mercoledì 30 marzo 2011

Folle - masse - media e politica. -1-



Io, confesso, sto sempre peggio. Tralasciando i miei casi personali (dove tutto è piuttosto sconquassato), sto molto a disagio come appartenente alla specie umana, genericamente, e come cittadina del mondo. Così, dato l' obnubilamento di futuro, provo a ricordare il recente passato, per capire anche -io spero- dove ci condurrà la Storia, ammesso che ce ne sarà una.
Tutto questo -già lo so-, non mi porterà che a ripetere ciò che ogni giorno bisbigliamo in molti -soprattutto in noi stessi o tra digitatori romantici- e cioè che questo schifo di Potere non ci piace, lo butteremmo a mare, e vorremmo un nuovo mondo, stavolta a misura d' uomo.
Intanto, il post n° 1.


Nell' arco temporale di settantacinque anni, dalla prima guerra mondiale del  1914 al crollo del muro di Berlino nel 1989 s'è preparata la storia perfetta del XXI secolo.
Dal punto di vista, dunque, prettamente storico (diacronico, perché lo storico fissa gli eventi importanti di un' epoca rilevando a grandi linee la discontinuità tra ciò che viene prima e  ciò che viene dopo), il Novecento è stato "breve", mentre da quello sociologico, che richiede un metodo sincronico, che si occupi della lunga durata, può dirsi, al contrario, un secolo lungo, dalle lunghissime e ramificate conseguenze, e più che in ogni altro campo, ciò è evidentissimo nella comunicazione, in particolare in quella definitita "di massa".

Nell' antichità la massa non esisteva. I grandi raduni di persone -assemblee politiche (nella città-stato), giochi olimpici, cerimonie religiose, spettacoli teatrali od altro-, costituivano le folle.
La differenza sostanziale e concettuale è profonda: anche se folla e massa sono, entrambe, agglomerati di persone che rispondono a determinati stimoli come se fossere un unico soggetto -poiché forniscono una reazione collettiva pur essendo composte da tanti singoli e diversi tra loro individui-, nella massa l' effetto di fusione ed identificazione si produce anche quando i singoli componenti non sono in contatto fisico tra loro.
Ciò è stato reso possibile dallo sviluppo della tecnologia, delle macchine, dei congegni complessi.
Come disse Marshall McLuhan, ogni tecnologia non è altro che un' estensione dell' organismo umano nell' ambiente.
Nel corso del XIX secolo, il macchinismo industriale ha creato tutti i presupposti per renderci, poco a poco, masse:
  • fine anni Trenta: riproduzione e circolazione su larga scala di immagini grazie alla fotografia;
  • 1844: scoperta del telegrafo da parte di Samuel Morse;
  • 1846: si apre l' epoca delle rotative (Robert Hoe) che consente la stampa dei giornali in centinaia di migliaia di copie;
  • 1848: viene fondata l' agenzia di stampa Assosiated Press, statunitense, grazie alla quale vent' anni dopo, attraverso la posa del cavo sottomarino Terranova-Islanda, la rete telegrafica copre tutto il globo;
  • 1876: Thomas Edison mette a punto il fonografo;
  • 1895: i fratelli Lumière inventano il cinematografo.
Macchina a vapore e centrale elettrica, poi, cominciano a rappresentare, oltre che cicli storici del meccanicismo, anche cicli dell' immaginario collettivo.
Cominciano a nascere le masse.
La concentrazione degli operai nelle fabbriche, la standardizzazione dei prodotti, la conseguente assimilazione degli stili di vita che genera omogeneità nei comportamenti, i quali, a loro volta, per il noto processo di contagio ed imitazione, tendono ad espandersi in tempi sempre più brevi nelle parti più lontane del globo, è l' imput iniziale.
Con l' elettricità distribuita su larga scala dalle grandi centrali si compie uno straordinario balzo evolutivo verso il processo di massificazione: muta il modo di produrre, la divisione del lavoro -grazie a quest' energia non visibile all' occhio umano e prodotta dal turbinio di occulte particelle elementari- si fa differenziata e complessa, si formano le "folle solitarie", nasce la sindrome della "anomia", diventa più difficile dare un senso ai propri comportamenti.
Quando in una società i processi di differenziazione diventano preponderanti, succede -come osservò Georg Simmel- che le cerchie sociali s' infittiscano e si sovrappongano, di modo che gli individui spesso si trovano a far parte contemporaneamente di più cerchie sociali dai valori e schemi talvolta contrastanti e senza avere la reale opportunità di operare scelte.
Per evitare la conseguente sindrome da "vita nervosa" tipica della realtà metropolitana, ecco che le masse così create tendono ad assumere il tipico atteggiamento di distacco e disincanto -necessaria difesa dalle forze soverchianti di cui sopra-: la massa è acefala ed indifferente.

