lunedì 27 settembre 2010

Noi, le borderline della globalizzazione... Psicopatologia della giornata in un call- center di una splendida cinquantenne improvvisamente disoccupata.



Se c'è un concetto che, a partire da Rousseau, ha impegnato filosofi, psicanalisti, storici ed economisti, permanendo più che mai attuale ai giorni nostri, è quello di "alienazione".
Ricordo che nei miei temi d' Italiano ne facevo un uso incessante e generoso. Negli anni settanta, infatti, essere consapevoli di vivere in un sistema di potere che conduceva l' individuo all' allontanamento da sé, costituiva l' incipit di ogni altra e più specifica analisi politica e sociologica, nonché elemento necessario all'appartenenza al gruppo.
Entrati poi -in qualche ma relativamente semplice modo-, nel mondo del lavoro, il concetto divenne, per la gran parte di noi, amara esperienza. Ciò che poteva consolare il dipendente era la certezza del salario o dello stipendio mensile.

Seneca ci invita a guardare sempre a chi sta peggio di noi, per poter rendere sopportabile una realtà che ci appare difficile ( e non si può certo dargli torto, in linea di massima), ma oggi la situazione del precariato lavorativo rende veramente eroico l' esercizio dello stoicismo.
Ora, molte delle "sicurezze" -anche se  modeste- di allora sono andate perdute.

Crisi.

Non mi riferisco soltanto alla qualità dei lavori precari che il mercato offre in modo indiscriminato a prescindere dalla professionalità, dall' eventuale esperienza maturata, dalle attitudini od abilità, ma anche e soprattutto alla principale rinuncia cui si viene costretti per accedere ad una nuova fonte di reddito/sopravvivenza, quando si è perduta la precedente: il proprio sé e la propria autostima.
Il mercato in crisi deturpa, prima della situazione oggettiva di vita, la dignità umana.


Per esempio, guardiamo l' esperienza di questa donna, 25 anni di anzianità lavorativa e quadro amministrativo di grossa multinazionale energetica, trasferita a 400 Km da casa per esigenze di  ristrutturazione aziendale, posta in un nuovo ufficio tra l' ostracismo cinico di colleghi (o, indifferentemente, colleghe) e superiori e dopo qualche mese di sopportazione ed umiliante resistenza allo strisciante mobbing, costretta -alle prime avvisaglie di incipiente malattia depressiva-, a dimettersi.
La donna, cinquantenne, torna a casa, per cercare una nuova collocazione nel mercato che le consenta di mantenere sé stessa ed il figlio ventiduenne studente universitario.
La psicologia del nuovo disoccupato è piuttosto a rischio: di esperienza frustrante in esperienza frustrante, egli scivola a velocità esponenziale verso gli abissi della disperazione.

Ma si trattava di divagazioni, perché, in verità, io volevo raccontare come funziona uno dei moderni call-center, luogo cui la donna del presente racconto è, suo malgrado, approdata.
Lo dicono "marketing". Lo vorrei raccontare sotto il riflettore psicologico ed emotivo, perché, come ripeteva il vecchio Karl,  "Homo sum, humani nihil a me alienum puto".

***
A Call Center Day
(come da dettagliato resoconto della protagonista)
Contratto Co.Co.Pro di mesi 6/Oggetto "Indagini di mercato"/Compenso di complessivi € 3.600,00 lordi per 19 ore settimali ripartite su sei giorni. (Le ore effettive, a dire il vero, sono 20, essendo tassativo l' ingresso 10 minuti prima dell' inizio del turno, per poter provvedere a: pulizia cuffie, avvio del programma, disposizione del contenuto della propria cartella sulla scrivania).
La "vocedopera" è esclusivamente femminile. La responsabile-sorvegliante si riserva di assegnare postazioni di lavoro diverse da quelle precedentemente occupate secondo una sua logica tendente al controllo delle nuove reclute, che affluiscono continuamente, essendo il turn-over rapidissimo.
Prima di dare inizio alle chiamate (selezionate dal computer), vengono somministrate eventuali raccomandazioni, comunicazioni, rimproveri, nonché rammentato quotidianamente e pubblicamente il bilancio dei risultati individuali e del gruppo, che si misurano in numero di appuntamenti fissati con la potenziale clientela del prodotto promosso. I risultati vengono poi raffrontati con quelli degli altri gruppi operanti in fasce orarie diverse.
Sono previsti incentivi personali (per es. € 100,00 lordi in più se un' operatrice strappa 25 appuntamenti mensili con potenziali acquirenti) e, spesso incentivi al gruppo (esempio 800-1.000 euro da spartirsi tra i componenti del team che ha ottenuto migliori risultati. L' eventuale fallimento di un' operatrice sarà, in questo caso, motivo di disapprovazione generale del gruppo, dato che implicitamente arrecherà danno economico alle colleghe).
Ogni lunedì la responsabile-Kapò declama l' appello, associando al nome delle telefoniste il risultato della settimana precedente, con conseguente strascico di applausi o fischi.
Poi invita ad "un applauso collettivo per caricarci", seguito da "Via! Tutte disponibili!".
In sequenza arrivano le voci nelle cuffie, compare sul monitor il nominativo dell' utente in linea e ciascuna operatrice inizierà la lettura pedissequa del messaggio promozionale predisposto dalla Direzione, a cui è tassativamente vietato apporre modifiche personali attraverso sinonimi, modifica delle frasi (spesso sgrammaticate) o del loro ordine.

Gli interlocutori, invece, che sono liberi, spesso non si limitano a riattaccare ed interrompere l'importuna invadente manfrina -che spesso e talvolta neppure  a torto temono truffaldina-, ma frequentemente sconfinano nell' insulto gratuito, in espressioni a dir poco triviali, in manifestazioni di risentimento generico anche pesanti.
Per poter andare al bagno è necessario mettere in pausa il programma ed avvisare la responsabile (esattamente come nel lavoro a cottimo ed in catena di montaggio).
Le cuffie non riescono ad isolare acusticamente dall' ambiente circostante, per cui mentre un' operatrice recita il messaggio fisso, sente necessariamente anche tutte le altre farlo, ciascuna, però -causa la diversa durata delle varie conversazioni-, da un punto del testo diverso, tanto da non sapere più quasi distinguere, nella grottesca sovrapposizione, la propria dalle altrui voci e riuscendo a malapena ad udire la persona all' altro capo del telefono.
Se la telefonista è stata così "brava" (e non si capisce dove possa entrarci, il talento, dato che DEVE attenersi ad una procedura rigida e predeterminata), da fissare qualche appuntamento con potenziali clienti del prodotto promosso, il suo nome verrà segnato su di una lavagna riscrivibile. Se il suo nome verrà segnato più volte, saranno incoraggiate ovazioni entusiastiche, mentre la responsabile-Kapò approfitterà per redarguire le operatrici inconcludenti ad alta voce, umiliandole pubblicamente: "Tizia, dài, e allora?"
"Esci e ci metti un po' a ricordare chi sei. Snebbi la mente ma non abbastanza da ripristinare lo status precedente all' esperienza demenziale appena conclusa e ti chiedi se l' indomani ce la farai a ripresentarti. Poi lo fai, perché devi pur mangiare."
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