intensità del tuo apporto.

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