Secondo Walter Benjamin, l' "agente più potente" delle trasformazioni culturali che hanno condotto allo sviluppo della società di massa tra l' Ottocento e il Novecento fu il cinematografo, in quanto la tecnologia delle immagini di cui esso si avvale necessariamente standardizza il reale e lo massifica.
Il cinema, cioè,  facendo dissolvere l' aura di autenticità da cui erano circondate le cose e le persone nelle società tradizionali (l' attore è anch' esso uno strumento, un attrezzo, ed il pubblico si immedesima alfine nell' apparecchiatura), induce ad una prima sconosciuta simbiosi uomo-macchina. La logica che esso rappresenta e diffonde è quella della serializzazione: esso "pone al posto di un evento unico una serie quantitativa di eventi", talché "in nessun luogo più che nel cinema le reazioni dei singoli, la cui somma costituisce la reazione di massa del pubblico, si rivela preliminarmente condizionata dalla loro immediata massificazione."
***
Una coincidenza davvero significativa è costituita dal fatto che proprio nell' anno in cui i fratelli Lumière inventarono il cinematografo, uscì il pamphlet di Gustave Le Bon La Psychologie des foules.
"L' età che inizia, il cui avvento segnerà la fine della civiltà occidentale ed il principio di un ciclo storico di disordine, regressione morale e anarchia sociale"
Ecco la necessità di affinare l"Arte del governare": stiamo ad assistere al sorgere della cosiddetta "psicologia collettiva".
Verso la metà degli anni Ottanta del XIX secolo l' Europa guarda accadere una serie importante di attentati anarchici, scioperi, manifestazioni di piazza, sommosse. Folle inferocite impegnate in scontri fisici, che lasciarono numerosi morti e feriti sul terreno, con le forze dell' Ordine.
Nel 1886, a Liegi, la rivolta iniziata a causa di una riduzione di salari e che presto coinvolse, a macchia d' olio, le miniere e le fabbriche, assunse caratteristiche impressionanti. Intere aziende distrutte, campagne saccheggiate, edifici inceneriti, rivoltosi armati di dinamite e pistole, determinati a distruggere tutto, mossi da una rabbia ed un furore incontenibili.
Immerso nella folla l' individuo subisce una sorta di regressione? Compie atti che, come singolo,non avrebbe compiuto mai?
Il giudizio di  Gabriel Tarde, che si occupò dei crimini delle folle, fu che esse costituiscano un residuo di passato e che i loro comportamenti distruttivi non siano quasi mai spontanei, ma, piuttosto, risultato di manipolazioni di partiti e sette organizzati oltreche il prodotto di allarme sociale diffuso con articoli sensazionalistici dai media.
Con questi ed altri precedenti l' opera di Le Bon ebbe immediato successo, nonostante evidenti insufficienze metodologiche, imprecisioni e contraddizioni, e fu letta con ardore da Freud, Jung, Schumpeter e con attenzione da Max Weber e Pareto. Benito Mussolini vi imparò le tecniche fondamentali della propaganda di massa.
"Conoscere l' arte di  impressionare l' immaginazione delle folle vuol dire conoscere l' arte di governare." scrive Le Bon.

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(elaborazioni da scritti di Carlo Marletti)


E io so che voi sapete dove voglio arrivare con questa faticosa premessa...

(Segue...)

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