mercoledì 29 settembre 2010

La monade perplessa

Ficcarsi in un ruolo, un aspetto, una foggia, un carattere; rendersi un sunto, una versione leggibile, comprensibile, abbastanza chiara -quantomeno alle menti meno pigre, più intuitive, vive-; darsi, appartenere, partecipare, condividere: così si dovrebbe fare, se solo vi si riuscisse, per guadagnare un po' di compagnia, di umano calore, di vicinanza.
Ma come si fa a decidere d' essere quella certa qual cosa, senza inficiare tutte le altre, in questa breve parentesi mortale, peraltro unica, e pur in questo  onesto e necessario ateismo.
Non tutti sanno delegare.
Io, per esempio, non ne sono capace.
Non riesco a delegare alla religione la mia consapevolezza dell' Abisso che inghiotte ogni ragione, ed intanto la mia individualità reclama incessantemente la sua quota di significato, di legittimazione.
Un senso.
Uno sfogo.
Un pretesto.
Le domande tendenti a trovare una parvenza di significato, le domande in attesa di risposte, l' attesa di  una conciliazione tra ciò che sono e ciò che dovrei limitarmi ad essere -che mi è consentito essere con gli strumenti umani di cui dispongo-, non mi conducono che all' incontro con il Caos.
Ed il Caos, semplicemente, è.
Onestà intellettuale ed applicazione non portano che a questo.
Ogni istante sia, allora, il sempre, il tutto, il mai.
Nell' istante ogni dolore, ansia, desiderio, proiezione futura siano epurati drasticamente, completamente: dev' essere nudo, dev' essere puro, dev' essere uno, avere il pieno senso, non averne nessuno.


...


Nel periodo della sua permanenza a Berlino, il giovane Dott. Giuliani recò con sé tutta la sua italianità, suo malgrado e molto inconsapevolmente.
Conosciuta in corsia Edel, laureanda in otorinolaringoiatria, la invitò a bere qualcosa, una volta finito il turno, e magari a farsi una pizza insieme.
Edel lo condusse poi nel suo miniappartamento, ove trascorsero la notte.
L' indomani Giuliani la rivide, nel corso del giro pomeridiano delle visite.
L' emozione, pur leggera, aveva qualcosa di ancestrale, che non tentò di sondare, ma che lo fece arrossire un po', procurandogli una sorta di inutile imbarazzo.
Pensò di doverle sfiorare una mano, accennando un sorriso vagamente complice.
Edel lo guardò con occhi indifferenti. Seccata da quel contatto e stupita,  gli chiese poi, senza alcun sarcasmo : "Ma tu, chi sei?" . E ripose la totale attenzione sul suo lavoro.

 ***

2 commenti:

  1. Cara Morena

    cosa volevi dire riportando la storia di Edel? E da dove è tratta questa storia?

    Dino

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  2. Ciao Dino, ecco com' è.
    Dopo la morte di mio padre, appena sessantenne, nel 1993, alla fine di una malattia penosa protrattasi quattro anni dalla sua diagnosi, cominciai a soffrire di attacchi di panico. Come succede al proverbiale castello di carte, causa un imprevisto soffio d' aria, mi ritrovai, anch'io, senza volerlo, a contemplare l' intera struttura della mia esistenza andata in pezzi, travolta dal dolore. Tanta era stata la forza impiegata nel dare il supporto necessario a mio padre, quanta la violenza della caduta all' allentarsi dello stress con l' inevitabile epilogo. Fui costretta a ricorrere ad uno specialista in neuro-psichiatria per tentare di uscire, attraverso una terapia idonea, da uno dei momenti più cupi e difficili della mia vita, che, in quel momento, mi impegnava anche sotto altri ed importanti fronti. Il disturbo da attacchi di panico è altamente invalidante e ti paralizza in una situazione di latente e persistente paura, senza peraltro che tu possa individuare con esattezza l' oggetto o l' evento che paventi. Non puoi uscire di casa, non puoi rimanerci, non puoi parlare, non puoi tacere, non puoi prendere, non puoi dare: il tutto perché il minimo movimento, od una qualsiasi divagazione mentale potrebbero scatenare il mostro, quello che ti afferra la gola e stringe...
    La storia di Edel me la raccontò il mio medico (era un fatto accaduto -io credo- nella sua vita), tra una chiacchierata e l' altra, come per caso, per sottolineare l' aleatorietà del futuro e la sua assoluta inesistenza, la sua irrealtà, la sua portata vana ed illusoria, sempre frutto delle nostre velleitarie attese: inutile proiettarcisi anzitempo, inutile temerlo od anche solo attenderlo.
    "Vivi ora, più che puoi,nella tua massima pienezza, come se domani non fosse" : questo era il messaggio.

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